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LETTERE AL DIRETTORE

GIOVANNI WIDMANN * CAMBIAMENTI CLIMATICI: « DOBBIAMO RECUPERARE IL SENSO DEL CONCETTO GRECO DI “HYBRIS”, PER RITROVARE LA NATURA IN NOI STESSI »

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09.55 - martedì 19 luglio 2022

In relazione ai cambiamenti climatici causati dalle attività umane si parla di sconvolgimento dell’ordine naturale, di rottura dell’equilibrio, utilizzando spesso in maniera ingenua e superficiale il concetto di «natura». Ora, volendo passare dall’opinione di senso comune ad una definizione più precisa e rigorosa del concetto, dobbiamo ricostruirne brevemente la storia, individuando alcune fondamentali concezioni filosofiche di natura utili a comprendere come esse persistano inconsapevolmente anche nel dibattito culturale attuale e come contribuiscano a fornire le matrici teoriche delle diverse posizioni argomentate e sostenute. A dimostrazione che il concetto di natura è una rappresentazione culturalmente definita che ha avuto un’evoluzione nel corso della storia del pensiero.

Una prima fondamentale concezione di natura (seguo parzialmente la ricostruzione dell’Abbagnano) fa riferimento al concetto greco di phýsis, quale principio immanente e causa del movimento di tutte le cose. Nell’antichità tale concezione ilozoica fu sostenuta dai filosofi presocratici, ma fu Aristotele a definire la Natura come «la sostanza delle cose che hanno il principio del movimento in se stesse». La natura è causa finale del mutamento e della realizzazione di tutti gli enti, in ragione della quale conseguono la propria forma, non accidentalmente ma secondo fini prestabiliti e necessari. Una ripresa di questa concezione si ebbe nel naturalismo rinascimentale. Nell’antichità già Platone nel Timeo aveva affermato che la Natura ha un’anima e dunque è pervasa da un principio vitale. Campanella sostenne che vi è un’«animazione e simpatia universale», secondo la quale tutte le cose sentono e sono in reciproca relazione. Giordano Bruno, affermando che «la Natura o è Dio stesso o è la virtù divina che si manifesta nelle cose», ne accentuò il carattere panteistico operando una vera e propria spiritualizzazione della natura, ripresa successivamente dalla filosofia romantica (panismo) e da Schelling, che considerava la Natura come manifestazione dell’Assoluto, identificando Natura e Spirito.

Una seconda concezione intende la Natura come ordine e necessità. Anche in questo caso la matrice filosofica più antica è lo stoicismo. Secondo questa prospettiva la Natura ha in sé le «ragioni seminali» del proprio mutamento, che segue un preciso e regolare ordine necessario. Fu in questo contesto speculativo che venne introdotto l’importante concetto di «legge naturale», che per secoli ha costituito un fondamentale principio nell’ambito della morale e del diritto. Con lo sviluppo della scienza moderna venne ripresa l’idea che i fenomeni naturali seguono un ordine immutabile e necessario che è compito della scienza sperimentale, col concorso di esperienza e ragione, scoprire e descrivere. Di nuovo sotto l’influenza del Timeo di Platone, secondo il quale la Natura aveva una struttura matematica, Galilei affermò che «la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.» La visione meccanicistica della natura che caratterizzò lo sviluppo della scienza moderna con Galilei, Newton e Boyle, fu poi ripresa in ambito filosofico da Kant, secondo il quale «la Natura è la connessione di fenomeni secondo regole necessarie o leggi», senza alcun finalismo.

Una terza concezione pensa la Natura come una manifestazione degradata dello spirito. Nella tarda antichità fu Plotino a sostenere questa tesi, secondo la quale «la Natura è il riflesso dell’anima nella materia» e come tale è «esteriorizzazione». Tale concezione ha costituito nel tempo il presupposto di tutte le filosofie spiritualistiche (a titolo di esempio possiamo annoverare nel primo Novecento Bergson). Ma fu Hegel a segnare in modo emblematico il carattere puramente meccanico, deterministico e necessario, privo di coscienza e di libertà, della natura, contribuendo a fornire le basi filosofiche per una svalutazione, oltre che della Natura, anche delle scienze della natura, concezione che in Italia nell’ambito del neoidealismo fu ripresa da Gentile. Secondo Hegel la Natura è l’idea «fuori-di-sé», che si aliena e si fa altro, cioè si esteriorizza come natura; la Natura è il regno dell’«accidentalità sregolata e sfrenata».

Dopo questa sintetica e inevitabilmente parziale disamina delle diverse concezioni di Natura elaborate dalla filosofia, possiamo fare alcune considerazioni ulteriori. Una diffusa opinione di senso comune concepisce la natura come una madre: Madre-Natura, Madre-Terra benevola, protettiva e provvidente, generatrice della vita. La Natura in questo senso assume precise connotazioni morali e le sue leggi hanno carattere prescrittivo. Infrangendo la «legge di Hume» si derivano così giudizi di valore da giudizi di fatto, passando dal piano descrittivo a quello normativo, dall’essere al dover essere. In sostanza l’ordine e le leggi di natura rivelano fini etici e come tali orientano le azioni umane (come di tutti gli altri esseri) attraverso tendenze, istinti ed impulsi naturali che quando vengono abbandonati o repressi (ad esempio per assumere una seconda natura, ovvero un abito comportamentale derivante dall’abitudine e dall’educazione, che deve trarre-fuori dalla naturalità istintiva e incosciente, umanizzare e civilizzare. Storicamente, questo fu il paradigma dominante della cultura illuminista che enfatizzava il concetto di progresso) provocano disordine, situazioni patologiche, condotte contronaturali, male.

Questo non esclude una razionalità della e nella Natura, che anzi esprime un disegno intelligente, un progetto originario, un finalismo in opposizione al caso. Si tratta di una personificazione della Natura derivante da un residuo di mentalità antropocentrica, infatti la scienza contro intuitivamente descrive e spiega i fenomeni naturali in termini di leggi e processi interrelati, non di fini (studia cosa accade, come e perché accade, cioè studia le «cause efficienti», non finali). Tuttavia la visione teleologica è una tendenza radicata e persistente che ha origine nella natura stessa dei processi cognitivi, in base ai quali è più intuitivo e naturale fare riferimento ad un télos operante in natura. Anche in questo caso vi è l’influenza della prospettiva antropocentrica, per cui appare naturale l’equiparazione tra un artefatto notevolmente elaborato prodotto dall’ingegno e dalla creatività umana, come un telescopio, e determinate strutture e funzioni complesse riscontrabili nel mondo naturale, come l’occhio (fu Darwin a fare quest’esempio).

Qualche riflessione meritano anche due tradizionali dicotomie: a) naturale/artificiale e b) natura/cultura. Qui è opportuno ricordare la posizione eretica e in controtendenza di Rousseau (1750), che in polemica con la cultura illuminista francese del suo tempo non riteneva che le scienze e le arti fossero un fattore di progresso e di civilizzazione, ma anzi di corruzione morale e dei costumi. Secondo Rousseau l’uomo, naturalmente buono, per effetto delle opinioni, delle convenzioni e dei pregiudizi della società si è progressivamente allontanato dall’originario «stato di natura», snaturandosi e degenerando. L’altra dicotomia è quella tra naturale/artificiale, che tanta parte ha avuto nell’identificare il primo termine come positivo e il secondo come negativo, o almeno tendenzialmente negativo, per cui ogni intervento dell’uomo mirante a manipolare e/o modificare l’ordine della natura (ad es. a livello biologico) ne compromette l’equilibrio provocando danni irreversibili e mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della biosfera. Qui si segnalano gli opposti estremismi, sia di coloro che condannano a priori le potenzialità delle moderne biotecnologie ai fini del miglioramento della vita umana, sostenendo posizioni integraliste e un naturalismo radicale, così come di coloro che invece sono ancora pervasi dall’ideologia di un dominio dell’uomo sulla natura, come se questa fosse un’alterità nemica da contrastare e controllare per i propri fini pratici. Oggi tale visione ha rivelato tutta la sua limitatezza e pericolosità.

Riteniamo che una rinnovata filosofia del limite possa renderci coscienti del fatto che non tutto è riconducibile alla manipolazione tecnica, che vi sono ambiti irriducibili al controllo e alla trasformazione secondo una logica utilitaria in base alla quale l’uomo pretende che la natura sia alla mano, strumento e riserva di risorse e di energia finalizzate a soddisfare i suoi bisogni (spesso secondari o addirittura superflui). Invertendo dialetticamente la definizione di Hegel, il quale sosteneva che «la mano è ciò che l’uomo fa», possiamo dire che la mano fa ciò che l’uomo è, ovvero che l’azione, l’attività umana verso la natura, quando ne fa scempio e la sfrutta sconsideratamente, qualifica l’uomo, lo rivela nella sua stoltezza, avidità e miopia.

Forse dobbiamo ritornare alla naturalità, non col candore e l’innocenza del fanciullo, che ormai abbiamo perso irrimediabilmente, ma con la coscienza di chi ha compreso di aver travalicato un limite estremo. Dobbiamo forse recuperare il senso profondo del concetto greco di hybris. Ritrovare la natura in noi stessi, noi stessi nella natura può essere un inizio di saggezza, l’avvio di una pratica di temperanza. Negl’occhi rimane l’incanto di un antico, assolato meriggio, la memoria di un fanciullo che raccoglie fragoline di bosco perduto nella levità dell’oblio. Possiamo ancora, anche noi, nell’epoca del «disincantamento del mondo», sentirci profondamente, visceralmente parte di un’entità suprema e benigna? Possiamo sentirci affini alla vita? «Chi ha pensato il più profondo, ama il più vivente». (Hölderlin)

 

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Giovanni Widmann

Insegnante di filosofia e storia al liceo Russell di Cles (Tn)

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