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LETTERE AL DIRETTORE

GIOVANNI KESSLER * ELEZIONE MATTARELLA: « SALVINI IL PEGGIORE, PRESO DALLA FRENESIA DI DIMOSTRARE DI ESSERE IL GRANDE REGISTA È PASSATO DA BERLUSCONI A CASSESE – CASELLATI – BELLONI – DRAGHI – MATTARELLA »

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08.29 - domenica 30 gennaio 2022

L’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica è la scelta migliore per il Paese. Tutta la sua vita è testimonianza di dedizione al bene pubblico con integrità, fermezza e pazienza. Nel primo settennato ha saputo guadagnarsi la fiducia della stragrande maggioranza dei cittadini. È colui che ha la più grande autorevolezza sui partiti e i loro leader e Dio sa quanto oggi ce ne sia bisogno. La rielezione non è una diminuzione di democrazia, come qualcuno ha detto, al contrario, è una sua manifestazione: si sceglie, liberamente e senza limiti anche temporali,  il candidato migliore. E così è stato. Quanto all’età, basti ricordare che Pertini quando fu eletto era più anziano del Mattarella di oggi, come anche il secondo Napolitano; e non sono stati per questo  Presidenti poco attivi o poco amati.  Ciò che conta è che il Presidente rappresenti l’unità della nazione e che sappia essere arbitro imparziale e intransigente della vita politica e istituzionale. Mattarella ha dimostrato di avere queste doti più di chiunque altro oggi in Italia. Giusto quindi festeggiare la sua rielezione.

Tutto bene allora? Non proprio. I partiti e i loro capi sono arrivati a questa scelta quasi come un ripiego, dopo settimane di inconcludenti schermaglie, esibite vanità e goffi tentativi di ritagliarsi un ruolo di leader o di guadagnarsi qualche misero vantaggio di parte. I cittadini, spettatori, non hanno gradito e la loro credibilità è oggi al minimo. Non tutti di sono però comportati allo stesso modo; vediamo meglio.

Draghi. Il migliore. Non ha mai nascosto la sua volontà di diventare Presidente. Questo inizialmente ha rischiato di intaccare la sua indipendenza dai partiti e quindi la sua forza e autorevolezza. Ma è l’autore di due atti decisivi di questa vicenda: quando Salvini è andato a offrirgli i voti del centrodestra in cambio di un rimpasto del governo a favore della Lega (e con lui ministro degli interni) ha rifiutato il mercimonio, a costo di rimetterci l’elezione. Ed è stato lui ad andare a chiedere la disponibilità a Mattarella e a portare poi i partiti del suo governo a fare lo stesso. Altro che ‘tecnico’, abbiamo un vero leader politico. Teniamocelo stretto. Ne abbiamo bisogno in Italia ben oltre il 2023 (e in Europa nel 2024!).

Salvini. Il peggiore. Preso dalla frenesia di dimostrare di  essere il grande regista, è passato dal sostegno a Berlusconi a Cassese, da Casellati a Belloni, da Draghi a Mattarella. Rappresentando a turno (o anche contemporaneamente) l’alleanza di centro destra, se stesso o la Lega e cercando intese con Draghi, poi con Conte contro Letta, con Meloni, con Letta ma senza Meloni e così via. Dopo un po’ i suoi non riuscivano più a seguirlo e ad un certo punto anche lui è sembrato non capire più dov’era. Ha lasciato una scia di candidati sfracellati e ha sfasciato il centro destra. Letta ringrazia.

Già, Letta. Può non essere apparso un protagonista. Invece, con il suo stile felpato e democristiano,  se ne è stato fuori dall’insulso balletto dei nomi di questa settimana, ha resistito alle tentazioni e alle lusinghe di candidati civetta e ha lasciato che gli improponibili si schiantassero da soli. Tutto questo tenendo insieme il corpaccione del PD e della sinistra. Alla fine, sulle macerie lasciate dagli altri, è riuscito a far passare con naturalezza ciò a cui puntava fin da principio. Promosso a pieni voti. Se non fosse che questa settimana ha evidenziato un grave problema per il PD: Conte.

L’”avvocato del popolo” non voleva perdere l’occasione per dimostrare le sue doti di stratega. E allora era pronto per una donna, Casellati o Belloni che fosse, ha flirtato con Casini. Ha trattato con Salvini dietro le spalle degli alleati di centrosinistra. Tutto, purché Presidente non diventassero il cattivone Draghi che gli ha preso il posto, Cassese che lo aveva criticato quando era primo ministro e purché si potesse intestare la vittoria e un’innovazione. Per fortuna è stato tenuto a bada da Letta, Renzi e, sì, anche da Di Maio. E nemmeno la pancia dei grandi elettori M5S l’ha seguito. Alla fine ha dovuto accettare un risultato che ne certifica la nullità. Narcisista e vanesio, inconcludente e sleale, questo episodio potrebbe essere ricordato come il suo ultimo capitolo in politica.

Matteo Renzi. Anche lui ha affrontato l’elezione con la spocchia del kingmaker che sa come vanno a finire le cose. Sì è dimostrato il più acuto e brillante stratega, ha sventato i tentativi Casellati e Belloni, ha tamponato Conte. Ed è stato leale: non ha abboccato alle sirene del centrodestra ed ha rifiutato il mercato delle cariche. Chapeau! Poi anche lui non ha resistito a partecipare al beauty contest, proponendo il suo candidato, Casini, con l’intenzione di rinforzare l’area di centro di cui vuole essere il leader. Sappiamo come è finita: non è certo la vittoria che ora cerca inutilmente di intestarsi. Tutto considerato, una buona sufficienza.

Meloni. Dopo il sostegno a Berlusconi, in cui non credeva, si è intestardita a imporre un candidato (“un patriota “) del centro destra. I candidati, Casellati e poi Nordio, erano francamente improponibili, tanto che nemmeno tutta la sua coalizione li ha votati. Sì è persa poi nelle giravolte di Salvini e nelle macerie del centrodestra. Alla fine se ne è stata da sola a votare Nordio, come un bambino imbronciato che si tiene stretto il pallone perché gli altri non vogliono giocare con lui.

Infine, menzione d’onore: Berlusconi. Ha capito in tempo che non era il caso di insistere con la sua candidatura, a dispetto di quello che gli faceva capire la corte di saltimbanchi e di interessati adulatori che gli sta intorno. Non è stato certo facile uscire di scena così, lasciando l’ultima occasione per avere una posizione. Dal letto d’ospedale poi, liberato dall’ansia del ruolo, ha dato indicazioni di ragionevolezza. Rispetto!

 

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Giovanni Kessler

 

 

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