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LETTERE AL DIRETTORE

WALTER PRUNER * AUTONOMIA: « IL TRENTINO FUORI DALLE SEDI DEPUTATE SI CHIUDE ALL’ASCOLTO, NON È UN SEGNO DI DEMOCRAZIA EVOLUTA »

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11.54 - martedì 3 gennaio 2023

Dunque la politica come arte dell’ impossibile, si ripropone: a partire da qualche intervista istituzionale di fine anno. Quanto sia vero e quanto sia attendibile questo detto, quanto appropriato, quanto abusato, quanto citato a sproposito, lo dice la storia che è stata capace nel tempo di dimostrare la forza di questa affermazione quanto la sua debolezza, la veridicità in astratto, la falsità nel concreto.

Gli esiti di questa allocuzione hanno molto il senso, se non trattati con assoluta delicatezza, di permettere scorciatoie in chi la proclama, giustificando tutto. Colui che la brandisce come il falegname che tenta di radersi la barba con la circolare, può farlo in due contesti: il primo è quello di chi avendo elaborato gli elementi ostativi al superamento della crisi ha a monte metabolizzato e risolto le questioni di fondo: non ha rimosso il problema ma lo ha risolto.

Il secondo contesto è quello nel quale semplicemente l’elemento di pregiudizio e difficoltà non lo si risolve e la criticità é unicamente ignorata, tornando a ripresentarsi: è solo questione di tempo. Appartiene alla prima categoria lo statista, il politico acuto, il mediatore raffinato. Appartiene alla seconda il pasticcere, meglio, il pasticcione della politica che prova a preparare la torta, una torta qualsiasi purché adatta ai propri gusti. Quanto poi questa sia di gradimento ai commensali non lo riguarda, purché soddisfi appunto i suoi interessi, e basta.

Detto della necessità di mai considerare in politica la semplice rimozione una soluzione, vi è un’ altro rischio. Figlio di un distorto retaggio della nostra tradizione, la questione del perdono. Quando il perdono è concesso privo di pentimento, diventa una sanatoria: è precario, si basa su fragilissime premesse ed è destinato a vita breve, perché chi lo ha provocato prima o poi recidiva. Diventa semplicemente perdonismo, privo di alcuna prospettiva. Rimozione e perdonismo sono nella politica di oggi fattori di fortissima instabilità nei rapporti interni ai partiti.

Quando si riproduce in politica il concetto di unificazione, di pacificazione, di aggregazione, di cooptazione, il rischio è quello di anteporre strumentalmente l’interesse momentaneo, per traguardare brevi ed effimeri obiettivi, dimenticando ragioni e cause del dissidio: lasciandole sedimentare nella speranza che il tempo funga da demiurgo. Ma così non è.

Il processo di Norimberga rispetto al nazismo in Germania, Piazzale Loreto rispetto al fascismo in Italia sono le due risposte che plasticamente rappresentano la prima l’elaborazione del lutto, la seconda la rimozione con la messa sotto il tappeto della polvere. Gli esiti sono evidenti agli occhi di tutti: la Germania avendo fatto i conti con la sua barbarie storica la studia e non ne è vittima; l’Italia a più di cent’anni dalla nascita del fascismo non ha certezze nemmeno sulla commemorazione del 25 aprile 1945, nervo ancora scoperto tanto da fare notizia e agenda politica.

Esistono forze politiche che per tradizione e storia sono maggiormente esposte al rischio di spaccature e divisioni: con questa insana interpretazione della politica come “arte dell’impossibile”, si sono assolte e si assolvono nei partiti ubriacature derogatorie a principi valoriali portanti. Ci sono state in Italia svolte epocali a destra ed a sinistra, vedasi quella di Fini a Fiuggi o di Occhetto, passate attraverso dolorosi quanto necessari travagli rivisitativi interni che hanno prodotto controversi ma condivisi effetti. La Meloni è certamente un prodotto di quelle scelte.

Cambi di ragione sociale che siano, congressi fondativi, assemblee costituenti, in ogni settore della vita economica sociale o politica questi momenti diventano passaggi ad alto tasso di rischio ma necessari se in pallio vi sono radicali azioni che incidono sulla ragione sociale stessa dell’ soggetto di riferimento. Certo, i confronti serrati comportano il rischio forte di un’alterazione degli equilibri in essere, ma se evitati attraverso appunto atti di semplice rimozione producono solo miserie politiche.

Non compiere questi passaggi partecipativi significherebbe, inoltre, svilire le speranze rigenerative di tutti quei sognatori che pensano che si possa costruire senza svendere, e affermare un pensiero fuori dalle logiche di mercato. Nel Trentino, terra di Cooperazione e di Università, di partecipazione e volontariato, l’anomalia di un’Autonomia che si chiude all’ascolto e dibatte troppo o niente ma fuori dalle sedi deputate non è un segno di democrazia evoluta: specie se in campo ci sono le sorti di Partiti che vivono ore decisive.

Il solo dividendo elettorale di una cedola politica che metta a repentaglio la ragione sociale stessa di una forza, di un movimento, può, da solo, giustificare la loro messa in liquidazione? Dalla risposta dipendono veri e propri scenari di un Trentino che può in questo senso procedere a vista o con lunga vista.

 

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Walter Pruner

Trento

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