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LETTERE AL DIRETTORE

MAURO MARCANTONI * AUTONOMIA: « METTERE DA PARTE LA LOGICA DELLA CONTRAPPOSIZIONE, CONDIVIDERE SOLUZIONI E MÈTE DA RAGGIUNGERE PER L’INTERESSE COLLETTIVO »

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10.45 - giovedì 3 febbraio 2022

Ritrovare la voglia di costruire.  Nelle tecniche comunemente utilizzate nella formazione del management, e non solo, vi è un esercizio estremamente efficace: simulare con il massimo impegno la soluzione peggiore per poi, a ritroso, arrivare a quella migliore. È un esercizio che, per la prima metà, quella di ricercare la soluzione peggiore, è stato mirabilmente messo in atto dalla politica italiana in occasione dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Intendiamoci, il risultato è stato più che onorevole. Date le inquietanti condizioni di partenza e di percorso, l’esito finale può essere considerato il frutto inaspettato dello “stellone” italiano. Ma il metodo con cui si è arrivati al risultato è degno della più accurata e diligente ricerca del “peggio possibile”.

Stellone a parte, fatta qualche rara e meritoria eccezione, tutto il resto si è palesato nella sua avvilente evidenza, segno tangibile del fallimento della nostra politica: da quella di destra a quella di sinistra, passando per il centro. Una deriva trasversale caratterizzata da tre cifre dominanti: l’assoluto e sconcertante distacco dal Paese reale e dalle sue esigenze; la frammentazione della politica fino all’eccesso, fino all’individualismo più spinto e opportunista; l’utilizzo scriteriato e irrispettoso delle persone, specie se di genere femminile. Ciò che è avvenuto è la certificazione inequivocabile del fallimento della nostra politica nazionale, la dimostrazione plastica che senza cultura politica non si può fare politica. Solo questa cultura sa creare circuiti positivi a favore degli interessi superiori del Paese e sa interrompere i cortocircuiti negativi che la scarsa cultura politica mette in atto.
Due esempi in positivo che vanno citati e che hanno concorso a sbloccare la situazione in cui ci si era impantanati: il togliersi dal gioco di Pier Ferdinando Casini al tempo giusto, in forma ufficiale, davanti al tricolore; la scelta di Mario Draghi di salire al Colle per chiedere a Mattarella di accettare un secondo mandato. Casini, politico di lungo corso cresciuto alla scuola politica democristiana; Draghi a quella laica della finanza strategica che ha tolto l’Europa, e l’Italia in particolare, da un rischiosissimo impasse.

Da tutto questo è possibile trarre qualche insegnamento valido per il Trentino? E, più in particolare, la nostra politica può ricavarne qualche suggerimento utile per compiere le scelte migliori senza passare dalle forche caudine delle scelte peggiori? Certo le situazioni sono diverse e i fattori in gioco hanno dimensioni e nature non confrontabili. Tuttavia, con le necessarie approssimazioni, qualche paralellismo può risultare utile.
Proviamo a dire Italia e a pensare Trentino. Il rischio di un distacco tra politica e società reale lo corriamo anche noi; il rischio della frantumazione fino all’individualismo opportunistico lo corriamo anche noi; il rischio di bruciare le persone, o di non farle crescere, soprattutto se donne, lo corriamo anche noi. La differenza è che siamo una piccola terra con una lunga tradizione di storia e di responsabilità fattiva verso le nostre comunità: sto parlando dell’Autonomia, della sua cultura, del senso civico che sa esprimere, del concreto esercizio di autogoverno che la hanno generata e fatta crescere.

Nella convinzione che qualche buon risultato sia realmente a portata di mano della nostra politica locale, e della sua tradizione, senza alcuna pretesa di completezza, proverò ad offrire qualche spunto per una riflessione che mi auguro ampia e partecipata. Una riflessione sul come, a livello trentino, si possa dare il buon esempio, nella speranza che a livello nazionale facciano altrettanto, auspicabilmente anche meglio.

Primo spunto. Visto che viviamo in una terra piccola e, tutto sommato, a controllo diretto, l’auspicio è che la politica, e non meno la nostra coscienza civica, riescano ad individuare con sufficiente chiarezza i nostri veri interessi collettivi, ponendoli a guida, non al traino, della nostra azione politica e istituzionale. Questo, da solo, sarebbe già un formidabile passo avanti, perché capire quali siano i nostri veri bisogni, non solo quelli dell’oggi, ma anche e soprattutto quelli del nostro domani, senza confonderli con la voce di chi grida di più o con le pressioni di chi ha più potere contrattuale, sarebbe già moltissimo. E ancor meglio sarebbe constatare che i partiti sappiano concretamente guardare a questi interessi, collocando in secondo piano quelli di parte, o peggio quelli personali.

Secondo spunto. Che intorno a questi interessi superiori, penso alle prossime elezioni provinciali del 2023, sappiano condensarsi almeno due coalizioni politiche credibili per consistenza, coesione interna e qualità della proposta. Una sana concorrenza fa bene alla competizione e dà ai cittadini la possibilità di scegliere tra la proposta più appetibile, non tra quella meno fragile. Sarebbe un modo sicuramente efficace per rimotivare i cittadini al voto.

Terzo spunto. Che il personale politico sia scelto con criteri che tengano conto delle capacità e delle sensibilità di cui sono dotati, non per mera appartenenza, per fedeltà, o per il pur importante effetto mediatico che sanno attrarre, che va considerato ma non sopravvalutato. Una scelta che deve essere preparata, non improvvisata, che richiede studio e pratica, che deve considerare nella giusta misura la componente femminile, i giovani, chi ha alle spalle esperienze di pregio nella lettura dei fenomeni sociali, economici e ambientali, magari supportati da qualche significativo esercizio concreto e ben riuscito.

Mi rendo conto che sto facendo un elenco di cose scontate, persino banali da quante volte sono state dette e ridette. Solo che questa scontatezza e questa banalità nascondono una realtà che, nel concreto delle cose è quasi un automatismo praticato a parole e smentito nei fatti. Nella vicenda nazionale appena conclusa, averne constatato gli effetti amari e brucianti può forse dare una spinta vitale e risolutiva per fare, in sede locale, di questa scontatezza e di questa banalità un obiettivo concreto e un rigoroso criterio comportamentale. Se quello che fino ad oggi siamo riusciti a costruire in termini di responsabilità civica e di disponibilità all’impegno è all’altezza delle aspettative, quanto fin qui auspicato può realmente diventare un programma politico per un Trentino all’altezza delle sue tradizioni e del grande prestigio della sua Autonomia.

Ovviamente questo richiede la volontà e la capacità di ripensare, attualizzare e qualificare la nostra cultura politica, mettendo da parte la pura logica della contrapposizione, dell’essere contro a prescindere, per rafforzare la vocazione al proporre, al costruire, al cercare e condividere soluzioni e mete da raggiungere per l’interesse collettivo.

 

 

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Mauro Marcantoni

 

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