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LETTERE AL DIRETTORE

AVV. GLORIA CANESTRINI * REPLICA A VITTORIO SGARBI « FORTUNATO DEPERO FASCISTA? LEI PONE LA QUESTIONE IN MODO SEMPLICISTICO, NON CONTRIBUISCE A RENDERE GIUSTIZIA AL GRANDE FUTURISTA »

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09.19 - domenica 31 ottobre 2021

Egregio Direttore,

la sua testata giornalistica (LINK sotto) ha riportato alcune dichiarazioni fatte dall’attuale presidente del Mart Vittorio Sgarbi circa la vicinanza di Fortunato Depero con il fascismo.

 

ON. VITTORIO SGARBI * REPLICA A SINISTRA ITALIANA DEL TRENTINO: « PROPORREI CHE DEPERO IN QUANTO FASCISTA SIA RIMOSSO DAL MART, E DENTRO LA CUPOLA VI SIANO FALCE E MARTELLO »

 

Mi permetto di osservare che la questione, posta in tal modo, è semplicistica e non contribuisce a fare chiarezza né a rendere giustizia al grande futurista. Va anche detto che in passato molti addetti ai lavori non si sono avventurati in quello che è ritenuto essere un cespuglio un pò spinoso della flora culturale futurista: un movimento artistico cresciuto negli anni della prima guerra mondiale e, subito dopo, del fascismo. Per molto tempo questo movimento ha risentito degli equivoci di una sua compromissione politica col fascismo, ma sembrerebbe arrivato il momento di chiedersi fino a che punto si trattò di un vitalismo idealista portato teoricamente all’eccesso (coerente con l’idea di intervento nella grande guerra) e fino a che punto invece vi furono effettivi approcci con i fasci repubblichini.

Questo dubbio, per la verità, è stato affrontato e a mio parere in gran parte chiarito già molti anni fa, agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, in un ciclo di studi che il noto critico e storico dell’arte del Novecento Vittorio Fagone ( allora docente all’Università di Milano) organizzò e tenne proprio sul problema della collusione tra fascismo e futurismo.

Ricordo che insieme alla regista Maria Serena Tait della Sede Rai di Trento avemmo modo di intervistare Vittorio Fagone in occasione della trasmissione radiofonica “RadioDepero”, per la quale avevo redatto i testi. Ecco la domanda che rivolgemmo a Fagone: «È noto che Mussolini preferì ai rivoluzionari futuristi il richiamo all’ordine dell’amica Margherita Sarfatti. Nonostante il gruppo futurista abbia conosciuto anni duri proprio durante il fascismo, per molti anni si è associato il termine futurismo con il termine fascismo. Come mai?».

Vittorio Fagone rispose così (come le altre interviste anche la sua è stata interamente registrata e poi trascritta): «Personalmente penso che si tratti di un grosso equivoco storico. Debbo dire, essendomi molto occupato di questa materia, sia durante il mio corso all’Università di Milano che poi con altri colleghi nella grande mostra sugli anni Trenta a Palazzo Reale, che abbiamo cercato di smontare questa demonizzazione». Bisogna soprattutto guardare le date. Il fascismo è un fenomeno che caratterizza gli anni ‘20 e seguenti. Il futurismo ha la sua piena validità negli anni ‘10. Già solo questa attenzione cronologica ai tempi dello svolgimento dei due fenomeni dovrebbe valere a distruggere storicamente questa equazione rozza. Se prendiamo il caso di Depero abbiamo i primi interventi nel 1912 in area politica, su La Voce Tridentina.

Era questo un giornale che si proclamava al di fuori e al di sopra di tutti i partiti, al quale Depero collaborava, soprattutto nel mettere in risalto il collegamento dei movimenti nazionalistici del momento che nelle provincie dell’ex impero austriaco tendevano a porre in luce le esigenze del progresso e, nel contempo, di una identità nazionale. Io credo che dentro il futurismo possiamo vedere tre radici, che ne tracciano la sintesi politica: la radice anarchica, che è quella di Marinetti, la radice socialista che era piuttosto quella di Carrà e di Boccioni e la terza, molto vicina alla Voce di Prezzolini, che si esponeva con un relativo distacco dai partiti ma di forte radice tradizionalista.

Tutti questi tre elementi coesistono nel futurismo. Detto questo, non si può annullare l’equazione futurismo-fascismo, sarebbe un errore grossolano tanto quello a cui accennavo prima. Ma diciamo che il futurismo e il fascismo si incontrarono proprio per quel tanto che il futurismo ispirò al fascismo e che il fascismo fece proprio. Depero come altri futuristi promosse un’immagine rivoltosa dell’espressione artistica, una diversa connotazione dell’arte, anarchica e antiborghese.

Nell’evoluzione di questo rapporto, il futurismo non fu amato dal fascismo, che preferì affidare la sua immagine nazionale al grandioso ritorno al quattrocentismo del Novecento. Le mostre che la Sarfatti concepiva non come luogo di una poetica ma come affermazione del primato italiano in campo culturale.

Depero e i futuristi erano in un angolo (quando c’erano)molto chiuso, molto limitato. Osservando con attenzione lo svolgersi dell’arte del futurismo dagli anni ‘20 agli anni ‘30, nessuno può dire che questa forma d’arte ebbe dal fascismo appoggi tali da giustificare questa equazione. Anzi, con una certa strategia, si pensò piuttosto alla glorificazione di Marinetti con quella di D’Annunzio per farne perdere l’incisività, per togliere forza all’immagine stessa. D’altra parte voglio ricordare, come faccio sempre occupandomi di queste cose, che nella crisi finale del fascismo degli anni ‘30, quando al seguito della Germania si scelse di condannare l’arte moderna, Marinetti e Depero rivendicarono la loro radice nel modernismo internazionale e si opposero alla scelta italiana con forza e pubblicamente.

Questo è un episodio che merita di essere ricordato e francamente mi auguro che, con una considerazione attenta, questa equazione rozza possa essere radicalmente rivista e poi, se possibile, abbandonata”. Nella medesima puntata, andata in onda nell’autunno del 1986 presso la Sede Rai di Trento, intervistammo sul punto anche Enrico Crispolti, lo studioso che nella prefazione al catalogo della Storica mostra “Ricostruzione Futurista dell’Universo” affrontava anche questo tormentato aspetto della politica futurista, ripetutamente dissipata rispetto all’egemonia del regime.

Ecco le due domande che gli rivolgemmo: “ Professor Crispolti, quale fu la posizione di Fortunato Depero rispetto all’ideologia fascista e al regime? Depero ebbe mai privilegi o vantaggi dal regime?” Crispolti rispose così: « Io credo che complessivamente la sua posizione sia stata quella di una sorta di avvicinamento a ciò che appariva innovativo e rivoluzionario nel fascismo del ‘19. Era difficile non avere rapporti con il regime, se si stava in Italia: tanto più che il regime aveva una iniziativa pubblica che dava spazio all’arte, nel quadro, naturalmente, di una sua utilizzazione politica. Però era anche propulsivo, dava spazi di attività creativa, anche con un margine di autonomia molto forte».

In realtà poi, se dovessimo dire quali sono stati i profittatori artistici del regime, credo che Depero e altri futuristi come Prampolini siano, in una ipotetica graduatoria, ad un livello molto basso. Voglio dire, con tutto il rispetto per lui, che un personaggio come Sironi ha infinitamente utilizzato di più il regime, proprio su un piano di vantaggi concreti, rispetto a quello che ha fatto Depero.

E tuttavia, pensiamo che in fondo Sironi ha dovuto subire comunque gli attacchi della destra fascista, come in sostanza li hanno subiti gli altri futuristi. In realtà i futuristi hanno sempre dovuto difendere un loro margine di libertà nell’ambito del regime fascista e Depero si è trovato in questa condizione. Quando hanno aderito a delle committenze pubbliche che li impegnavano anche in una iconografia fascista, l’hanno sempre fatto subordinando quel tipo di iconografia ad una stilizzazione sostanzialmente futurista; non si sono discostati, cioè, da uno stile futurista”.

Queste due interviste sembrano fare molta luce, non solo su equazioni semplicistiche e affrettate, spesso motivate da esigenze politiche, ma sul difficile rapporto tra gli artisti e il potere.

 

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Avvocato Gloria Canestrini

Rovereto (Trento)

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