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LETTERE AL DIRETTORE

GIOVANNI CESCHI * “LICEO DEL MADE IN ITALY“: «“I COME ITALY“, TUTTO È IGNOTO DI QUESTO “LICEO”, TRANNE IL FALLIMENTARE PRIMO GIRO D’ISCRIZIONI»

Scritto da
22.01 - lunedì 9 settembre 2024

Gentile direttore Franceschi,

 

allego quanto oggi pubblicato sul quotidiano “l’Adige, anche per consentire la visione ai lettori di Opinione.

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Giovanni Ceschi

Insegna Italiano, Latino, Greco al Liceo “Prati”

 

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I Come Italy. Ricomincia la scuola. Come ogni anno, buoni propositi e retorica a fiumi per bagnare l’inaugurazione. Come ogni anno, i buoni propositi durano lo spazio degli ultimi caldi estivi, perché la suola non è certo nella lista delle priorità vere. Come ogni anno, con la retorica bisognerà invece continuare a fare i conti perché quella può fluire sempre, a costo zero. E quindi avanti con le tante «i» germogliate dalle tre famose di Moratti: innovazione, informatica, inglese, impresa, inclusione (di facciata). Tutti concetti insidiosi, per la loro ovvietà vestita di nuovo che si coniuga con interessi sottostanti. La più pericolosa è senz’altro «impresa», perché presuppone una finalizzazione della scuola all’economia e non – come dev’essere – al futuro degli studenti.

Simbolico di questa novità senza sostanza che incontra i pensierini d’inizio anno e la retorica del fare è il «Liceo del Made in Italy». Nella trappola insidiosa delle «i» morattiane è caduto proprio il Ministero di un governo che vorrebbe affermare l’italica identità. E infatti per definire un indirizzo che dovrebbe valorizzarla si è pensato bene di usare un’espressione inglese, che per giunta fa lampeggiare un’idea manifatturiera. I come Italy. I come inchino, all’impresa e all’inglese. I come ignoto: perché tutto è ignoto di questo “liceo”, tranne il fallimentare primo giro d’iscrizioni, e la malcelata intenzione di farne qualcosa di diverso da un liceo.

In che senso il Made in Italy è un non-liceo – anzi, un anti-liceo? Per chiarirlo dovremo prima ricordare che cos’è un liceo. Nella percezione comune, liceo è una scuola superiore che prepara all’università, laddove l’istruzione tecnico-professionale si focalizza sull’applicabilità diretta delle competenze. Raffinando la percezione comune che magari confonde l’effetto, e lo status symbol, con il fine (di preparare a future specializzazioni e professionalità) potremo dire che il fine del liceo è una preparazione solida e ampia, libera dalla spendibilità immediata e proprio per questo in grado di garantire agli studenti una permanente, formidabile capacità di adattamento alle sfide, anche lavorative, del domani. Ecco perché la crisi dei licei in Italia è crisi di senso: ampliando la platea e dando a intendere che esista un liceo “take away”, il liceo lo stiamo uccidendo.

Quello del Made in Italy è quindi un ossimoro scolastico. Un “liceo” proteso, fin dalla pubblicistica ministeriale, a costruire uno specifico profilo professionale. Che liceo potrà mai essere? L’utenza non ha capito. O forse ha capito fin troppo. Il disagio lo si percepisce già nell’imbarazzo di partire senz’avere ufficializzato un curricolo con orario delle discipline completo dalla prima alla quinta e – peggio ancora – senza un piano di studio dietro l’etichetta del prodotto in vendita. La finalità, per contro, è brutalmente chiara: sperimentare una scuola venduta come liceo ma che ha la sfrontatezza di attuare senza veli il messaggio della fallimentare didattica per competenze. Diamine, anche il liceo deve servire!

A che? A preparare attuatori competenti e mansueti di una logica d’impresa. E dove? Il Trentino lo ha esplicitato con le linee d’indirizzo presentate ancora prima di confrontarsi davvero con i docenti “esecutori”: nel liceo delle scienze umane, cioè proprio nella scuola che – lo promette il nome – dovrebbe accogliere gli studenti con un caldo flusso d’umanità. Meno letteratura (zero latino, manco a dirlo), meno storia e filosofia, meno scienze umane e matematica teorica, più informatica e statistica, lingue straniere finalizzate all’uso, per fare spazio a diritto, economia politica, geografia economica e altre materie (scienze giuridico-economiche “per il Made in Italy”) la cui dignità epistemologica è a dir poco discutibile. Niente di nuovo, si dirà: una specie d’indirizzo economico-aziendale della ragioneria. Che c’è di male? Che la ragioneria è altra cosa di un liceo, né più nobile né meno nobile. Semplicemente, serve ad altro.

E a che serve un liceo-anti-liceo come questo, intriso di salsa trentina e mascherato con il pretesto che lo “declineranno” i singoli istituti (cioè: una scuola di Stato che abdica volontariamente al principio di omogeneità della preparazione dei suoi giovani)? A che serve, se non a marcare un territorio sulle spalle di chi si “avvarrà” di quell’offerta formativa? Davvero, all’inizio di un nuovo anno scolastico, c’è disperato bisogno d’umanesimo. Nel senso più alto. Fatto anche di logica stringente e spietato realismo nell’analisi della realtà. Che smaschera ogni mistificazione e ripristina lo spazio e il tempo di una scuola onesta, dove si studia il bello e l’eterno prodotti dall’uomo, che soli possono renderci esseri umani realizzati e felici.

Questo auguro agli studenti, ai miei colleghi, a tutti coloro che a vario titolo da oggi faranno nuova la magia della scuola. Un Liceo, e una Scuola intera, che tornino a misura d’uomo.

 

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