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LETTERE AL DIRETTORE

WALTER PRUNER * PATT LEGA E FDI: « IL PRAGMATISMO DEL FARE COMUNQUE, CON TUTTI QUELLI CHE VINCONO (A FARI SPENTI E SENZA VISIONE DI FUTURO) »

Scritto da
12.08 - domenica 5 marzo 2023

Gentile direttore Franceschi,

allego quanto oggi pubblicato sul quotidiano Corriere del Trentino, anche per consentire la visione ai lettori di Opinione.

Walter Pruner

 

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Era il 19 dicembre 1943 e con la Carta di Chivasso “Le popolazioni delle Vallate Alpine” elaborarono la prima Magna Carta dell’ Autonomia. Quest’anno dunque l’80° anniversario di quella che è una pietra miliare da scolpire nei cuori di tutti gli Autonomisti di ogni latitudine politica.

Si misero nero su bianco dichiarazioni ancora oggi di una modernità assoluta, che sancirono le basi dell’ autonomismo moderno attraverso quei valori di principio ed ideali che tanta orticaria producono oggi nelle foibe di coscienze politiche arroccate all’interno del moderno “cencellismo”; quel “cencellismo” che confonde i programmi con la prospettiva politica, l’amministrazione con il governo, la mediazione con la svendita, l’Istituzione con la carica personale. Il nemico giurato di tanta generosità di contraddizioni è la negazione di una parola elegante, discriminante, chiarificante e nobilitante che corrisponde al nome di ideologia.

Smarcarsi da scelte che abbiano carattere ideologico è dunque il passe-partout per giustificare tutte le scelte. L’ideologia è la forma positiva che si contrappone all’ideologismo, e consente di socializzare con la gente quale sia il perimetro di azione politica entro cui il soggetto Partito si colloca.

L’ideologia autonomista è un pensiero di cui non ci si può vergognare: lo si può apprezzare o meno, lo si può considerare tra le priorità dell’azione politica o no, lo si può anche legittimamente contrastare, ma non può essere considerato il nemico della politica. Affermare che non si devono fare delle scelte legate a criteri ideologici, come apparso di recente sulla stampa ed in forma insistita, significa abdicare al ruolo di partito per scivolare nel pantano di un qualunquismo bottegaio che sta all’Autonomismo come il maratoneta alla poltrona.

Quella Carta di Chivasso ispirò anche lo Statuto dell’Asar, quel fenomenale movimento di popolo e di pensiero che nei magnifici tre anni (1945/1948) dell’immediato dopoguerra fece sognare un Trentino in ginocchio, e che stava con fatica impostando la propria ripresa economica e rimonta ordinamentale attraverso una visione di futuro basato sull’ autogoverno dei territori, della sussidiarietà orizzontale e verticale, delle autonomie personali, sociali e territoriali. Quel pensiero assemblava in un unicum politico ricche, differenti, rispettose ma permeabili e dialoganti sensibilità politiche ed ideali di matrice cattolica, liberale, autonomista, socialista, repubblicana.

Erano ideologie che condividevano idee di Trentino, di Regione, di Comunità solidale, di difesa dell’acqua e dell’ ambiente, della salute, di tutela delle comunità periferiche e delle loro piccole economie che andavano tutelate dalle leggi di scala: di più, quel pensiero asarino viveva di un sotteso obbligo morale dei contemporanei ad agire per diritti tutti da conquistare in favore delle generazioni future dopo decenni di dittatura. I mezzi erano quelli che erano, sia economici che culturali, ma i riscontri storici rimandano ad una genuinità, ad una buona fede, che di contro erano immense, così come il riscontro popolare raggiunto fu figlio di una fiducia maturata in seno ad ideali e valori innegoziabili. In-ne-go-zia-bi-li!

Poi, il 25 luglio del 1948, quella multicolore, plurale rivoluzione autonomista di popolo finì, come anche nelle belle fiabe accade. Finì l’esperienza politica affascinante e vera, ed i rivoli di quell’avventura confluirono in realtà diverse. L’ala più radicale dell’Asar portò alla nascita del Pptt, Partito Popolare Trentino Tirolese, padre dell’ attuale autonomismo a due stelle.

Oggi l’ideologia rifiutata, la “foboideologia”, la paura della ideologia e il fiaccamento del valore, passa in qualche territorio della politica attraverso il pragmatismo del fare. Fare comunque, fare con tutti quelli che vincono, fare a fari spenti, fare senza una luce, fare rilassando il cuore, fare senza un visione di futuro, fare nella lettura bulimica di un manuale Cencelli preferito a quello dell’autonomismo. Quello che oggi in linguaggio nazional-popolare sanremese chiameremo “Poltronesofà”.

Nel tempo della divisione, dello scontro sociale utilizzato a fini strumentali, dove anche le tragedie assumono motivo di ricerca di rendita di posizione, quei valori di autonomismo analogico si possono declinare in un contesto storico, quello odierno digitale 3.0, che è certamente diverso, ma mantiene nei valori saldi di allora una modernità assoluta. È vero, la matrice è la stessa: ma quanta lacerante differenza in quel suffisso che trasforma la passione di molti in compassione per pochi.

 

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Walter Pruner

Trento

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