Di Luca Franceschi
I) DIRETTIVA UE COPYRIGHT
1) Quali sono gli elementi fondamentali previsti nella direttiva dell’Unione europea circa il diritto d’autore connesso al mercato digitale?
Gli scopi dichiarati della direttiva 2019/790 sono l’adeguamento e il completamento dell’armonizzazione del quadro normativo dell’Unione Europea sul diritto d’autore e sui diritti connessi con riferimento al nuovo contesto digitale. Tale intervento si propone inoltre di porre rimedio all’attuale stato di incertezza giuridica che caratterizza la materia. La direttiva interviene su molteplici aspetti. I principali sono i seguenti:
a) eccezioni e limitazioni a diritto d’autore e diritti connessi nell’ambiente digitale e nel contesto transfrontaliero;
b) diritto connesso dell’editore su pubblicazioni di carattere giornalistico (art. 15);
c) responsabilità dei prestatori di servizi online (ad es. YouTube) che memorizzano contenuti caricati dagli utenti (art. 17);
Al di là degli obiettivi di fondo, la principale (e reale) finalità della direttiva è di correre in soccorso di alcuni intermediari del mercato della creatività (quelli che hanno operato il lobbying più efficace): ovvero i grandi editori della carta stampata, della musica e del cinema messi nell’angolo dai grandi prestatori di servizi online (le grandi piattaforme) della galassia americana GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft).
L’acceso dibattito su questo testo normativo si è, non a caso, focalizzato sull’art. 15 (diritto connesso sulle pubblicazioni giornalistiche) e sull’art. 17 (responsabilità dei prestatori di servizi online).
Nella visione del legislatore europeo il diritto d’autore è essenzialmente una questione di equilibri di potere tra grandi intermediari vecchi (editori) e nuovi (piattaforme). In altri termini, come dice il titolo della direttiva, il diritto d’autore è solo una questione di mercato. Ci si dimentica che il diritto d’autore non riguarda solo il mercato, ma diritti fondamentali come la libertà di espressione, il diritto di accedere e di condividere informazioni e conoscenza.
Nell’ottica miope e distorta del legislatore europeo, la direttiva mira a colmare il c.d. value gap, ovvero il divario tra ciò che viene messo a profitto dalle grandi piattaforme americane e quanto riescono a guadagnare gli editori europei.
Insomma, il diritto d’autore viene impropriamente utilizzato come strumento per riequilibrare il potere dei grandi intermediari.
È facile prevedere che la direttiva è destinata per certo a fallire negli obiettivi di fondo e molto probabilmente nel soccorso ai grandi editori europei. Il risultato del processo di attuazione, ancora in corso in Italia come in molti stati membri UE, sarà quello di un quadro normativo frammentato, incerto e fortemente squilibrato a favore di potenti interessi commerciali.
II) DECRETO ATTUATIVO ITALIANO
2) Lo “schema di decreto legislativo” circa l’attuazione della direttiva (UE) 2019/790 -sul diritto d’autore- quali innovazioni prevede?
Lo schema di decreto legislativo sembra distaccarsi significativamente in alcuni punti sia dalla scarna legge delega sia dalla verbosa direttiva. Come rilevato dai primi commentatori dello schema di decreto, il rischio di una violazione del diritto europeo e di un eccesso di delega è concreto.
Ad esempio, con riferimento al diritto connesso degli editori di pubblicazioni giornalistiche si stabilisce a favore degli editori un diritto di riproduzione e comunicazione al pubblico. Il diritto di esclusiva è negoziabile dalle parti. Ma lo schema di decreto stabilisce che l’utilizzo delle pubblicazioni giornalistiche oggetto del contratto tra editori e prestatori di servizi deve corrispondere a un c.d. equo compenso. Di più, lo schema di decreto regolamenta la negoziazione tra editori e piattaforme sottoponendola al controllo dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM). Insomma, una sorta di mercato supervisionato dallo Stato. Come dire che gli editori non hanno sufficiente potere negoziale nei confronti delle piattaforme e devono appoggiarsi allo Stato. Ovviamente tutto questo ha un costo per le tasche dei cittadini che dovranno pagare attraverso la fiscalità generale il mantenimento di questo pesante e farraginoso meccanismo. È molto probabile, inoltre, che lo stesso meccanismo generi un notevole contenzioso con ulteriori costi che ricadranno sulle casse pubbliche.
3) Del Decreto italiano vi sono elementi migliorabili?
Tutto il decreto è migliorabile. Sarebbe meglio riscriverlo da cima a fondo.
In ogni caso, gli errori più gravi sono a monte, nella direttiva. Il legislatore europeo non ha ascoltato le voci di chi chiedeva un maggiore equilibrio tra titolari del diritto di esclusiva e tutti gli altri portatori di interessi a cominciare dai fruitori delle opere e dei materiali protetti che operano nel mondo dell’università, della scuola e delle istituzioni culturali. Ad esempio, centinaia di accademici esperti di proprietà intellettuale avevano bocciato senza appello in una lettera aperta il diritto connesso degli editori sulle pubblicazioni giornalistiche. Non si negava il problema della concentrazione di potere economico e informativo nelle mani delle grandi piattaforme, ma si proponeva di affrontarlo con strumenti giuridici diversi dal diritto d’autore (ad es., il diritto antitrust e il diritto tributario).
L’istituzione di un nuovo diritto connesso ha precedenti fallimentari. Nel 1996 sotto la pressione di alcuni gruppi di interesse facenti capo alle imprese che gestiscono banche dati, il legislatore comunitario istituì un diritto connesso a favore del costitutore delle banche dati con lo scopo dichiarato di avvantaggiare le imprese europee rispetto a quelle americane. L’idea corrispondeva a un’equazione: più protezione è uguale a vantaggio competitivo. L’obiettivo di politica del diritto è stato un fallimento totale: non solo le imprese europee non hanno ottenuto alcun vantaggio competitivo, ma il diritto connesso sulle banche dati ha prodotto effetti collaterali nel campo della didattica e della ricerca, impedendo la libera circolazioni di dati e informazioni. Oggi a distanza di 25 anni la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica per un’eventuale revisione della direttiva. Insomma, gli errori del passato non hanno insegnato niente.
III) EDITORI ITALIANI
4) Gli editori italiani quali vantaggi economici potranno apprezzare in concreto? Vi è una stima del business?
Distinguerei i grandi editori, che forse potranno ricevere – almeno nel breve periodo – qualche vantaggio economico, dai piccoli editori e da altri intermediari che rischiano di essere schiacciati. Il risultato finale consisterà, molto probabilmente, in una sensibile riduzione del pluralismo delle fonti di informazioni.
5) Un esempio concreto: Google quanto e come riconoscerà il compenso ad un sito di news di un giornale nazionale piuttosto che ad agenzia di stampa?
Bisognerà attendere il regolamento dell’AGCOM che determinerà i criteri per stabilire il c.d. equo compenso. In ogni caso, alcuni criteri generali sono già fissati dallo schema di decreto e sono destinati ad avvantaggiare i grandi editori e le grandi testate.
6) Il singolo autore/editore chi dovrebbe contattare e con quali modalità?
Il diritto spetta all’editore e non all’autore. L’editore riconosce poi all’autore una quota compresa tra il 2 e il 5 per cento dell’equo compenso ottenuto dal prestatore dei servizi della società dell’informazione (piattaforma Internet).
Una delle parti interessate avvia la negoziazione. Se non si raggiunge un accordo, ci si può rivolgere all’AGCOM per la determinazione dell’equo compenso. Se anche la cifra determinata dall’autorità non porta alla stipula del contratto, ci si può rivolgere al giudice.
Invece gli spazi di libertà dei fruitori delle pubblicazioni giornalistiche – tra i quali ci sono ovviamente anche agenzie di stampa, editori e giornalisti – sono affidati a una disposizione che sottrae all’esclusiva del diritto connesso gli utilizzi privati o non commerciali da parte di singoli utilizzatori, i collegamenti ipertestuali, utilizzo di singole parole o estratti molto brevi. Lo schema di decreto definisce l’estratto molto breve “qualsiasi porzione che non dispensi dalla necessità di consultazione dell’articolo nella sua integrità”. La formula è talmente ambigua da candidarsi a uno dei più potenti generatori di contenzioso. Insomma, avrebbe meglio figurato in un gioco agostano da Settimana enigmistica.
IV) STAKEHOLDERS
7) Quali player istituzionali e privati sono stati coinvolti dal Governo italiano?
L’AGCOM e diverse associazioni di categoria. Una costante degli ultimi anni è di accrescere il potere dell’AGCOM nella materia. Invece, sarebbe stato bene che la materia fosse lasciata alla competenza esclusiva del giudice ordinario.
8) Vi sono soggetti che ancora devono essere sentiti?
Mentre il Parlamento ha coinvolto nelle audizioni anche i rappresentanti di interessi facenti capo al mondo no profit, della ricerca scientifica e delle istituzioni del patrimonio culturale, il Ministero della cultura si è “dimenticato” di consultare alcuni portatori di interessi ascoltati in Parlamento. Si tratta di una procedura davvero singolare, anche in considerazione del fatto che gli elenchi dei soggetti ascoltati in Parlamento è pubblico. Inoltre, la consultazione pubblica non è stata lanciata dal MIC con le consuete procedure che consentono di partecipare e seguire l’intero processo – annuncio del ministero sul proprio sito web, pubblicazione delle risposte dei portatori di interesse ecc. – ma chiamando singolarmente gli stakeholder.
V) MINISTERO CULTURA
9) Quale è il ruolo propulsivo del Ministero alla Cultura?
Il ruolo del Ministero sembra decisivo. La materia del diritto d’autore fa capo alla struttura burocratica del MIC. Peraltro, il MIC dispone per legge di un Comitato consultivo permanente che ha emanato un parere sullo schema di decreto. Mi risulta che il parere non è pubblico. Uno dei membri del comitato ha dichiarato alla stampa che il parere è stato dato su un testo completamente diverso da quello che il Governo ha trasmesso al Parlamento. Ovviamente, non disponendo né del parere del comitato, né dei testi precedenti alla versione definitiva dello schema di decreto non è possibile farsi una propria opinione. Insomma, una procedura caratterizzata da assoluta opacità.
10) Il Sottosegretario all’Editoria segue questo iter normativo?
Dalle dichiarazioni che rilascia alla stampa evinco che segue con attenzione il percorso del decreto legislativo.
VI) AISA
11) L’associazione italiana Scienza aperta, di cui le è presidente, è stata ascoltata in Parlamento: quali elementi avete portato all’attenzione dei parlamentari e quale riscontro reale avete ottenuto?
L’AISA, allineandosi ad altri portatori di interessi come Wikimedia e Creative Commons, ha suggerito un’attuazione della direttiva che conduca a un rafforzamento del sistema delle eccezioni e limitazioni a diritto d’autore e diritti connessi.
Tale indicazione si salda peraltro con una precedente proposta della medesima associazione volta a introdurre nella legge sul diritto d’autore italiana un diritto di ripubblicazione irrinunciabile e indisponibile in capo all’autore scientifico sulle proprie opere. Un vero diritto dell’autore e non dell’editore. Il diritto sarebbe strumentale all’attuazione dell’Open Access alle pubblicazioni scientifiche. In altre parole, se l’autore ha pubblicato con la classica formula dell’editoria ad accesso chiuso a pagamento per il lettore, può ripubblicare in accesso aperto – accesso gratuito e con diritti di riuso – senza dover chiedere l’autorizzazione all’editore.
La proposta dell’AISA era stata parzialmente accolta nella proposta di legge dell’On. Gallo sull’accesso aperto, ma poi l’iter legislativo si è arrestato nel novembre 2019 per la pressione degli editori italiani.
Insomma, l’AISA cerca di far presente al legislatore che il diritto d’autore non è solo una questione di mercato, ma un tema che attiene alla democrazia. Le leggi sul diritto d’autore degli ultimi decenni sono state scritte alimentando la concentrazione di potere e restringendo gli spazi di libero accesso e condivisione della conoscenza. Ciò determina un grave rischio per la democrazia. Uno dei tanti di quest’epoca sventurata.
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Note biografiche:
Roberto Caso è Professore Associato di Diritto Privato Comparato all’Università di Trento, Facoltà di Giurisprudenza, e co-direttore del Gruppo LawTech. Insegna Diritto Civile, Diritto Comparato della Proprietà Intellettuale, Diritto comparato della privacy, Diritto d’autore e arte, CopyrightX Trento. Ha pubblicato in qualità di autore o curatore libri e articoli in materia di Proprietà Intellettuale, Diritto della Riservatezza e Protezione dei Dati Personali, Diritto dei Contratti e Responsabilità Civile. E’ Presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA).
Tra le sue pubblicazioni Abuso di potere contrattuale e subfornitura industriale: modelli economici e regole giuridiche, Trento, Artimedia, 2000; (cur. con Giovanni Pascuzzi), I diritti sulle opere digitali, Padova, CEDAM, 2002; Digital Rights Management. Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, Padova, CEDAM, 2004; (cur.) Ricerca scientifica pubblica, trasferimento tecnologico e proprietà intellettuale, Bologna, Il Mulino, 2005; (cur.) Pubblicazioni scientifiche, diritti d’autore e Open Access, Università degli Studi di Trento, Trento, 2009; (cur.) Plagio e creatività. Un dialogo tra diritto e altri saperi, Università degli Studi di Trento, Trento 2011; (cur. con Federica Giovanella), Balancing Copyright Law in the Digital Age. Comparative Perspectives, Berlin-Heidelberg, Springer, 2015; (cur. con Federica Giovanella), Reti di libertà, Napoli, Editoriale scientifica, 2015; La rivoluzione incompiuta. La scienza aperta tra diritto d’autore e proprietà intellettuale, Milano, Ledizioni, 2020; La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati, Milano, Ledizioni, 2021.