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ARCIDIOCESI TRENTO * SAN VIGILIO: OMELIA VESCOVO LAURO, « SENZA SOGNI LA VITA DIVIENE UN RENDICONTO CONTABILE, UNO STRAPPARE I FOGLI INGIALLITI »

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10.56 - lunedì 26 giugno 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota inviata all’Agenzia Opinione) –

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Oggi, lunedì 26 giugno, la Chiesa trentina e la città capoluogo festeggiano il loro patrono San Vigilio.
La festa religiosa avrà inizio alle ore 9.30 nella chiesa di santa Maria Maggiore; da qui muoverà la processione con il prezioso reliquiario del patrono, verso la cattedrale dove sarà celebrata la s. Messa, presieduta dall’arcivescovo Lauro Tisi e concelebrata dal vescovo emerito Luigi Bressan, dal vescovo missionario trentino Giuseppe Filippi e da molti sacerdoti.
La Messa sarà trasmessa in diretta sul canale YouTube della Diocesi e su Telepace Trento, con inizio alle ore 9.50.
Al termine della liturgia, dopo la tradizionale benedizione del pane di San Vigilio (distribuito poi in piazza), monsignor Tisi farà dono, come accade in occasione della festa del patrono dall’inizio del suo episcopato, della Lettera alla comunità, quest’anno dal titolo “Lievito e sale”.

 

 

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SOLENNITA’ SAN VIGILIO (Cattedrale di Trento– 26 giugno 2023)

“Quando gli uomini smettono di sognare cattedrali, non sanno più nemmeno costruire soffitte”. Davvero forte ed efficace la suggestione di Emmanuel Mounier.

Senza sogni, senza immaginazione, la vita diviene un rendiconto contabile, uno strappare i fogli ingialliti dal calendario dell’esistenza.
Decisiva è la modalità con cui immaginiamo e sogniamo la nostra vita, la vita delle nostre comunità, ecclesiali e civili. Anche le neuroscienze lo confermano: prima il cervello immagina, poi realizza.
Tutti, penso, riconosciamo che il nostro oggi si alimenta spesso di narrazioni e immaginazioni negative, scontate, prive di forza generativa.
Pensiamo la vita, le comunità come un fortino chiuso, dove a dettare il passo è la paura, la diffidenza, il porsi in difesa.
Ben diversa sarebbe la prospettiva se pensassimo la vita come casa dalle porte spalancate, pronta ad accogliere novità e sorprese.
Nonostante tutte le défaillance, non c’è niente di più affascinante dell’essere umano. Un concentrato di paradossi, desideri e sogni. Ognuno di noi è un essere desiderante, perennemente eccedente, sempre alla ricerca di una pienezza di vita.

Se questo è l’umano, la grande sfida dell’ora presente è prendersi cura della stima dell’altro, dire parole buone sulla realtà che ci circonda, trasformare i nostri dialoghi in benedizione, far emergere il bene. Purtroppo, lo dobbiamo ammettere, ci fossilizziamo nel rimarcare mancanze e difetti, consolandoci con la svalutazione di chi ci sta intorno.
Come possiamo frequentare parole buone in questo tempo così difficile, a cui ben si addice l’espressione del profeta Ezechiele “giorni nuvolosi e di caligine”?

Ancora una volta ci soccorre la Parola di Dio: “Io stesso cercherò le mie pecore” (Ez 34,11), “ora in Cristo Gesù voi siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo” (Ef 2,13), “il buon pastore offre la vita per pecore” (Gv 10,11).
Questa Parola apre le porte alla speranza, racconta la fede di Dio. Sì, proprio la fede “di” Dio, la sua fiducia sconfinata nell’uomo, il suo credere in noi senza se e senza ma, il suo amarci incondizionato, documentato dal sangue versato per noi. Mi verrebbe da dire che in questo momento è rimasto solo Dio a credere nelle potenzialità dell’umano. Credere è confessare che Dio si fida dell’uomo. È far nostra la fiducia che riceviamo da Lui.

Nel Vangelo di Matteo viene ricordato agli apostoli che, se avessero avuto una fede pari a un granello di senape, avrebbero compiuto cose straordinarie. Spesso queste parole si interpretano come un rimprovero agli apostoli, che non avrebbero avuto una fede abbastanza “forte”. Paradossalmente sarebbe invece corretto dire che la nostra fede è inefficace perché non è sufficientemente “piccola”. Su di essa si sono accatastate tante cose secondarie che la opprimono. Togliamoci questa zavorra e torniamo a frequentare la fede di Dio, il suo amore gratuito. Dio immagina per l’uomo serenità, vita, felicità. Lo pensa fratello e sorella dentro la danza del “noi”. Vigilio, scrivendo a Crisostomo in lode dei martiri, afferma senza esitazione che i fatti non riescono ad essere narrati dalle parole, riconosce che la vita, soprattutto quando è attraversata dal dono, va ben oltre qualsiasi narrazione. Dio immagina l’uomo, la Chiesa impegnati nella gioia di custodire e di rispondere dei propri fratelli e sorelle. In definitiva, essere credente non è tanto cercare la propria salvezza, ma operare per la felicità e il benessere degli altri. Quando manca questa dimensione all’esperienza di fede, si finisce – come ricorda la Lettera agli Efesini – nella condizione di chi è senza Cristo, senza speranza, senza Dio.
Per la nostra Chiesa diocesana c’è la concreta possibilità di raccontare il sogno di Dio, indossando il grembiule per farsi serva della gioia degli uomini, diventando lievito e sale per questa umanità stanca e senza speranza.

 

 

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“Lievito e sale”, nuova Lettera alla comunità dell’arcivescovo Lauro in occasione del patrono San Vigilio. “Ritroviamo parole che curano e usciamo dalle parole-sentenza”. Sul futuro del convento dei Cappuccini: “centro di vita caritativa e fraterna”
La storia di Helen, nigeriana approdata in Trentino dopo una drammatica esperienza migrante e qui diventata cristiana, apre la Lettera dell’arcivescovo Lauro alla comunità trentina in occasione del patrono San Vigilio, dal titolo “Lievito e sale”.
Un testo di immediata lettura, nel quale monsignor Tisi racconta anzitutto l‘emozione provata nel conferire il sacramento del Battesimo ad una donna simbolo di tanti “viaggiatori in fuga ai quali, dopo aver rubato i sogni, neghiamo – scrive – un porto ove provare a ritrovarli. Senza però poter togliere loro la capacità di sperare, alla quale noi, per contro, abbiamo da tempo abdicato”.
Don Lauro invita a riscoprire e praticare la bellezza di “parole che curano”: quelle evangeliche, certo, che hanno ridato speranza ad Helen, e prima ancora quelle con cui ci relazioniamo agli altri. “Le parole curano solo se prima si è stati capaci di ascoltare. Ma quanto siamo disposti realmente ad ascoltare?” si interroga monsignor Tisi, aggiungendo come “supini per ore su uno schermo, bombardati di ‘post’ e immagini, le parole altrui” rischino di essere solo “una scontata colonna sonora delle nostre giornate”. “Ascoltare è fissare l’attenzione su un volto. Per interpretare anche i silenzi con cui ci parlano tante umanità ferite e in preda alla nostalgia della speranza” annota l’Arcivescovo.

Monsignor Tisi attribuisce un ruolo chiave agli operatori della comunicazione, invitati dal Papa stesso a ‘parlare con il cuore’, “ovvero – concretizza don Lauro – ricercare e dire la verità, ma farlo con carità”. L’Arcivescovo ringrazia i comunicatori “per il loro servizio cruciale e spesso sottovalutato”. Rivolge però loro un appello a “non lasciarsi fagocitare dalla fretta produttiva. Ad avere attenzione ai volti e sentirsi parte delle storie” raccontate, sull’esempio di don Milani e del suo “I care”, “mi sta a cuore”.
Di fronte alle contraddizioni in cui l’umanità si dibatte – “declamiamo pace e perseguiamo la guerra, imbracciamo volontariamente una pala per fermare il fiume di fango che spazza via la quotidianità delle persone cementata di costanza e sacrifici e, al contempo, maneggiamo uno smartphone quasi fosse una clava” – la guida della Chiesa trentina denuncia una “perdita di credibilità dilagante che tocca ogni istituzione e ogni ambito sociale. Essere credibili è oggi la grande sfida che abbiamo tutti davanti”.
Riguadagnare credibilità secondo l’Arcivescovo è possibile, prendendo atto che “abbiamo innescato una macchina capace di fagocitare l’umano, mettendo ai margini il valore intrinseco di ogni persona”, dentro un “sistema che genera ansia e disperazione e dal quale molti, comprensibilmente, provano drammaticamente a smarcarsi”.
“Perseguiamo – è il monito poco più avanti di Tisi – il confronto delle idee e usciamo dalle parole-sentenza, non facciamo volteggiare la clava del pregiudizio e della delegittimazione dell’altro”.

Per il credente il modello della credibilità è pienamente incarnato da Gesù di Nazareth, capace di assumere come “forma fondamentale di comportamento la povertà (…), espressione di libertà radicale e di fiducia incondizionata nel Padre”.
“Il Dio di Nazareth – scrive don Lauro – si fa povero di sé e non agisce in concorrenza all’uomo. Si fa umano perché l’uomo possa crescere”. Un modello di comportamento essenziale anche per la Chiesa, chiamata ad essere “lievito e sale”, gli elementi al centro della Lettera: “questa – argomenta l’Arcivescovo – è la vocazione della Chiesa: porsi in ascolto della vita e far parlare il reale, perché siamo emozione, vissuto, prima che idee”. Una Chiesa “non presuntuosamente arroccata nelle sue certezze, ma povera e serva. Chiamata a rifuggire l’autoritarismo, colpevole di spegnere la pazienza della tolleranza e la libertà del dialogo”.
Don Lauro si sofferma poi sulla prospettiva che vedrà la Diocesi, a partire dall’autunno prossimo, assumere la gestione del convento dei Cappuccini a Trento. L’Arcivescovo conferma l’intenzione di mantenere in vita la mensa dei poveri e ad alcune attività già in essere, individuando nel Convento un luogo di ricarica spirituale attorno alla Parola di Dio e un “cuore pulsante di vita caritativa e fraterna, a beneficio della comunità cittadina e diocesana. All’interno della struttura – precisa –, oltre ai servizi ecclesiali più vicini al mondo della povertà, prenderanno dimora la famiglia di un diacono permanente e alcune religiose. Vi troverà casa anche la comunità degli studenti universitari”.

Parola, Pane, Poveri: ecco le “tre parole-icone” o l’“unico algoritmo della nostra fede”, come lo definisce monsignor Tisi, in contrasto alla diffidenza suscitata dalla “deriva digitale” che trova l’apice nell’abuso dell’intelligenza artificiale. L’antidoto? Le pagine evangeliche e le storie che raccontano la bellezza dell’umano. Come il padre capace di donare al proprio figlio una parte del proprio polmone. “Questa – chiosa don Lauro, prima di affidarsi a un’intensa preghiera di Dietrich Bonhoeffer – è la credibilità dell’amore: dare respiro alla vita”.

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