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LETTERE AL DIRETTORE

ZANELLA (FUTURA) * PARI OPPORTUNITÀ: « LO STATO ITALIANO ARRANCA, LA PROVINCIA DI TRENTO ARRETRA »

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16.22 - lunedì 8 novembre 2021

PARI OPPORTUNITÀ: LO STATO ARRANCA, LA PROVINCIA ARRETRA – Sull’affossamento del ddl Zan e sull’attacco alla doppia preferenza di genere in Provincia di Trento.

L’applauso del Senato a seguito dell’affossamento del ddl Zan, oltre ad aver calpestato e umiliato le donne, le persone con disabilità e la comunità LGBT+ è stato uno schiaffo in faccia alla democrazia. Quei festeggiamenti sguaiati, però, ce li si aspettava. Sono il naturale epilogo della battaglia mistificatoria condotta da una destra becera contro una fantomatica lobby LGBT e una presunta ideologia gender, con la quale, a loro dire, si indottrinerebbero bambini e bambine. Argomenti strumentali che sanno tanto di upgrading del complotto demo-pluto-giudaico-massonico in salsa omotransfobica.

Con quel voto, in realtà, si chiedeva semplicemente di riconoscere la matrice comune di antisemitismo, razzismo, abilismo, misoginia e omolesbobitransfobia: il disprezzo per il diverso, per l’altro da sé. Disprezzo che se si concretizza in parole o azioni, non è un opinione, ma costituisce movente o aggravante di un crimine d’odio, che come tale va punito. Ecco perché era opportuno estendere la legge Mancino, che oggi tutela solo da reati motivati da odio etnico e religioso. Qualcuno, a partire da Italia Viva, pensava di poter mediare sulla libertà di opinione, sull’autonomia scolastica – autonomia di discriminare, evidentemente – e sull’esclusione dell’identità di genere dalla legge. Ma non si può mediare sulla vita, sui corpi, sulla dignità delle persone. Men che meno escludere le persone trans dalle tutele. Non ci resta che constatare, per l’ennesima volta, che il Parlamento non è ancora pronto a portare l’Italia nell’Europa dei diritti e proseguire nella lotta per l’uguaglianza.

Se sulle pari opportunità lo Stato arranca, la Provincia non è da meno, anzi arretra. Non bastava la soppressione dei corsi di educazione alla relazione di genere e il depotenziamento pressoché totale dell’Ufficio per le pari opportunità, ora arriva anche l’attacco alla doppia preferenza di genere della consigliera Masè. A detta della proponente, allargare l’espressione del voto a tre candidati/e, di cui uno/a di genere diverso, garantirebbe le stesse possibilità alle donne di essere elette, a fronte della possibilità per l’elettorato di esprimere più preferenze (anche se ad oggi ne viene usata in media meno di una a testa, quindi già la seconda è poco utilizzata). La questione nodale è che questo assunto è palesemente falso. I due obiettivi del disegno di legge – quello di un riequilibrio di genere nelle Istituzioni e quello di maggiore democraticità del processo elettorale – purtroppo, in una società ancora patriarcale e maschilista come la nostra, confliggono. Aprire a tre preferenze in questo contesto culturale, dove l’asimmetria di potere tra i generi è la regola, non fa altro che favorire le cordate maschili e quindi penalizzare le donne. Ragionare come se le elezioni si tenessero in un contesto avulso dalla realtà in cui viviamo è fuorviante e porta a credere che la tesi sostenuta dalla proponete sia vera, cosa che non è. E non ha senso continuare a sostenere che basti lavorare solo sugli aspetti culturali per emancipare il genere femminile e permettere quindi una competizione elettorale alla pari. Questo è quello che hanno il coraggio di affermare proprio quelle/i che hanno sostenuto la soppressione dei corsi per l’educazione alla relazione di genere nelle scuole. Il lavoro culturale è necessario e di primaria importanza, ma necessita di tempi lunghi e non è certo sufficiente. Servono correttivi alle norme, che permettano un rapido e doveroso riequilibrio di genere a tutti i livelli. Nella legge elettorale trentina, come in quella di altre quindici Regioni d’Italia, questo correttivo è già presente e si chiama “doppia preferenza di genere”. Che senso ha volerla togliere? Infine, che il sistema elettorale proposto da Masè sia lo stesso oggi in uso nel nostro Paese per le elezioni europee poco importa. Quel sistema fu introdotto per migliorare la rappresentanza di genere, partendo da un meccanismo elettorale che sulle preferenze di genere nulla prevedeva. In questo caso invece si tratta di fare un passo indietro, andando verso un sistema che garantisce (lo hanno confermato gli esperti durante le audizioni) minori possibilità alle donne di essere elette, contravvenendo anche a quanto previsto dalla nostra Costituzione. La Carta, oltre all’articolo 3 sull’uguaglianza sostanziale e al 51 sulle condizioni di uguaglianza nell’accesso alle cariche elettive, all’articolo 117 prevede il principio per cui le leggi regionali “promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”. Promuovono, non ostacolano la parità. Fanno avanzare, non retrocedere l’equa rappresentanza di genere. Questo è il punto. Ecco perché, forti del dettato costituzionale, staremo in aula a oltranza per contrastare il ddl Masè e tutelare le pari opportunità. E lo faremo anche in risposta allo schiaffo che i diritti hanno subito con quel vergognoso applauso in Senato.

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PAOLO ZANELLA
Consigliere provinciale di Futura

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