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LETTERE AL DIRETTORE

PROF. GIOVANNI CESCHI (PRESIDENTE CONSIGLIO SISTEMA EDUCATIVO TRENTINO) * SCUOLA: « I LUOGHI COMUNI NEL POST-COVID »

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10.24 - martedì 14 luglio 2020

«Tanto nelle cose piccole come nelle grandi si potrebbe evitare quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare prima di parlare. Ma parlare, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell’altre insieme, che noi uomini in generale siamo un po’ da compatire». Così Manzoni commenta, alla fine del capitolo 31 dei Promessi sposi, l’irrazionalità dilagante in tempi di peste: riflessione quanto mai attuale a bilancio di un periodo di moderna pandemia cui è possibile applicare analoghe categorie. Ma noi uomini del duemila siamo forse meno da compatire perché, rispetto all’epoca di Renzo e Lucia, avremmo il vantaggio di quattro secoli in cui ci si attenderebbe che il metodo scientifico e la sistematizzazione del procedere logico abbiano spazzato via ogni residuo d’irrazionalità.

E invece, per focalizzare il ragionamento sulla scuola del dopo emergenza, pare che il metodo d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare prima di parlare non sia invalso né al ministero né, più in piccolo, nel nostro dipartimento istruzione e cultura. Mesi d’epidemia gestiti sul filo dell’emotività, proclamando che “la scuola non si ferma” grazie a un’alternativa come la didattica a distanza che senz’alcuna evidenza scientifica è stata presentata come la panacea della pestilenza che ci teneva segregati, salvo svelare ora i danni, pandemici anch’essi, che ha generato; protesi a rassicurare che “tutto andrà bene” con la sanatoria dell’avanti tutti che ha spazzato via, scientificamente sì, ogni speranza che l’impegno motivato degli studenti potesse salvare questi mesi surreali di reclusione. E così via fibrillando, con l’emergenza “gestita” ricorrendo sui social a slogan di pancia e nelle sedi istituzionali a colpi di decreto e di legge, senza mai approdare nelle aule parlamentari e consiliari, per tenere in piedi a costi minimi una macchina altrimenti inceppata.

E ora, a luglio inoltrato, a fronte di un decorso epidemiologico molto rassicurante, con numero dei contagi pressoché irrisorio, la situazione non sta migliorando per quanto riguarda i luoghi comuni che rivitalizzano sul filo dell’emotività un’emergenza per fortuna assai allentata se non completamente risolta. Alcune questioni, attinte al più recente dibattito sulla scuola. Anzitutto: considerando che scientificamente è ormai dimostrato che bambini e ragazzi non sono stati i vettori primi del contagio (se non perché, essendo loro quasi asintomatici, lo hanno diffuso in modo silente in una fase iniziale di allerta zero) che senso ha continuare a descrivere la scuola come una sorta di prima linea del fronte sanitario, con due mesi d’anticipo sul ritorno fra i banchi e nel dilagare di un libera tutti estivo che sta affollando in quasi completa normalità luoghi turistici, locali pubblici, palestre, campi sportivi, cinema e teatri? Forse il virus è calibrato sul calendario scolastico?

Le rassicurazioni sul fatto che sarebbero già state definite tutte le misure sanitarie e organizzative per rispondere ai più diversi scenari, nella gradualità che ogni evento pandemico storicamente consiglia, lasciano poi trapelare due sole alternative, opposte e radicali: un rientro in sostanziale normalità, pur con ovvie precauzioni sanificanti e distanziali, o una nuova chiusura completa al manifestarsi – Dio non voglia – del primo focolaio epidemico. Una specie di déjà-vu che ci fa tornare indietro ai primi di marzo, dopo il famoso pazzo weekend sulle piste da sci, quando la scuola in Trentino riprese normalmente per poi chiudere in modo drastico al primo manifestarsi di un contagio in alcuni istituti del capoluogo. Tutti a casa e via sparati con la didattica a distanza. Gli scenari intermedi e i relativi protocolli sono stati definiti? E allora perché non renderli pubblici e non prevedere un coinvolgimento effettivo degli interlocutori istituzionali e dei portatori d’interesse – Consiglio del sistema educativo, Consulte di genitori e studenti, cittadini – che hanno diritto di sapere sulla base di quali dati scientifici saranno investiti i fondi destinati alla scuola nell’imminente assestamento di bilancio?

In queste settimane si sono succedute numerose petizioni, da parte di tutti gli attori della scuola (con l’eccezione degli studenti, che sembrano subire passivamente il dibattito politico-istituzionale: e questo, almeno per i ragazzi delle superiori ormai quasi adulti, sorprende un po’). Manifestazioni in piazza, migliaia di firme, richieste ufficiali del CSEP rivolte a presidente, assessore e dipartimento istruzione. Nessuna risposta ufficiale, vaghe rassicurazioni a mezzo stampa sul fatto che tutto sarebbe sotto controllo. Ma il rapporto fiduciario tra politica ed elettori, ancor più in un ambito così cruciale come la scuola, non può essere una cambiale in bianco.

In vista di settembre, docenti studenti e famiglie – che saranno sul campo impegnati in una difficile ricostruzione dalle macerie della DaD – hanno diritto di conoscere in ogni dettaglio gli scenari prefigurati: parametri di rischio epidemico validati da autorità scientifiche e non dal buonsenso di qualche funzionario, che definiscano le soglie per un rientro normale, per un nuovo lockdown ma anche, e soprattutto, per chiusure selettive nel caso d’improvvise recrudescenze; piani di screening di massa del personale e degli studenti che consentano d’isolare con ben definite procedure eventuali positività e a tutti gli altri di proseguire in sicurezza; proiezioni statistiche e scientificamente fondate per una successiva reversibilità delle misure emergenziali. Ne conseguono piani di utilizzo degli ambienti scolastici e recupero di spazi aggiuntivi, protocolli di sanificazione e distanziamento, accordi con aziende pubbliche e private per trasporti e mense: aspetti che tuttavia – non dimentichiamolo – sono a servizio di una gestione razionale dell’emergenza che metta al primo posto il diritto all’istruzione e non possono dettarne logiche, tempi e modalità.

Di tutto questo, nulla si sa al momento. E delle due l’una: o esiste un modulato e flessibile “piano C”, alternativo alla normalità e al lockdown, e allora non si vede per quale motivo la comunità scolastica tutta non debba conoscerlo nei dettagli; o non esiste, e allora dovremo prendere atto che si naviga aggrappati alla speranza che “tutto andrà bene”. Pronti a farlo poi credere a parole, appena qualcosa andasse storto, mentre gli scolari e gli insegnanti si ritroveranno come in primavera tappati in casa davanti a uno schermo e a una telecamera: ma questa volta, per quanto riguarda la responsabilità tecnica e politica di un simile malaugurato scenario, senza la possibilità di addurre la giustificazione del cataclisma che si abbatte tra capo e collo.

 

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Giovanni Ceschi

Presidente del Consiglio del sistema educativo del Trentino

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