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LETTERE AL DIRETTORE

SEN. CONZATTI (IV) * VIOLENZA SULLE DONNE: « IL PATERNALISMO CHE MANTIENE LE DISCRIMINAZIONI SIA TRASFORMATO IN CULTURA DELLA PARITÀ »

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19.48 - giovedì 9 dicembre 2021

Donne e violenza, un binomio difficile da sradicare. Ogni tre giorni anche nel nostro Paese muore una donna. Muore perchè donna, uccisa in modo efferato da un uomo che conosce, spesso dal partner o per mano di un ex. Nella maggior parte dei casi si tratta di un uomo italiano. Le donne vengono uccise dopo anni in cui la violenza è stata una escalation. Una donna su tre in Italia, nel corso della propria vita ha subito una qualche forma di violenza: economica, psicologica, fisica, sessuale…

Si tratta di violenza domestica che si consuma nel luogo che dovrebbe essere il più protetto, il luogo degli affetti. E invece la casa diventa un mattatoio nel quale giorno dopo giorno si susseguono comportamenti violenti maschili che costituiscono reati gravi puniti con la reclusione. Il nostro ordinamento negli anni è stato aggiornato ed ora è completo ma non è abbastanza affinché sia un deterrente. Non abbastanza per far comprendere alla società, tutta, che non si tratta di un fenomeno privato ma pubblico e strutturale. Il Codice Rosso e il Ddl antiviolenza approvato venerdì scorso in Consiglio dei Ministri, che limita ulteriormente la libertà dell’uomo autore di violenza, costituiscono oggettivi passi avanti che rendono via via più efficace l’applicazione delle norme esistenti.

Nonostante ciò ad oggi i numeri delle donne uccise, violate, umiliate sono alti. Per questo, facendo parte dell’Ufficio di presidenza della Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato, mi sono spesso interrogata su cosa si possa fare di più e meglio. La prima risposta che mi sono data è che dobbiamo porci il problema anche da una prospettiva diversa. Per liberare la vita delle donne dalla violenza, dobbiamo parlare del binomio uomini e violenza. Sono gli uomini (nel quasi 98% dei casi) a compiere violenza: per ogni donna uccisa c’è un uomo che l’ha ammazzata, per ogni donna ferita c’è un uomo che l’ha picchiata. Ne deriva che è certamente prioritario punire l’autore del reato così come è necessario proteggere le vittime. Ma quando proteggiamo o puniamo il reato è già stato commesso. Donne sono morte e hanno sofferto. I figli hanno subito ed assistito.

Dobbiamo quindi intervenire prima. Intercettare la violenza nella fase iniziale, analizzarla, disinnescarla. E’ necessario prevenire. Prevenire insegnando in famiglia, a scuola, sul lavoro a rispettare gli altri e a conoscere quali comportamenti sono violenza. Prevenire significa anche formare gli operatori ed i professionisti che a vario titolo si trovano a trattare questi casi. I giudici, gli avvocati, i periti devono conoscere perfettamente la Convenzione di Istanbul ratificata dall’Italia nel 2013 e tutte le norme in vigore ed inoltre devono saper discernere il conflitto dalla violenza. Dove violenza è sopraffazione, un rapporto in cui una delle parti – la donna – è costretta ad un crescendo di subordinazione che la rende psicologicamente in difficoltà a riconoscere la propria situazione, a reagire, a chiedere aiuto e, soprattutto, a denunciare. Per questo il 65% delle donne uccise tra il 2017 e il 2018 non ne aveva parlato con nessuno e solo il 15% aveva trovato il coraggio di denunciare. E nonostante la denuncia è stata uccisa. Proprio per questo dobbiamo formare le forze dell’ordine, i medici (non solo quelli dei pronto soccorso ma anche i medici di medicina generale, i servizi sociali..) a riconoscere i segni della violenza, a valutarne il rischio ad aiutare concretamente le vittime.

Parliamo di cose note. Note alla giurisprudenza, alla dottrina, alle migliori prassi sperimentate in Europa. Azioni, approcci, protocolli che basterebbe mettere a sistema ed applicare capillarmente. Non lo si fa? Non ancora in modo omogeneo. Ci sono Questure, Procure, medici dotati di alta specializzazione e all’avanguardia, altri molto meno. Le Relazioni delle indagini condotte dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio, lo confermano. Ma la formazione serve a tutti nessuno escluso. Perché tutti noi siamo immersi e respiriamo un’aria intrisa di paternalismo.

Che giustifichiamo e che ci sembra normale. Il paternalismo è violenza? Il paternalismo, in cui le donne sono inconsapevolmente o consapevolmente considerate subordinate all’uomo, è il terreno in cui germoglia la violenza. Quando la parola di una donna, anche se più preparata e con un ruolo superiore, pesa meno di quella di un uomo, quando nei convegni le donne non sono tra i relatori silenziando competenze e punti di vista, quando le donne che si laureano prima e meglio dei ragazzi non trovano lavoro, o lo trovano più tardi e con stipendi inferiori ai colleghi, dobbiamo constatare che la situazione è squilibrata e non è paritaria come la nostra Costituzione vuole sin dal 1948.

Quando donne e uomini sono perfettamente nel posto in cui devono essere ma solo le donne si sentono dire “stai zitta e stai al tuo posto” oppure quando sul lavoro, come accaduto ad una giornalista pochi giorni fa, le donne vengono intimidite o molestate: ecco quelle donne subiscono violenza psicologica e molestie. Quando ad una donna che non lavora e che si occupa del lavoro di cura in famiglia, viene negato l’accesso al conto corrente o anche a pochi contanti, quella donna è vittima di violenza economica. Quando a casa un uomo che non trova le parole per argomentare le proprie ragioni chiude la conversazione con uno schiaffo, quella donna è vittima di percosse. E non finisce qui perchè i comportamenti violenti che gli uomini pongono in essere contro la vita delle donne sono molteplici e gravi. È necessario intervenire tempestivamente. Se come la legge dello Stato prevede, vogliamo prevenire, gli uomini devono essere presi in carico prima della denuncia e della condanna.

Esistono dei Centri, anche in Trentino così come in vari Stati d’Europa, in cui specialisti conducono percorsi per la rieducazione degli uomini autori di violenza. Rieducano, con riduzioni apprezzabili di escalation e di recidive, sia uomini che vi si recano spontaneamente o indirizzati da familiari o servizi sociali, così come gli uomini ammoniti dal Questore, come avviene nella Questura di Milano con il Protocollo Zeus ma devono essere presi in carico anche gli uomini raggiunti da misure cautelari del Giudice. Nel mentre i Centri per la rieducazione degli uomini autori di violenza lavoreranno sugli uomini, separatamente le donne potranno scegliere di essere ulteriormente protette e aiutate a liberarsi dalla violenza, indirizzate verso percorsi di autonomia anche lavorativa ed in questo troveranno le migliori esperte ed esperti nei Centri antiviolenza, nelle avvocate penaliste e anche sempre più solide competenze presso le Forze dell’Ordine.

Da 10 anni la Convenzione di Istanbul ci indica la strada per liberare le relazioni dalla violenza: prevenire, proteggere, punire e promuovere a percorsi di libertà. L’attuazione degli interventi previsti non è ancora completa come è evidente dai numeri della violenza. Però sappiamo cosa fare, serve procedere più rapidamente. E la coscienza sociale che giorno dopo giorno diventa sempre più attenta e più severa nella condanna unanime verso ogni tipo di violenza, aiuta.

La politica, quella impressa nei valori della nostra Costituzione, quella del Governo Draghi, la politica europea che il PNRR esprime, convergono in questa direzione. Il paternalismo, quello che mantiene diseguaglianze e discriminazioni tra donne e uomini, deve essere trasformato in cultura della parità.

La politica che pratico, con chi milita con me, è la politica che renderà le donne libere.

 

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Senatrice Donatella Conzatti

Italia Viva

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