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LETTERE AL DIRETTORE

WALTER PRUNER * PAT E AUTONOMIA: « TENERE VUOTO QUEL BALCONE POTENZIA L’INSIEME E PERMETTE LA VALORIZZAZIONE DELLE DIFFERENZE, SE IL BALCONE RIMANE PIENO APPARE FALSAMENTE SOLIDO »

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11.48 - martedì 5 ottobre 2021

Il sibilo autonomista torna con puntualità svizzera a fischiare nella seconda parte di legislatura. Quel sibilo che arriva quando il vento elettorale s’avvicina.  Succede per intensità e rituale forza   in particolare dall’ entrata in vigore della legge elettorale provinciale n. 2 del 2003. Con essa l’elezione a turno unico con sistema proporzionale, premio di maggioranza ed elezione diretta del Presidente impone di definire alleanze e programmi prima del voto e non più come accadeva in precedenza attraverso estenuanti trattative post suffragio.

È così che obtorto collo, il ruolo in zona franca dell’ area autonomista attribuisce a questa un tasso di appetibilità politica fondamentale quanto centrale nella determinazione degli equilibri.

Lo stato geopolitico attuale da una parte garantisce a quest’area di essere sempre al centro di grossi corteggiamenti, ma dall’altra ha portato al frequente rischio di un attendismo subalterno, guardingo ed attento ad infilare il pertugio giusto, l’alleanza più conveniente, rischiando di alienare principi fondanti il proprio dna sull’ altare di una basica ed originale Realpolitik. Mantenere il necessario equilibrio tra sano pragmatismo da una parte, e funzione attivamente confermativa di una matrice autonomista se non di rango almeno apprezzabile dall’altra,  non è facile ma indispensabile. Lo statico ruolo  mummificatorio che contraddistingue gran parte dello scenario politico trentino attuale è invece certamente la via più sicura a far vivacchiare l’ Autonomia, precondizione questa alla sua inesorabile evaporazione.

Se gli Autonomisti optassero per una via  maestra equidistante tra la tentazione del puro buongoverno da una parte, ed il suprematismo monopolista di un autonomismo autocelebrativo dall’altra, impermeabile a confronto e dialogo, lo spazio per operazioni politiche  sarebbe di fatto inesistente.

Il pensare infatti di sconfiggere la disaffezione attraverso l’attendismo tattico, significa non avere compreso che oggi quel preciso e collettivo percorso politico sfiduciario e sfiduciato  ha assunto altre direttrici, contendibili solo con atti politici testimoniali riconosciuti e non degradati dal crasso interesse di bottega. Stanare quell’ area che citando Montanelli si è turata il naso votando il meno indigesto, comporta un capovolgimento, una forclusione che parta dai temi per arrivare alle alleanze e non viceversa. Quanto sta avvenendo ora è invece nella peggiore delle ipotesi il silenzio assordante, nella migliore il tentativo di costruire la casa senza definirne prima la destinazione d’uso.

La loro parte  gli Autonomisti possono farla concorrendo essi stessi  a scrivere  la destinazione d’uso della casa politica futura; non certo riducendo il tutto alla ricerca degli inquilini con cui condividerla. Questo sarà compito successivo ma ora non quello primario.

Le direttrici di questo decalogo stanno all’interno della tradizione asarina e del popolarismo autonomista che certamente non è nazionalista, non é razzista,  non è sovranista, non è statalista e non è centralista.

E’ sicuramente regionalista; è sicuramente europeista; è sicuramente ambientalista;  è certamente territoriale, è sicuramente inclusivo. Ma è anche legato alla capacità di fare della nostra specialità un propulsore di forte innovazione, con chiare gerarchie di indirizzo volte ad organizzare ora per allora un euroregionalismo che vada oltre le dichiarazioni di maniera ed il rituale taglio del nastro.

E’ chiaro che l’aspetto della comunicazione è qui molto importante. Ma ritenere che informare la popolazione circa la bontà ed imprescindibilità di un’ Autonomia ragionata, declinata con coraggio, fantasiosa ed evoluta, sia sufficiente, non funziona. Non funziona perchè solo un’ Autonomia desiderata dalla gente sarà un’ Autonomia che potrà chiedere anche sacrifici. Solo una voglia di Autonomia rigenerata,  intesa come risposta elastica ma rigorosa, flessibile quanto precisa negli obiettivi può scardinare l’indifferenza autonomista che ancora alberga nelle coscienze di quei troppi che le riconoscono un passato ma non una formidabile potenzialitá. Non è infatti scontato che la semplice appartenenza al territorio sia di per sé certezza di una consapevolezza territoriale. Tutt’ altro. Sarebbe un errore imperdonabile ritenerlo.

In questo senso non rielaborare i perchè di un fallimento differito, quello che  portò nel 2018 un’alleanza di governo a passare dalla guida autonomista della provincia di Trento all’ ininfluenza politica dell’ oggi significa capovolgere il lutto, ed attribuire a chi ha legittimamente vinto, le colpe di una sconfitta brutale che sta invece all’interno di un egoismo, di una presunzione coalizionale che non ha saputo scindere gli interessi di parte condannandosi non tanto alla sconfitta, quanto alla sua non credibilità. Su questa affidabilitá offesa, che è frutto della politica  dominante del particolare su quello del collettivo  occorre lavorare al più presto. E’ una battaglia fiduciaria senza colore ideologico e proprio per questo trasversale ad ogni latitudine partitica, da condursi pena l’abbandono popolare ed il venir meno del rapporto tra politica e popolo che deve essere, se non di stima, almeno di rispetto. La monetizzazione, ridurre dunque l’Autonomia ad un mero bancomat privandola di un indirizzo porta alla sommatoria di micro contingenti interessi di bottega politicamente mortali. E l’essere riusciti a trasformare l’appuntamento elettorale del 2018 da parte della coalizione uscente in una sfida oltre che priva di prospettiva politica anche  di contendibilità e di credibilità, quindi di minima possibilità di riuscita politica ed elettorale, non è un modello rieditabile cui l’Autonomia può riferirsi con orgoglio.

Il tempo sfumato degli ideali, quello che nel secolo scorso fece da collante per intere generazioni si  è disgregato e dissolto. Quella fase della politica plurale ha lasciato spazio alla individualità sfrenata e senza limite, quella che un neologismo in voga oggi descrive come narcinismo, cinico narcisismo iperedonistico ed egoistico. E’ all’interno di questa dialettica che si concretizza l’idea di libertà sinonimo del tutto possibile in quanto egoisticamente godibile, del tutto dicibile, del tutto assimilabile, del tutto plausibile ancorchè non provabile, del tutto permesso perché voluto  e dove è quindi lecito il parallelismo tra Covid e campi di sterminio, tra scienza e scientologia, tra associazione e setta, tra diritto di espressione e falsificazione, tra medicina e propaganda, tra  riscontro scientifico e negazionismo. E  dove la dittatura dell’untore pretende la dignità di chi è fuori dal perimetro etico e giuridico. Oggi il desiderio si stacca dunque dalla legge e diventa puro interesse personale e degradazione della libertà. Ma  la libertà senza legge produce solo disastri.

E guai se le istituzioni, nazionali o domestiche che siano, abdicano: esse hanno come finalità fondamentale quella di porre norme, regole, freni, confini, introducendo elementi di equità ed esercitando le prerogative loro assegnate.

Non assolve al proprio ruolo il soggetto istituzionale che pone dei limiti di interdizione simbolica  al proprio compito. Non può avvenire né lì né qui, né a Roma né a Trento, che si tratti di attacchi ai Magistrati o impugnative statali scontate su provvedimenti privi di prerogative statutarie.

Il cuore sano di ogni partito è che ci sia un vuoto centrale e che non ci sia in questo vuoto il leader carismatico o leader presunto, ma che la funzione del leader, che è fondamentale, sia quella di capire il contesto, comprendere il momento, dare la parola, non avere l’ultima parola, compiere insomma l’azione più difficile: tenere vuoto il balcone. Tenere vuoto quel balcone potenzia l’insieme e permette la valorizzazione delle differenze. Se il centro di quel balcone rimane pieno, questo appare falsamente solido perché al di là della reazione ipnotica del leader c’è il niente.

 

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Walter Pruner

Trento

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