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LETTERE AL DIRETTORE

WALTER PRUNER * POLITICA TRENTINA: « STORIA DI SPACCATURE, DIVISIONI, SCISSIONI, TRANSUMANZE, MIGRAZIONI E FUGHE »

Scritto da
06.52 - giovedì 9 febbraio 2023

Gentile diretttore,

spaccature, divisioni, scissioni, transumanze, migrazioni, fughe: storia politica di un’Italia, storia di un Trentino di ieri e di oggi. Gruppi parlamentari che si sciolgono a Roma come a Trento, altri che si rimpinguano, sigle nuove, sigle che si estinguono: storia di una patologia, il trasformismo, nelle sue diverse declinazioni. Caratteristica di una democrazia che ad ogni latitudine, locale e nazionale, mostra i lati diversi di un rapporto tra partiti ed istituzione: lati a volte necessari, a volte migliori, a volte peggiori.

Cambiare casacca non significa sempre tradire. Si tradisce quando si abbandona l’ideale per interesse. Ma capita che i partiti abbandonino l’ideale e mantengano la sigla. Questo non è coerenza e rende assolutamente capibile l’abbandono. Così come può accadere pure che i transfughi rompano per interesse e lascino la propria casa di appartenenza allo scopo di distruggerla dopo averla sfruttata. Inaccettabile. Insomma, la diagnosi di tradimento non è affatto certificabile da facili approssimazioni e superficiali argomentazioni. L’idea però che sia connaturato alla cultura italiana e trentina l’abbandono della strada maestra per comode vie non mi convince.

Esistono delle costanti in tema di scaturigine delle spaccature di partito? La risposta è affermativa e forse può servire a capire, prevenire o comunque gestire logicamente quello che comunque lo si voglia rappresentare appare un tradimento dell’elettorato. L’unità non è unanimità. Il concetto non è tanto scontato nella pratica ed il suo confondimento rende il dibattito interno assai scivoloso e rischioso nella misura in cui il dissenziente si trova di fronte a sole due strade: la emarginazione o l’allineamento “spintaneo” che produce nella stragrande maggioranza dei casi l’effetto pentola a pressione, cioè l’accumulo di scorie e residui male gestiti e, inevitabile, la esplosione e conseguente rottura con il partito di appartenenza.

Poi, il monopolio ideale, ovvero il concetto di esclusività che certe classi dirigenti impongono, non consente il necessario dibattito e provoca il fenomeno diffuso della messa all’indice, ovvero della dichiarata accusa di tradimento o blasfemia, a prescindere: da una parte la ragione assoluta e la sua accettazione, dall’altra, in alternativa, le stigmate del traditore. Qui la ricerca del capro espiatorio, del nemico ad ogni costo, maschera spesso un deficit politico di fondo.

Terzo elemento è la personalizzazione del Partito, che non significa forte leadership, ma la creazione di un cartello attorno al capo, che può essere anche senza leadership, ma mantiene uno status di controllo privo di autorevolezza e carico di autoritarismo. In questo terzo caso appena il livello della direzione di controllo è messo in discussione, il processo di auto-protezione collassa e reagisce con le purghe.

Tutto ciò in premessa, per tentare di comprendere quali siano gli elementi di criticità che vanno affrontati e rimossi in un percorso di ipotesi riconciliativa o di riunificazione. Procedere a tentativi degni di questo nome significa puntare ad operazioni politiche e non personali unitarie e condivise, che nulla hanno a che vedere con intenti di cooptazione strumentale, cioè di sommatorie fittizie, asettiche e contabili di sigle, destinate a ricostituirsi con altra toponomastica il giorno dopo le elezioni.

Senza la rimozione di queste condizioni ostative, i processi di unificazione hanno la robustezza di un ghiacciolo sulla pietra focaia. La spinta auto-conservativa infatti, ancorché umanamente comprensibile, non può mascherare intenti personali attraverso semplici plastiche facciali. Sul piano politico la credibilità di un cartello asimmetrico, costituito da sigle che indifferentemente calcano ogni tipo di terreno purché garantite da accordi personali, rottamano sì il modello classico degli schemi storici conosciuti, di destra e sinistra, ma schiantano inevitabilmente contro le profilazioni ideali che il partito per sua natura deve mantenere se vuole avere un senso.

Quel senso capace di arrivare a porre la sua ragione politica nel campo dell’autorevolezza in nome e per conto di un pensiero politico e poi programmatico che non è personale, ma appunto politico, e per il quale non esistono convenienze ma coerenze e rigore.

 

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Walter Pruner

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