Caro direttore Franceschi,
ti inoltro la lettera inviata ad un quotidiano locale cartaceo, e non pubblicata. Come troppo spesso, i direttori non amano lettere di critica. La tua agenzia mi pare più aperta e attenta. Cordiali saluti,
Renzo Gubert
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Egregio sig. Direttore,
l’editoriale del primo giorno di primavera pubblicato dal quotidiano che Lei dirige denuncia lo smantellamento dei diritti delle “nuove famiglie” ad opera dell’attuale maggioranza in Parlamento. L’autrice, Alessia Donà, cui è affidata l’esposizione della linea del “T“ in merito, si lamenta del fatto che non sia possibile registrare all’anagrafe come figli di due padri o di due madri quelli che invece sono figli di un padre o di una madre, mentre il convivente del padre biologico o la convivente della madre biologica che vogliono veder riconosciuto il loro legame con il genitore del bambino possono ottenere tale riconoscimento con la procedura dell’adozione speciale, in considerazione che la madre biologica non lo ha riconosciuto o che il padre biologico è ignoto (salvo che ai banchieri del liquido seminale venduto). Il bambino, una volta registrato come figlio del padre biologico o della madre biologica non perde alcun diritto rispetto ai bambini che sono registrati con padre e madre.
Se il convivente del genitore vuol garantire in modo autonomo la tutela al figlio della persona con la quale convive non ha da fare altro che iniziare le pratiche di adozione. Perché allora la campagna avviata parla di non riconoscimento dei diritti dei bambini? Si tratta di un linguaggio mendace, cui induce anche il termine di “omogenitorialità”, dato che la procreazione per natura è solo possibile da incontro di maschio e femmina. Ma non è solo questione di termini: la campagna è mendace anche perché nasconde ciò che il ruolo di secondo genitore si vorrebbe ottenere o comprando liquido seminale e ricorrrendo alla fecondazione artificiale eterologa (per le coppie di omosessuali femmine) o ricorrendo alla pratica dell’utero in affitto, pagando una donna affinché faccia fecondare un ovulo suo o di altra donna con il seme dell’omosessuale padre e lo allevi nel suo grembo per poi riconsegnarlo al padre una volta nato.
Per evitare che la gente faccia mente locale sulla disumana pratica dell’utero in affitto, la si chiama “gravidanza per altri” o usando anche solo la sigla Gpa. Il bambino ha o meno il diritto di vivere con suo padre e sua madre biologici? E come l’editorialista pensa che si possa garantire tale diritto? Agevolando pratiche che negano in radice la dignità umana, del bambino come della sua madre che è chiamata a consegnare suo filglio a chi è disposto a pagarla per questo? E se l’Italia si oppone ad aggirare il divieto di ricorrere all’utero in affitto tramite un regolamento dell’UE non fa altro che essere coerente con i valori costituzionali italiani, già riconosciuti anche per il caso specifico dalla suprema magistratura.
Spero che la linea dell’editore di “T“ non sia solo quella espressa nell’editoriale del primo giorno di primavera. Sarebbe una fredda primavera.
Cordiali saluti,
Renzo Gubert