Gentile direttore, Le chiedo gentilmente di valutare la pubblicazione di questa mia riflessione.
La gogna mediatica: fare informazione o vendere giornali? Sbatti il “mostro” in prima pagina.
Troppe volte abbiamo visto pagine intere, con gigantografie del “mostro” in prima pagina, con dovizia di ipotesi di reato, con relative interviste di cittadini “indignati”, che poi sono state smontate dalla realtà documentale e giudiziaria.
Certamente, però, a fronte di assoluzioni perché “il fatto non sussiste”, non si è vista una analoga campagna giornalistica riabilitativa.
Penso di saperne qualcosa di “gogna mediatica”, perché l’ho subita.
Penso che non sia vero che se si riesce a superare un periodo così difficile si diventi più forti. Penso che esperienze così drammatiche ti cambino per sempre. Ti cambiano intimamente perché durante i periodi di gogna mediatica impari a congelare il cuore, a congelare ogni emozione, ti imponi di annullare ogni emozione, ti imponi di non sentire nulla, ti concentri sulla tua difesa.
Quando tutto si risolve al meglio, ti accorgi che un po’ di fango ti rimane comunque addosso e che in alcuni rimane il sospetto che “qualcosa di vero, ci sarà pure stato!”.
Penso che vi siano dei ruoli, quali quello dei magistrati, che hanno in mano la dignità, l’onore e la libertà dei cittadini, che debba essere svolto da persone capaci di essere imparziali, equilibrate, al di sopra di ogni sospetto, non coinvolte nelle dinamiche politiche, senza rapporti amichevoli con il potere economico, sociale e politico e, non ultimo, devono essere riservate. I processi sono pubblici, ma si svolgono nelle aule dei tribunali, solo in quella sede i magistrati, inquirenti o giudicanti, possono e devono parlare, non nelle conferenze stampa o nei talk show.
Il magistrato dovrebbe essere al di fuori delle contese, faccio un riferimento azzardato: verso la fine del XII secolo i Comuni medioevali introdussero la figura del podestà e tale carica poteva essere ricoperta da una persona non appartenente alla città che andava a governare, in modo da evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine e garantire l’imparzialità nell’applicazione delle leggi. Il podestà era eletto dalla maggiore assemblea del Comune (il Consiglio generale) e durava in carica, di solito, sei mesi o un anno. Doveva giurare fedeltà agli statuti comunali, dai quali era vincolato, e alla fine del mandato il suo operato era soggetto al controllo da parte di un collegio di sindaci.
Dal XII secolo ad oggi, le cose sono cambiate, esiste la Costituzione, il codice civile e penale, il Csm e, in teoria, la legge deve essere applicata in modo uguale in tutto il territorio nazionale e quindi ammetto che il paragone è azzardato, ma la cosiddetta “giustizia ad orologeria” non è una fantasia.
Quante volte abbiamo assistito ad avvisi di garanzia consegnati, prima ai giornali che agli interessati, in piena campagna elettorale e quante volte le indagini strombazzare dalle prime pagine si sono poi rivelate inconsistenti!? Troppe!
I nostri magistrati, generalmente, sono assolutamente inseriti nelle società in cui amministrano la giustizia, partecipano alle relazioni sociali, sono invitati a cene e feste, e se non sono superuomini o superdonne ne sono inevitabilmente condizionati anche nell’esercizio del proprio ruolo.
Agli atti delle inchieste che mi hanno riguardato non c’erano denunce di cittadini o segnalazioni anonime, ma solo qualche articolo di giornale, non frutto di inchieste giornalistiche, ma un semplice articolo che riportava chiacchiere, rivelatesi infondate.
Certamente alle spalle della giornalista ci sarà stato qualcuno che non aveva né il coraggio né la dignità di assumersi la responsabilità di una denuncia, correndo quindi il rischio di essere poi coinvolto in un risarcimento.
Anche chi svolge il ruolo importante dell’informazione dovrebbe essere consapevole che tratta della dignità e della vita delle persone e così come si dà ampio risalto all’inizio di una procedura giudiziaria si dovrebbe dare altrettanto risalto alle assoluzioni, specie con formula piena, ma così generalmente non avviene.
Questa abitudine a creare il “mostro” non è ovviamente riservata ai politici, ma a chiunque venga, suo malgrado, scelto come adatto al ruolo. Certo, la denuncia dell’abuso, del reato, “commesso” dai politici, e ancora di più delle donne in politica, è particolarmente efficace e priva di rischi concreti per chi la pratica. E vale anche all’incontrario: quante volte la stampa assolve il violentatore seriale, o lo stupro di gruppo perpetuato da ragazzi di buona famiglia, o da un uomo di potere “che è una così brava persona”, ma si accanisce contro la vittima?
La questione, secondo me, va posta sempre in termini di valori: il rispetto della dignità delle persone, deve essere praticato sempre ed in ogni momento, con la consapevolezza che le parole pronunciate sono macigni sulla vita delle persone.
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Margherita Cogo