(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Il risultato del concorso di progettazione del Comun General di Sen Jan de Fascia lascia esterrefatti: l’amministrazione comunale è pronta a sacrificare un edificio storico dei primi del 1900 – l’ex caserma Vittorio Veneto – inserito nel Piano degli Insediamenti Storici nella categoria d’intervento “risanamento conservativo” per la sua qualità architettonica e storico-documentale, solido sotto l’aspetto strutturale e ben organizzato per quanto riguarda la spazialità degli interni, in grado di offrire ancora ottime soluzioni di rifunzionalizzazione. Il tutto per dare spazio ad un nuovo “oggetto non identificabile” (non si ritiene adeguato il termine “architettura” per ciò che viene proposto), una grande scatola rovesciata, assolutamente priva di qualsiasi relazione con le tipologie del luogo.
Sono proprio le amministrazioni comunali, così come gli enti territoriali (ASUC, Regole, …..), che dovrebbero rispettare gli strumenti urbanistici di governo del territorio, ma soprattutto salvaguardare e valorizzate il patrimonio pubblico legato alla storia e alla cultura del proprio territorio.
È un compito statutario, da assumere con grande rispetto, consapevolezza e responsabilità, anche nell’ottica di essere garanti della cura e protezione del patrimonio rispetto alle generazioni future. La competenza decisionale dei singoli amministratori pubblici è di carattere temporaneo, ma gli effetti delle decisioni si proiettano nel tempo e possono comportare perdite inestimabili o valorizzazioni straordinarie. In questo periodo spesso sembra mancare la consapevolezza del peso e delle conseguenze che ogni singola decisione sottende.
Negli ultimi tempi, infatti, si assiste sempre più ad una noncuranza estrema, ad una superficialità di atteggiamento rispetto ai valori che gli edifici storici rivestono, sia sotto l’aspetto di documento materiale, sia per quanto riguarda il loro essere tassello importante di un unicum costituito dall’organizzazione dell’agglomerato urbano. Eliminare un elemento consolidato nel tessuto dei nostri centri storici, anche quelli cosiddetti minori, significa alterare gli equilibri spaziali e relazionali tra i vari elementi, oltre che cancellare un significativo brano di storia del paese.
Il caso di Sen Jan de Fascia è incomprensibile. Già nel bando di gara è contenuta una profonda incoerenza: il CGF proclama la volontà “di rinnovare e valorizzare l’immobile ex caserma Vittorio Veneto mediante una progettazione attenta ai valori insediativi che si possono ancora individuare all’interno dell’ambito di intervento in cui ricade l’ex caserma e, allo stesso tempo, innovativa e funzionale per l’insediamento degli uffici dell’ente” e contemporaneamente ne decreta la possibilità di demolizione, con conseguente necessità di ricorso alla deroga urbanistica.
Ma come si può valorizzare un immobile proponendone la demolizione?
È un gioco di parole che nasconde una grande confusione o forse, più realisticamente, la volontà velata, già in fase iniziale, di arrivare a spazzare via l’ex caserma. Inoltre, sempre nel bando, viene dichiarato che tra gli obiettivi dell’intervento non vi è la sola ricostruzione dell’edificio adeguato alle esigenze del CGF nel rispetto della tipologia edilizia locale, ma anche quello di relazionare l’edificio all’ambito insediativo circostante.
La Commissione giudicatrice ha valutato le numerose proposte secondo i tre criteri identificati dal bando:
1. Qualità del progetto urbanistico-architettonico con particolare attenzione alla relazione dell’edificio con il contesto insediativo e al rispetto della tipologia edilizia tipica locale.
2. Qualità della composizione architettonica con attenzione alla chiarezza del layout distributivo e funzionale interno ed alla sistemazione delle pertinenze esterne.
3. Qualità delle soluzioni tecnologiche, di sostenibilità ambientale e di durabilità adottate, con particolare attenzione alla coerenza tra scelte progettuali e costi di costruzione e gestione attesi.
Tra i 5 progetti prescelti per la fase conclusiva del concorso, è stato nominato vincitore quello che si discosta, in modo totale, dal primo requisito. Solo al quarto posto si è posizionato invece un progetto che prevede il mantenimento delle murature dell’edificio originario, dando risposta assolutamente coerente al requisito in oggetto.
Non si può comprendere come sul primo punto i tre Commissari abbiano dato al primo progetto un punteggio di 17,22 e al quarto solo di 15,56.
Le sottocategorie sono state così valutate:
1.1 rispetta maggiormente l’architettura tipica locale (punti 8,83 al progetto 1 e 7,5 al progetto 4) 1.1 si inserisce con maggiore armonia nel contesto insediativo (punti 8,50 al progetto 1 e 8,17 al
progetto 4)
1.2 valorizza i materiali da costruzione tradizionali locali (punti 8,50 al progetto 1 e 7,67 al progetto 4)
E qui la confusione si accentua ancora di più: com’è possibile che uno scatolone, seppure rivestito in scandole, ottenga un punteggio maggiore di una proposta che mantiene una parte di edificio originario?
Il famoso rispetto della tipologia edilizia locale, richiamato dal bando di concorso e la relazione con l’ambito insediativo circostante, altrettanto fortemente richiesta, non sembrano nemmeno essere stati valutati.
La tipologia non è costituita dall’uso delle scandole su una copertura che si piega fino a terra. È ben altro, è un insieme di caratteristiche che informano l’architettura dell’edificio (quali i caratteri espressivo-formali, i rapporti proporzionali tra i vari componenti – es. la disposizione e la relazione tra i pieni e i vuoti – l’impostazione strutturale e distributiva) e che dipendono da una serie di fattori quali la cultura locale, le richieste funzionali, la tecnologia e i materiali disponibili, ecc.
E l’inserimento armonico nel contesto insediativo? È dato dalla dimensione delle masse, dalla loro disposizione nello spazio, dall’interazione visiva con gli edifici adiacenti, con gli elementi arborei e naturali, ecc. Nei nostri paesi un corpo unico, molto voluminoso, impostato su una grande piattaforma in cemento armato, è sicuramente fuori contesto rispetto ad un complesso costituito dall’accorpamento di volumi minori.
E per ultimo la valorizzazione dei materiali tradizionali in caso di mantenimento della struttura originaria è senz’altro più rilevante che non il solo uso della scandola di legno che richiama quelle della copertura della chiesa parrocchiale.
In definitiva si può affermare che la valutazione delle proposte non corrisponde a quanto richiesto dal bando e non ha saputo individuare le valenze dei singoli progetti. Per tale motivo si chiede all’amministrazione comunale di Sen Jan del Fascia di sospendere questo percorso progettuale e di farsi garante, mediante il mantenimento dell’edificio originario, della conservazione del proprio patrimonio storico-architettonico, quale prezioso dono di chi ha amministrato e costruito il paese prima di noi ed eredità che non può e non deve essere sottratta alle generazioni future.
Abbiamo già affermato più volte che il concorso di progettazione potrebbe essere un ottimo strumento per la valutazione di diverse soluzioni e possibilità realizzative, ma deve essere organizzato e seguito con competenza, in tutte le sue fasi: dalla definizione iniziale delle esigenze dell’Amministrazione, all’individuazione dei vincoli e dei punti di forza, dall’attivazione di momenti di dibattito e di confronto pubblico, alla competenza dei commissari della Commissione giudicatrice, che deve essere costituita da qualificati esperti in architettura. La valutazione dei progetti richiede specializzazione, governo delle tematiche culturali, approfondimenti continui.
Solo così potremmo vedere interventi validi, coerenti, rispettosi e contemporaneamente innovativi e rispondenti alle moderne esigenze abitative e funzionali.
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Manuela Baldracchi Presidente
Italia Nostra Sezione trentina