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LETTERE AL DIRETTORE

PROFESSOR GIOVANNI WIDMANN * FESTIVAL ECONOMIA TRENTO: « RI-COSTRUIRE L’ORDINE E DECIFRARE L’ENIGMA È UN COMPITO, NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE OGNI PREVISIONE È EFFIMERA E PROVVISORIA »

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09.07 - giovedì 2 giugno 2022

Gentile direttore Franceschi,

Ho ultimato una riflessione sui concetti di ordine e disordine, in riferimento al tema della nuova edizione del “Festival dell’economia di Trento”, che inizia proprio oggi, giovedì 2 giugno. Sono lieto di inviargliene una copia.

Un cordiale saluto.

*

Viviamo nel tempo della tecnica. La tecnica è improntata alla razionalizzazione: procedure che prevedono esattezza e certezza dei risultati, calcolo e misurazione. Nella tecnica secondo Heidegger si esprime il disincanto del mondo, la riduzione a mera utilizzabilità dei suoi enti, che sono qualcosa di «impiegato» (bestellte). Cessa l’incantata contemplazione e vi domina la strumentalizzazione (riduzione a strumento della natura e degli uomini) per un più efficace sfruttamento. La tecnica, secondo il filosofo tedesco, è «pro-vocazione»: attraverso la sua manipolazione la natura è portata allo scoperto (disvelata) e con ciò è chiamata a rientrare nel processo della produzione, secondo il principio della massima utilizzazione delle sue risorse. Ora, se applichiamo il concetto di ordine all’àmbito politico, constatiamo come oggi più che mai esso implichi la subalternità della sfera d’azione politica alle logiche dell’economia e della finanza, le quali a loro volta seguono il paradigma della tecnica. Più complessa è la questione in àmbito scientifico, dove il superamento di antichi schemi scientisti e deterministico-fattuali ha interpretato in modo diverso il disordine.

Illuminante a questo riguardo è il concetto di entropia; nella teoria dell’informazione, ad esempio, quanto più il messaggio perde in chiarezza e univocità, tanto maggiore è il suo grado di entropia. Nell’àmbito della teoria del caos si può fare riferimento all’«effetto farfalla» (E. Lorenz, 1972) per indicare l’estrema sensibilità alle condizioni iniziali da parte dei sistemi dinamici non lineari. Se la ricognizione sul disordine è il fine della scienza al fine di ri-comprenderlo in un nuovo ordine, non mai abbandonando il farsi problema e la domanda, la tecnica presuppone la sospensione dell’interrogazione del pensiero e persegue il suo annullamento. La tecnica non tollera spazi di incertezza, zone grigie.

La tecnica annienta l’in-decidibile e decide. Tuttavia la sua decisione non si ispira alla ragion pratica ma alla ragione strumentale. La ragione critica e problematica si volge invece al dubbio: la skèpsis è nella sua natura; indaga la complessità del reale riconoscendo il suo carattere incerto, imprevedibile e dis-ordinato, ricerca e dubita. In questo suo essere contigua alla vertigine del vuoto e al disorientamento è avvicinabile alla poesia tragica, che impotente sonda gli abissi magmatici del caos riconoscendo che più profonda è la sapienza degli infelici, perché «ciò che resta, lo fondano i poeti» (Hölderlin). Il disordine va dunque riconosciuto come una condizione da esplorare, prima ancora che come un problema da risolvere e superare.

Tuttavia l’ordine come bisogno di chiarità, di verità e di certezza, ovvero come riduzione della complessità, resta un bisogno ineliminabile. Si tratta però di riconoscere il carattere ineluttabile del disordine, in quanto è reale la con-fusione e irriducibile l’eccentricità (tendenza a fuori-uscire dal centro) delle cose, anche se questa consapevolezza è difficile da accettare e genera inquietudine e smarrimento. Così mettere ordine, dare ordine al disordine, ri-ordinare è una tendenza costitutiva dell’umano agire nel mondo, ma questo non deve escludere la coscienza del carattere inevitabilmente sempre provvisorio e precario di tale impegno e dei suoi esiti, nonché del valore rappresentato dal disordine stesso, in specie quando esso deriva dalla messa in crisi di un ordine precostituito.

L’ordine dello spazio, l’ordine del tempo, rispondono ad un’esigenza di controllo, cioè di potere, per cui si può dire che l’ordine nella sua essenza esprime una volontà di dominio. Per questo il disordine sociale è sempre scongiurato e represso: esso si palesa come espressione di una condizione critica, come sintomo di un malessere, ma anche come tentativo di sovvertire l’ordine costituito. In questo senso si può dire che il disordine (almeno nelle sue manifestazioni più lucide e razionali) ha una chiara visione di un ordine diverso e dunque è foriero di nuove visioni e rappresentazioni del reale in quanto prospetta una possibile alternativa, una differenza.

C’è un doppio movimento nella filosofia, come nella scienza: quello che dal disordine risale all’ordine di un sistema o di una teoria e quello che si impegna a de-costruire l’ordine e la verità raggiunti precedentemente invertendo la funzione e la direzione. La filosofia più autentica è l’organo del disordine. Così è nella stessa natura della scienza: nel momento in cui scopre un ordine, crea le condizioni per una messa in discussione dei suoi paradigmi, quantomeno prospetta nuovi problemi, nuove domande, insomma alimenta le premesse per un nuovo disordine.

Ecco allora che due sono le traiettorie intermittenti davanti al disordine:

a) La dimensione pratico-poietica dell’agire-per superarlo: dal disordine all’ordine, attraverso un processo attivo di razionalizzazione, organizzazione e controllo.

b) La considerazione per il valore della rottura dell’ordine costituito: dall’ordine al disordine, attraverso la disarticolazione e il sovvertimento di schemi e strutture consolidate, l’abbandono e la messa in crisi di antiche sistematizzazioni e rappresentazioni.

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Fondamentale in questo caso è la capacità di mettere in primo luogo se stessi in crisi e poi vivere creativamente la propria crisi. Si tratta di due prospettive intellettuali ed esistenziali, non necessariamente antitetiche e alternative, anzi in verità complementari.

Crisi: essere in crisi. In genere il concetto di crisi è connotato negativamente, spesso associato ad uno stato psicologico o ad una temperie storica contraddistinti dalla perdita dei tradizionali punti di riferimento e certezze (crisi di identità, di valori, ecc.). In questo modo però si perde di vista il suo alto potenziale ideativo ed evolutivo, sia per il singolo che per le formazioni sociali. Einstein sosteneva che la creatività nasce dall’angoscia e che la crisi è una formidabile condizione per evolvere e migliorarsi; non uno stato subíto e passivo, ma uno stadio dinamico e pro-attivo. In questo senso possiamo dire che ogni atto dirompente e innovativo sorge dalla messa in crisi di esperienze e abitudini consolidate, è un portare disordine dentro una struttura ordinata e con ciò farla evolvere verso nuovi equilibri.

“Esperienza” e “Abitudine” sono figlie della saggezza del tempo, ma un tempo che fa del disordine la sua cifra è tempo disincantato che lucidamente è capace di guardare in faccia la realtà, tempo che non si scoraggia di fronte al “Caos” e non si sottrae al “Mutamento”. Il tempo del disordine non è ciclico né lineare come quello dell’ordine, ma intermittente. Nell’interpretazione del mito della caverna non ci si sofferma mai abbastanza sui servi che trasportano le statuine, eppure essi hanno una funzione importante: sono i manipolatori delle illusioni, operatori dell’ordine della menzogna.

Riconoscere il connaturato disordine delle cose significa avere coscienza del carattere aperto e problematico dell’esistenza e del mondo, del suo essere un enigma insoluto per noi; è auscultare gli idoli della verità riconoscendo il loro vuoto, la loro inconsistenza dietro l’apparente solidità e pienezza di una forma. In questo senso si fa filosofia col martello, come sosteneva Nietzsche, non avendo paura di scoprire il ni-ente o altro sotto la trama che viene raccontata, il senso che si involge in non-senso, la storia che trasmuta in una babele di suoni inarticolati. È la dodecafonia del moto contrario e retrogrado che noi ascoltiamo quando si fa silente la forma-sonata dell’ordine ed appare la dissonanza atonale del disordine. L’enigma è forse insolubile? Nel de-comporsi dell’ordine «Ich fühle luft von anderem planeten» (S. George).

Volere risolvere il disordine in un ordine è utile alla tranquillità dell’animo angosciato e irriflesso dei più, e perfino necessario alla vita, ma è pernicioso per lo spirito e per chiunque voglia essere pensatore; certo non si addice all’indole curiosa dello scienziato e del filosofo, frequentatori erranti delle regioni del dubbio e della macerazione. È infatti necessario tenere aperto il vuoto e vivere al suo cospetto, costantemente provare la vertigine; è fondamentale nella vita non soltanto misurarsi con l’altezza ma vivere pericolosamente su di sé la propria debolezza e bassezza. «L’altezza ci attira, non i gradini; con l’occhio fisso alla mèta noi amiamo camminare in piano.» (Goethe). Allo stesso modo l’aristotelica meraviglia non è lo stupore della serena contemplazione ma l’orrore angosciante davanti all’ignoto, all’indecifrabile. La filosofia nasce dalla meraviglia e senza di essa muore. Per questo il nostro mondo disincantato dominato dalla tecnica è così ostile alla filosofia, cioè a pensare.

Ecco allora che è destino avere soltanto pochi e limitati spazi di ordine, essere isole nell’oceano del disordine che è la vita, ansiosi di fari per orientare la navigazione nel mare aperto e tempestoso. La migliore filosofia ha questa capacità di stare davanti alla tempesta, è attitudine ad abbandonare la via tracciata e vocazione allo smarrimento. Uno sguardo ampio è per sua natura complesso, cioè articolato. Più profondo è ciò che è eccentrico.

Ri-costruire l’ordine, decifrare l’enigma è un compito, però nella consapevolezza del carattere effimero e provvisorio di ogni previsione e risoluzione.

 

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Giovanni Widmann

Insegnante di Storia e Filosofia al liceo Russell di Cles (Trento)

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