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LETTERE AL DIRETTORE

DORI (PRESIDENTE CONSULTA PAT SALUTE) * SANITÀ TRENTINA: « CHIAROSCURI DA IMPUTARE NON SOLO ALLA RIORGANIZZAZIONE, MA ANCHE ALLE CARENTI INDICAZIONI DI POLITICHE DELLA SALUTE »

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12.55 - venerdì 25 febbraio 2022

Un progetto di riorganizzazione della sanità trentina con luci e ombre. Recentemente la Consulta provinciale per la salute ha partecipato all’incontro promosso dall’Assessore provinciale alla salute e dai vertici della APSS per un esame congiunto della “Proposta di nuova organizzazione della APSS trentina”. La Consulta al fine di rendere più “produttivo” tale incontro aveva anticipato all’Assessorato e alla APSS un documento nel quale venivano anche poste alcune richieste di chiarimento e ulteriore approfondimento. Nel complesso il confronto non è riuscito a sciogliere tutti i nodi da noi rilevati e ha confermato la sua natura ancora in parte ricca di chiari e oscuri.

Vorremmo riproporre un interrogativo centrale: perché mai nel PNRR si è voluto inserire, per quanto riguarda il tema sanità, il potenziamento e riorganizzazione della medicina territoriale? Perché per questo settore sono state destinate delle risorse importanti? Perché nel complesso, ad un esame critico e autocritico del sistema sanitario pubblico italiano, quella realtà è risultata carente, disomogenea, scarsamente efficace rispetto ai bisogni di salute dei cittadini e mediamente con parametri al di sotto della media europea e piuttosto carenti rispetto ai paesi nordici. Quindi quelle risorse messe a disposizione dovrebbero principalmente servire per colmare quel gap.

Per raggiungere tale obiettivo in modo omogeneo sul territorio italiano, stante anche i forti squilibri esistenti fra regione a regione e fra le aree del nord Italia rispetto a quelle del sud, il PNRR entrava nel merito e indicava a tutti la strada e gli obiettivi da raggiungere. L’obiettivo era duplice quello di rendere più omogenei i servizi sanitari e sociosanitari rifirmando in modo significativo l’esistente.

Il pensiero forte, ispiratore era quindi quello che le sfide poste dal profondo cambiamento demografico (invecchiamento della popolazione), epidemiologico e sociale doveva modificare profondamente quella impostazione, dimostratasi non più attuale anche in seguito alla apndemia, centrata sulla sola cura delle patologie in un ottica ospedalecentrica.

Era quindi necessario un cambio di paradigma per assegnare un ruolo fondamentale alle dimensioni della promozione della salute, della prevenzione (determinati della salute) e della riabilitazione. Le malattie croniche, per definizione non guaribili, rappresentano e rappresenteranno sempre più la grande sfida per i servizi sanitari nazionali e regionali e sempre meno potranno essere affrontati attraverso approcci di attesa con interventi solo quando il patrimonio della salute risulta depauperato e aggravato dentro un approccio assistenziale fortemente squilibrato su una matrice biomedica.

Già la Conferenza di Alma Ata del 1978 ci ricordava che l’obiettivo di garantire il massimo livello di salute a tutte le persone dipendeva e dipende dall’adozione di politiche per la salute che andassero oltre le dimensioni prettamente biomediche , interessando altri ambiti: il lavoro, i trasporti, l’alimentazione, l’educazione, l’abitare, l’attività fisica e altro ancora. L’indicazione chiara era quella di sviluppare e potenziare i servizi sanitari territoriali attraverso le Cure Primarie (approccio Primary Health Care).

Sulla base di tali considerazioni nel nostro documento, consegnato all’assessorato e a APSS, ribadivamo che il nuovo modello di riorganizzazione sanitaria provinciale, si doveva concretizzarsi e svilupparsi a partire dai bisogni di salute delle persone e delle loro famiglie. Partire da questa prospettiva significava assicurare una presa in carico e una cura secondo un approccio olistico e di attenzione ai bisogni fisici, psicologici, sociali, relazionali e spirituali, soprattutto nelle condizione di fragilità e vulnerabilità, a partire dalle condizioni di rischio – medicina proattiva – (vedi note allegate -”criticità”). Significava recuperare, censire e valorizzare tutte le risorse professionali e anche informali (volontariato) che operano sul territorio e delle buone prassi organizzative e operative, utilizzate per i vari processi di salute e di cura.

Abbiamo condiviso favorevolmente la presenza, fra i principi e obiettivi indicati nel progetto di riforma, di una declinazione dei temi legati alla presa in carico degli utenti, garantendo continuità e umanizzazione dei percorsi di cura; alla necessità di garantire omogeneità ed equità dei servizi; all’impegno verso la semplificazione e il decentramento dei processi decisionali, alla telemedicina, al teleconsulto e al sostegno dei percorsi di ricerca, innovazione e formazione. Abbiamo altresì condiviso l’indicazione “forte” rivolto alla prevenzione ove si prevede la creazione di un dipartimento specifico sottolineando l’aspetto centrale del rafforzamento della prossimità con il territorio e il consolidamento della rete di sanità pubblica. E la “trasversalità” dei dipartimenti per garantire omogeneità di trattamento e presa in carico delle persone con patologie.

Rimane poco chiara la riconferma dell’ospedale policentrico, come quelle indicazioni relative ai Dipartimenti territoriali e transmurali e le reti professionali locali. In qualche modo poi risulta del tutto contraddittoria l’assoluta assenza del riferimento alle “case di comunità” e agli “ospedali di comunità” per i quali a livello nazionale, insieme alle altre regioni e provincie è stato recentemente sottoscritto il riparto dei fondi PNRR legati per il Trentino alla realizzazione di 11 case di comunità e di 3 ospedali di comunità. L’assenza di qualsiasi riferimento nel documento di riorganizzazione della sanità trentina di tali strutture territoriali lascia quantomeno perplessi e stupiti. Non si capisce la “reticenza” a legittimare tali scelte qualificanti e decisive per l’attuazione di una riforma vera della medicina territoriale.

Come in tema di “avvicinamento” della sanità ai territori e ai cittadini si sia voluto ribadire ancora la scelta (maturata in Giunta provinciale ancor prima del PNRR) dei tre distretti destinati a circa 200.000 abitanti quando gli standard indicati a livello nazionale parlano di uno ogni 100.000 abitanti. La proposta trentina di dotare poi i distretti di due ambiti ciascuno sembra più un escamotage per “annacquare” la contraddizione dimensionale dei tre distretti.

Non viene poi affrontato il nodo altrettanto centrale della riforma in chiave socio sanitario e sociale attraverso la creazione finalmente di percorsi di cura e presa in carico integrata e tale da garantire la continuità assistenziale. Cosi come risulta troppo debole e tutta sanitaria la proposta di potenziamento e riqualificazione dell’assistenza domiciliare. Nel frattempo apprendiamo dalla stampa locale che il comune di Predazzo e Cavalese stipuleranno a breve dei protocolli d’intesa con l’assessorato provinciale alla salute per realizzare delle Case di comunità. E’ partita la corsa all’accaparramento dei fondi PNRR? E sulla base di quale programmazione, di quali contenuti? Non è dato di sapere.

Ecco questi sono alcuni chiaroscuri che forse non è giusto imputare esclusivamente ad una proposta riorganizzativa, ma che chiamano in causa anche le carenti indicazioni di politiche legate alla salute futura dei cittadini trentini.

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Renzo Dori
Presidente della Consulta provinciale per la salute

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