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L'INTERVISTA

INTERVISTA A SENATORE DE BERTOLDI * FESTA REPUBBLICA: «NON HO APPREZZATO IL TONO POLITICO E DI PARTE DEL DISCORSO DEL SINDACO DI TRENTO » (TESTO INTEGRALE INTERVENTO ANDREATTA)

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14.31 - domenica 2 giugno 2019

Senatore de Bertoldi: il pubblico ha notato che il presidente Fugatti e lei siete stati gli unici a non applaudire -sul palco- l’intervento del sindaco Andreatta, perché?

Assolutamente il massimo rispetto personale per il Sindaco Andreatta, ma non ho apprezzato il tono eccessivamente politico e di parte al quale ha improntato il suo discorso, che avrebbe dovuto essere istituzionale. In occasione della Festa della Repubblica è necessario unire la Popolazione sui valori comuni e condivisi della Libertà e della Democrazia, ma è assolutamente fuori luogo ed inopportuno fare riferimento in senso denigratorio a rappresentanti di Stato che non appartengono alla propria parte politica, o piuttosto interpretare la Storia senza senso critico ed obiettivo.

 

Come commenta il passaggio in diagonale in mezzo a piazza Duomo, durante la cerimonia con i militari in parata, da parte di un richiedente asilo?
Un vergognoso ed irriguardoso atteggiamento verso le Istituzioni da parte di chi, essendo ospitato e probabilmente mantenuto, dovrebbe invece portare il massimo ossequio e rispetto. Il tutto è vieppiù grave perché pare sia stato -ispirato- da quegli esponenti della Sinistra buonista ed affarista, che ha sempre anteposto gli interessi propri alle necessità del Popolo Italiano ed alla tutela della Civiltà nazionale. Ancora una volta la cultura della Sinistra sta da una parte ed i cittadini dall’altra.

 

 

 

 

 

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Il testo integrale del discorso del sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, tenuto in piazza Duomo il 2 giugno 2019 in occasione della Festa della Repubblica

 

Cari concittadine e concittadini di Trento, autorità,

La storia, come la vita delle persone, non procede sempre alla stessa velocità. Chi guarda da lontano, dalla prospettiva dei posteri, non di rado nota accelerazioni improvvise, arretramenti, momenti di stasi. Ecco, il 2 giugno 1946 ha rappresentato per la storia del nostro Paese un balzo in avanti che, fino ad oggi, non si è mai più ripetuto, non con quelle caratteristiche, non con quelle stesse proporzioni. In quel giorno di 73 anni fa sono sono avvenuti davvero tanti cambiamenti, tutti di grande rilevanza: gli italiani hanno scelto la Repubblica e respinto la Monarchia, che aveva governato il Paese per 85 anni, dall’Unità in poi. Il suffragio universale ha fatto sì che, per la prima volta, anche le donne potessero andare alle urne: fino ad allora non erano ritenute in grado né di essere elette né di scegliere i loro rappresentanti nelle istituzioni. Ancora, gli italiani hanno scelto i componenti dell’assemblea costituente: un insieme di personalità insigni che, per autorevolezza e integrità morale, rappresentavano l’Italia migliore. E non migliore solo allora, a quei tempi. Probabilmente le donne e gli uomini che scrissero la nostra Costituzione furono l’Italia migliore di sempre.

Si capisce allora perché questa sia la data civile più importante per il nostro Paese. Perché quello fu il giorno in cui tutto cambiò, in cui l’Italia voltò le spalle alla guerra, al fascismo, alla monarchia e iniziò la sua storia repubblicana. Certo, il 2 giugno non capitò per caso: fu la Resistenza a renderlo possibile, furono i partigiani, gli uomini al confino, i martiri – da Giacomo Matteotti ai fratelli Rosselli – a preparare il terreno per la democrazia, lo stato di diritto, la giustizia sociale, tutte sfide declinate con chiarezza e incisività nei 139 articoli della Costituzione italiana.

Come è stato detto da più parti, la nostra Costituzione è figlia della Resistenza e dell’antifascismo: le disposizioni sulla dignità della persona umana e sui “diritti di libertà” erano una reazione alla violenza, all’arbitrio e all’onta delle leggi razziali; la “solidarietà politica, economica e sociale” era in antitesi all’elitarismo e alle discriminazioni del Ventennio; l’equilibrio perfetto di pesi e contrappesi che regola i rapporti tra i vari poteri dello Stato derivava dalla necessità di assicurare la dialettica democratica anche in caso di insorgenza di eventuali rigurgiti di autoritarismo; l’autonomia della magistratura nasceva dalla volontà di evitare che il sistema giudiziario fosse inteso come braccio armato del potere politico. Inoltre, come ha scritto lo storico Giovanni De Luna, “la fedeltà al popolo dei morti partigiani invocata da Piero Calamandrei fu uno degli elementi che rafforzarono l’ispirazione unitaria che riuscì allora ad avere la meglio sui dissidi ideologici già affiorati nei rapporti tra i vari partiti”.

Mi chiedo: dopo tanti anni, lo spirito del 2 giugno è ancora con noi? Siamo consapevoli del salto compiuto dalla nostra storia un anno dopo la fine della seconda guerra mondiale? Io credo che qualche decennio fa questa domanda sarebbe stata considerata inutile perché retorica e scontata. Oggi non è più così. Anzi talvolta pare che alcune conquiste faticosamente acquisite siano considerate orpelli inutili. Accade per esempio quando, nei momenti in cui  l’esercizio della democrazia si rivela difficile e faticoso, c’è chi invoca l’uomo forte capace di risolvere ogni problema. Oppure quando qualcuno si dice pronto a barattare un po’ di libertà con un surplus di presunta sicurezza. O ancora quando si disprezzano e si disertano le urne, snobbando un diritto – quello al voto – che è stata la prima conquista dello Stato repubblicano. Basti pensare che il regime fascista, appena raggiunto il potere, di fatto annullò le elezioni trasformandole in un plebiscito: gli elettori infatti avevano ben poca scelta perché la lista dei 400 deputati selezionati dal Gran consiglio del fascismo doveva essere approvata in blocco con un sì o respinta in toto con un no. E naturalmente il 99 per cento degli aventi diritto approvava, perché la segretezza del voto era tutt’altro che garantita e le ritorsioni, come sappiamo, estremamente pesanti.

Qualche tempo fa il presidente Sergio Mattarella ci ha ricordato che “il passaggio da sudditi a cittadini – che è il contenuto moralmente e socialmente più forte della scelta della Repubblica – non è avvenuto una volta per tutte, e va continuamente inverato nelle condizioni nuove che il tempo ci offre. E’ questa  – secondo il presidente – la responsabilità che le generazioni si trasmettono l’un l’altra”. Teresio Olivelli, partigiano, ucciso a bastonate nel lager di Hersbruck, ha espresso all’incirca lo stesso concetto con altre parole: “Lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri – scrisse Olivelli –  Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano”. Credo che il significato di questa giornata sia tutto qui, in questi brevi pensieri.

 

 

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