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LETTERE AL DIRETTORE

ANGELO BOTTURI * GIOVANI DIGITALI: « , LO SGUARDO SOSTA SUI NOSTRI ADOLESCENTI DISADATTATI CHE VIVONO NELLA MARGINALITÀ, IN UN NULLA EDUCATIVO CHE FATICHIAMO A CAPIRE E A CURARE »

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08.08 - venerdì 27 maggio 2022

Gentile giornalista, Vadim Shishimarin e Salvador Ramon non sono marziani, appartengono a due realtà sociali molto simili alla nostra. I loro comportamenti aberranti ci costringono a riflettere.

Ucraina. Un giovanissimo soldato addestrato da poco è mandato allo sbaraglio in guerra. Impugna una pistola automatica, spara ed uccide senza valido motivo un anziano indifeso. Appartiene ad un esercito invincibile ed è comandato da autorità indiscusse per fare pulizia etnica. Noi ci chiediamo dove e come sia stato cresciuto: in quale famiglia, in quale comunità? Quali fossero le sue aspettative, i suoi sogni? Quale il riconoscimento sociale che lo ha animato? Quali le sue visioni sul mondo presente e futuro? Oggi, ventunenne e prigioniero, apprendiamo che è stato condannato all’ergastolo.

Che ne sarà di lui? La reclusione a vita di un immaturo, ci conforta? Ci deve bastare emotivamente? Finita la guerra, in quale modo verrà o potrà riscattarsi socialmente?

Texas. Un giovane ragazzo delirante, armato con disinvolta facilità, spara su innocenti studenti di una scuola che ben conosce. Il suo gesto, come tanti altri dello stesso genere, pare ai più, un cedimento mentale improvviso e fatale. Alla notizia, nella montante angoscia, noi palesiamo incredulità non solo per l’episodio in sé ma soprattutto per la sua dimensione di ‘vuota enormità’. Proviamo a ragionare e, pur se da lontano, riusciamo a capire che non può trattarsi di esclusiva follia individuale. Nel retroscena ci deve essere molto di più. Probabilmente era un depresso digitale come tanti altri ragazzi di oggi. Forse, debole di mente, era stato catturato da una rete di fanatici pseudo religiosi.

Immaturo, può aver reagito all’insignificanza elevandosi al ruolo simbolico di castigatore dei costumi o di vendicatore sociale. Di fatto, sappiamo che a soli diciotto anni di età circolava armato legalmente. Su questo dato tornano ad interrogarsi gli americani e forse anche i nostri populisti da sempre sospesi tra sicurezza privata/istituzionale ed interessi economici.

Rimanendo sul tema che più mi preoccupa, lo sguardo sosta sui tanti nostri adolescenti e ragazzi disadattati che vivono nella marginalità e nell’abbandono, in un nulla educativo e culturale che fatichiamo a capire e a curare. Precarietà/povertà? Disturbi mentali? Famiglie ansiose e distratte solo perché impegnate nella competizione per i soldi e la visibilità sociale?

Del resto il dibattito politico istituzionale procede per schieramenti contrapposti. Vanta ragioni ma con scontate parole transita dalla dotta pedagogia verbale alla conservazione ideologica, per adagiarsi nella rassegnazione e nell’impotenza. I nostri e sempre più numerosi figli infelici ci giudicano senza profferire parole, rimangono lontani da noi, dalle nostre stonate parole e si consegnano al tempo che non misurano più, negandosi come persone. Noi imperterriti continuiamo a proteggerli senza educarli alla dura fatica del crescere.

Di fatto li manipoliamo come fossero oggetti di proprietà, fragili e preziosi. Con loro non osiamo usare le forbici. Non potiamo le loro fantasie inconsistenti, non li costringiamo al confronto dialettico con la realtà, non li leghiamo ai sostegni certi. Più spesso, moltiplicando le nostre e le loro paure, li lasciamo vivacchiare e nascondersi nel web.

Da uno schermo all’altro, abilmente imparano ad interagire come automi. Chiusi nelle loro camerette, non disturbano, non hanno pretese e si spengono poco a poco senza darlo a vedere. Li diciamo buoni ma sono depressi. I loro numerosi maestri ‘da remoto’ non li conosciamo. Stupidamente affidiamo soprattutto a loro il difficile compito della educazione/formazione.

Da ultimo, demenzialmente fantastichiamo anche sul loro futuro: da grandi faranno gli ‘ingegneri informatici’; gli esperti di quel niente che tanto ci inquieta ed assolve. Così, figli di nessuno e mancati eroi, percorrono le buie cantine della mente e, quando escono alla luce, platealmente ci stupiscono perché guardano e non vedono, odono ma non sentono. Se, provano anche a parlare, non hanno parole di senso.

Cuffie, tatuaggi, pantaloni strappati, amuleti dappertutto … Stravaganti e mimetici, per esserci e per non esserci. Clonati dai media, escono nel buio, quasi invisibili; irriconoscibili l’uno all’altro, costantemente storditi o anestetizzati dal fumo e dall’alcool per mantenersi sufficientemente liberi di non pensare.

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Angelo Botturi

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