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LETTERE AL DIRETTORE

BONFANTI – VALER – ERLICHER – TESSADRI – CIANCI * “SUPERTRENTO“: « PIANIFICARE LA CITTÀ SIGNIFICA CONTRASTARE GIGANTISMO E COSTRUZIONI FUORI SCALA »

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16.16 - sabato 10 dicembre 2022

A proposito di SUPERTrento. Nel pomeriggio di martedì 6 dicembre 2022, il Sindaco di Trento, Franco Ianeselli, ha presentato, con una apposita conferenza a Palazzo Geremia, SUPERTrento, ovvero Scenari Urbani Partecipativi per l’ Ecologia e la Rigenerazione”. Si tratta di un progetto che si propone di “immaginare la Trento dei prossimi trenta anni. Ridefinire la forma e le funzioni della città liberata dai treni nel tratto fra lo scalo Filzi ed il quartiere delle Albere, confrontarsi sulle scelte, le destinazioni degli spazi, le connessioni fra il centro ed i sobborghi, le opportunità di cambiamento”.

Si tratterebbe insomma, secondo Ianeselli e la sua Giunta, di dare corpo alla idea di città posta in essere dal Piano Regolatore redatto con la collaborazione di Jan Busquets, nel 2003 (venti anni fa!), che il Sindaco spaccia come “sogno” e che considera come linea di confine fra conservatori e chi invece pensa al futuro (che per lui è il capitalismo green, rigorosamente in inglese).

La prima cosa che balza agli occhi è lo strumento scelto per questa “partecipazione”, il nome che il Comune ha scelto per presentarla (Metaprogetto prima, SUPERTrento poi), la logica da “urbanistica contrattata” che la informa fin dalla sua nascita, il cui coordinamento è delegato ad uno studio di architettura privato (Campomarzio), su cui gli stessi ordini professionali hanno avuto da ridire. Ianeselli sembra agire nella totale ignoranza della legislazione urbanistica ed in particolare del Piano Regolatore Generale che ha per funzione proprio la pianificazione della città ed inventa invece un percorso ed un nome (Metaprogetto, ovvero gli scenari urbani “partecipativi”) tanto caro a chi teorizza che la nuova urbanistica è fatta di patti fra pubblico e privato e che la pianificazione classica sarebbe troppo sanzionatoria e prescrittiva, che ci sarebbe bisogno, insomma, di una pianificazione elastica, in altre parole di venire a patto con la rendita fondiaria e speculativa che nelle città spesso la fa da padrona, anteponendo gli interessi privati al bene comune.

E’ tipico di questo modo di pensare, e di operare, anziché provare a trovare una funzione ed un disegno unitario dove al primo posto sono appunto i beni comuni e l’interesse collettivo.

Che questa sia la logica sottesa al Metaprogetto ed a SUPERTrento è dimostrato anche dal linguaggio e dagli obbiettivi di questa iniziativa. Si parla delle aree “che si libereranno” come aree da occupare e da costruire, ovvero come opportunità speculative, quasi che il compito del pianificatore fosse quello di riempire i vuoti anziché quello di rispondere ai bisogni della città (e come se i vuoti, ovvero le are verdi ed inedificate, non fossero anch’esse parte essenziale del disegno urbano).

La domanda a cui la città dovrebbe rispondere, lunghi dall’ essere “quale Trento per il 2050” e quindi che relazione fra Trento e le mutazioni storiche ed epocali nella quali siamo inseriti, diventa, in questa logica, “come utilizzare gli spazi che si libereranno” dall’ interramento (tutt’altro che certo e ad oggi economicamente neppure immaginabile!) della linea ferroviaria storica dallo scalo Filzi al quartiere delle Albere”.
Illazioni? Tutt’altro!

In questo scenario da “sogno” mancano tre elementi fondamentali: una riflessione su cosa è oggi Trento e sull’ enorme consumo di territorio che la ha contraddistinta negli ultimi 30 anni, i bisogni della città (a cominciare dalla necessità di contrastare la gentrificazione che sta caratterizzando i quartieri centrali), le scelte di sviluppo economico che caratterizzano questa fase della nostra Autonomia.
Cominciamo da questo ultimo elemento che come vedremo è intimamente connesso agli altri due.

La quasi totalità della Politica Trentina pensa alle grandi opere come motore dello sviluppo. Il Trentino sta facendo della Alta Velocità e della Alta Capacità il centro del suo sviluppo futuro, le previsioni delle Camere di Commercio parlano per il 2030/2040 di una ferrovia e di una Autostrada che porteranno 80 milioni di tonnellate annue di merci (oggi ne portano poco più di 40): altro che passaggio da gomma a rotaia! Qui siamo in presenza del tentativo di trasformare il Trentino da realtà dove la montagna è il tratto distintivo della identità delle popolazione a nastro trasportatore di merci verso il centro Europa ed il Mediterraneo, presentando la mobilità territoriale del Trentino come il modo più veloce ed attrattivo per portare le merci da nord a sud dell’ Europa.

Completamento della Valdastico (con uscita a Mattarello come ha sostenuto la Giunta Rossi con l’appoggio del PD nel protocollo di intesa con Zaia del 2018), raddoppio della statale della Valsugana, le tratte di collegamento in Veneto fra la Brennero e le autostrade tirrenica ed adriatica, terza corsia dinamica con realizzazione di un galleria di 6 km a Trento e spostamento della autostrada sotto il Bondone (come prevede il programma della A22 per i prossimi 10 anni)…tutto si muove nella stessa direzione: consolidare ed allargare la funzione del Brennero come principale valico per le esportazioni e importazioni italiane, aumentando, anziché contrastando, quel “traffico deviato” che usa la A22 perché ha i pedaggi meno cari, consente un costo ridotto del gasolio e attraversa un territorio, l’Austria, dove il prezzo del gasolio è significativamente più basso.

Tradotto sulla città questo scenario (che Ianeselli si guarda bene di contrastare) significa aumento del traffico merci da e per l’Interporto stimato, nel Dossier di progetto che accompagna il progetto di circonvallazione di Trento, in 630 mila camion all’ anno (più di 2000 al giorno!) presso l’interporto stesso, intasamento della circonvallazione cittadina (già oggi super oberata di traffico e per la quale si ipotizza il raddoppio)), 10 anni di cantieri per una circonvallazione ferroviaria inutile e devastante (si pensi solo ai pericoli connessi all’ attraversamento della aree ex SLOI ed ex Carbochimica), drammatico aumento dell’ inquinamento atmosferico, già oggi quasi sempre ai limiti e oltre di quanto consentito ed inquinamento acustico. In generale una politica energivora e clima-alterante in aperto contrasto con la impellente necessità di contrastare la crisi climatica ed ambientale.

Ma centralità della grandi opere in Trentino si sposa anche con il secondo elemento a cui prima accennavamo: accentramento su Trento della totalità, o quasi, delle funzioni pubbliche e private, ovvero quel fenomeno che ha permesso alla città di crescere (a differenza della quai totalità dei capoluoghi di Regione in Italia) di circa 15 mila abitanti negli ultimi trenta anni nonostante la forte migrazione, verso Pergine Valsugana ed i primi comuni della Valle dell’ Adige, da parte delle famiglie più giovani, alla ricerca di alloggi meno cari. Un fenomeno che sta producendo una significativa rottura fra città e valli (e che è stato il principale retroterra della vittoria leghista nelle elezioni provinciali del 2018). Uno studio in questo senso ancora non esiste ma non sembra sproporzionato dire che oggi i due terzi del bilancio della Provincia Autonoma di Trento viene speso per Trento e Rovereto. Chi oggi pensa alle funzioni pubbliche ha difficoltà a rintracciarle fuori dai confini di Trento e molto parzialmente di Rovereto e la prospettiva è quella di potenziare questa tendenza anche a seguito della realizzazione a Trento del Nuovo Ospedale.

La politica delle grandi opere insomma desertifica il tessuto economico ma anche i paesi delle valli trentine e basta guardare con attenzione alle statistiche demografiche della Provincia per vedere che a crescere sono solo Trento, Rovereto e la valle di Fassa, mentre il resto del territorio cala sia in valori assoluti che in percentuale. A questo si aggiunga che Trento città ha antropizzato circa 15 ettari all’anno di territorio (ben 450 ettari in trenta anni), a fronte di un generale calo degli abitanti in Provincia e nel paese. Una quantità di territorio grande quanto la metà di quello che Trento aveva utilizzato nei primi mille anni della sua storia.

Infine, ed è questo il terzo elemento a cui accennavo prima, un pezzo di città è relegata ai margini è fuori da qualsiasi Metaprogetto, che come scopo ha aiutare la rendita immobiliare e fondiaria a valorizzarsi, attraverso la realizzazione di episodi edilizi senza alcuna relazione con i bisogni cittadini e spesso in aperto contrasto con questi, Da anni a Trento non si costruisce più un alloggio di edilizia economici popolare (in provincia sono circa 1200 gli alloggi Itea sfitti perché da risanare!) mentre Ianeselli magnifica il quartiere delle Albere, il luogo simbolo della finanziarizzazione del settore immobiliare, tenuto in piedi dal fatto che li hanno trovato posto funzioni (il Muse e la biblioteca universitaria) che hanno permesso di scaricare sul pubblico parte consistente dei costi e che sta, a causa dei suoi elevatissimi prezzi e del fatto che è ancora sostanzialmente vuoto (circa 400 alloggi sfitti!), drogando verso l’alto il mercato immobiliare cittadino.

Nel Metaprogetto (ed in SUPERTrento) i bisogni dei cittadini scompaiono ed i soldi del PNRR, che dovevano servire a favorire la transizione ecologica, tornano nell’alveo classico della speculazione immobiliare e finanziaria.

La storia dimostra che non è paradossale che su Trento siano previsti alcuni miliardi di euro per le grandi opere ed invece al Comune manchino 4 o 5 milioni per la ordinaria amministrazione, che ci sia un peggioramento della sanità, che siano state disarticolate le politiche dell’ accoglienza, che non ci sia una sola idea sullo sviluppo agricolo (pur essendo Trento il più grande comune agricolo della Provincia), né sulle politiche energetiche alternative (neppure di fronte alla palese crisi dell’idroelettrico, dovuto alla modificazione climatica) e ad una incipiente crisi delle utilitys di proprietà comunale. Tutte le inchieste sulle grandi opere dimostrano infatti che oltre ad essere portatrici di corruzione e di inquinamento del rapporto affari politica, desertificano anche le amministrazioni locali dalle quali drenano risorse anziché crearne (su questo l’ANCI ha negli anni scorsi scritto pagine significative).

Fare un Piano Regolatore significa partire per primo dai bisogni, dalle necessità cittadine in termini di sviluppo economico, ma anche di bisogni della popolazione, tutelate e preservare il territorio, riconvertire (non rigenerare, vocabolo simbolo della neo lingua del capitalismo green) le attività mettendo al primo posto la riconversione ecologica della economia, operare per mettere in relazione le eccellenze della ricerca con la produzione in loco delle innovazioni e dei brevetti..

Trento ha bisogno di un nuovo piano regolatore ovvero di riflettere sul proprio ruolo e di dare risposta ai bisogni della propria cittadinanza a partire dalle classi sociali subalterne.
Fare un nuovo PRG significa principalmente avere il concetto di limite come bussola del proprio operare, e quindi lavorare per un riequilibrio delle funzioni pubbliche e favorire un loro spostamento sul territorio, all’ insegna di quel Trentino policentrico su cui era nato il PUP nel 1964; stop alle nuove costruzioni e riutilizzo dell’ esistente anche attraverso un reale censimento della proprietà pubblica ed un suo riutilizzo funzionale; operare per aumentare il patrimonio edilizio pubblico contrastando la gentrificazione di gran parte della città, originata in gran parte dalla assenza di una vera politica edilizia per l’università; una politica seria di edilizia economico popolare (in italiano non in inglese ovvero rispondendo alla domanda casa con opere che davvero contrastino la rendita e calmierizzino il mercato delle locazioni, ormai da tempo fuori controllo); rilancio delle “casa-clima” e dell’ utilizzo del legno, dell’ efficientamento energetico degli edifici, a cominciare dalle proprietà pubbliche e dalle aree industriali e artigianali…

Nello specifico poi l’idea di Ianeselli e della sua Giunta sposa la storia gigantista e speculativa della città. Presentare come una grande scelta (come fa il fascicolo Trento e Ferrovia) lo spostamento, avvenuto per motivi militari!, dell’ Adige ad opera degli austriaci nel 1860 è sposare l’idea che sviluppo cittadino significhi pesanti sacrifici per i cittadini ed in particolare per i più poveri. Lo spostamento del fiume cambiò completamente faccia oltrechè alla città producendo un suo sviluppo nord/sud, mentre prima aveva uno sviluppo est ovest, anche al quartiere di San Martino ed ha prodotto l’espulsione del Castello e dell’Adige dalla città storica. Lo stesso piano di arredo urbano connesso ai fondi FIO per il Centro Storico (anni ‘90) ha confermato quella scelta, valorizzando solo il giro al Sass anziché cercare di ricollegare la città al Castello mediante l’interramento di via dei 21 (un progetto in tal senso votato alla unanimità dal Consiglio Comunale, giace in qualche cassetto di Palazzo Geremia), scelta che avrebbe permesso di ricostruire il percorso storico cittadino, via Lunga e via Larga, quello che dal Castello conduceva alla Cattedrale congiungendo potere temporale e potere spirituale.

Ma soprattutto riportando in centro storico via san Marco, e piazza Mostra e favorendo una relazione senza barriere con il quartiere di San Martino ed anche riportando al Centro quello spicchio di città ancora oggi in parte degradato, chiuso fra il Giro al Sass e Piazza Venezia. Per altro verso invitiamo solo a pensare che meraviglia sarebbe oggi Trento attraversata dal Fiume, probabilmente una delle più belle e suggestive città d’Europa.

Pensare invece alla realizzazione di un boulevard lungo la linea storica della ferrovia dallo scalo Filzi a Via Monte Baldo ha due pesantissimi effetti. Uno: spostare parte delle funzioni pubbliche dal Centro Storico al Boulevard, dequalificando una delle eccellenze cittadine, il Centro Storico stesso. Due: realizzare l’ennesimo asse nord sud e cementificando quella direttrice, infatti Bousquets voleva che il boulevard venisse realizzato attraverso due file di edifici a lato del grande viale stesso (come risulta evidente dagli schizzi dell’ architetto catalano allegati al PRG del 2003) ma anche come testimonia la sua storia, ben descritta dal noir di Manuel Vasquez Montalban “il centravanti è morto a mezzanotte” (la storia della speculazione edilizia a Barcellona per i Mondiali di calcio del 1990 di cui l’archistar catalano fu protagonista).

Pianificare Trento significa anche contrastare il gigantismo, le costruzioni fuori scala, di cui le Albere sono un esempio evidente. Per pianificare la città è necessario dialogare con i cittadini ed i loro bisogni mentre operare per “episodi edilizi”, essere funzionali alla rendita, è il modo di agire della speculazione e/o dei Faraoni, la cui funzione sociale era quella di lasciare un segno del loro passaggio, purchessia!

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Elio Bonfanti

Antonella Valer

Lorenza Erlicher,

Franco Tessadri,

Marco Cianci

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