Gentile direttore Franceschi,
allego quanto pubblicato sul quotidiano l’Adige, anche per consentire la visione ai lettori di Opinione.
///
Ciò che più lascia interdetti nella recente vicenda dell’elicottero “parcheggiato” in quota sul Grostè per consentire al suo proprietario una bella sciata, non è solo l’evidente disprezzo per ogni minima regola di rispetto dell’ambiente alpino, ma soprattutto l’arroganza di un gesto che la dice lunga sull’idea “padronale” della montagna e della natura.
I fatti sono semplici e per questo incredibili. Ho voglia di sciare. Non ho tempo da perdere fra un business e l’altro. Andar su in macchina non mi conviene. D’altronde, ho i soldi per l’elicottero e se non lo uso nel bisogno, a cosa mi serve?
E se poi arriva la multa – che è comunque sempre troppo modesta per simili insulti al buon senso oltreché alla montagna – io pago! Questo sembra essere stato il ragionamento dell’autore di un simile gesto. Davanti ai Carabinieri, tempestivamente intervenuti, il padrone dell’elicottero si è tolto sci e scarponi, ha raccolto il verbale ed è ritornato a casa, ovviamente volando e probabilmente amareggiato per non aver potuto completare la tanto desiderata discesa.
Penso alla fatica quotidiana di chi vive la montagna; di chi sale in quota portando nello zaino il necessario per la fatica, per il lavoro, per una quotidianità nutrita di rispetto. Rammento l’asprezza della salita dei nostri vecchi che dialogavano con la montagna e che si portavano gli sci sulle spalle per ore, per poi discendere una sola volta, gustando la pienezza di attimi che sapevano di eterno. Ricordo i rischi di chi saliva e sale, sfidando condizioni climatiche ed ambientali, consapevole di un rapporto reverente con la montagna, con i suoi silenzi, con i suoi spazi e con il suo spirito.
Comprendo che al padrone dell’elicottero tutto questo non dirà nulla. Lui ha fretta e vuole sciare. Il resto non conta. Mi chiedo se è solo colpa della sua grassa ignoranza o se anche noi qualche responsabilità, in simili comportamenti, l’abbiamo e credo che nessuno sia esente.
Per decenni abbiamo inseguito un modello commerciale della quota. Abbiamo trasformato l’asperità della vita in montagna con la leggerezza del racconto romantico. Abbiamo perseguito una idea di ricchezza nascosta dentro valli e cime, ritenendo facile appropriarci di tale ricchezza, trasformando fienili in alberghi di lusso, prati e pascoli in piste super attrezzate e silenzi azzurri in laceranti boati del “divertimentificio” montano a qualunque costo. Concerti rock, feste di massa, resort che sfidano l’impossibile, spazi trasformati in scenari pubblicitari, tanto finti quanto accattivanti e ovunque piste, piste e ancora piste. E mentre respiri perché sei in Trentino, presta attenzione alle pale dell’elicottero dell’imprenditore di turno che, afflitto da mille urgenze, arriva dal cielo, parcheggia dove più gli aggrada e poi va a farsi una rapida sciata prima di tornare di fretta ai suoi affari.
Stiamo seppellendo la montagna, il suo ambiente e la sua stessa essenza sotto cumuli di residui organici e solidi, perché se è vero che la montagna è di tutti, moltissimi si sentono autorizzati a trattarla come il proprio cortile condominiale. Uso e consumo immediato, perché non c’è tempo per nessun rispetto. A questo siamo arrivati, nell’indifferenza di coloro che sarebbero chiamati a tutelare la montagna e l’ambiente e non a favorirne lo sfruttamento più spietato. Elicotteri oggi e voli charter domani, anche in barba a rischi e pericoli che qualcuno corre coscientemente perché la fretta è più importante della vita.
Non ci resta che piangere o prendere in mano le cose e cambiarle. Spetta solo a noi, che siamo i cittadini della montagna. Agli altri rimane l’elicottero.
*
Luciano Ferrari
Presidente Sosat – Trento