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WWW.VATICANNEWS.VA/IT * PAPA FRANCESCO: « CERCHIAMO DIO PER LUI STESSO, NON A NOSTRO USO E CONSUMO » (VIDEO)

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08.04 - giovedì 24 novembre 2022

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Nella nona udienza generale dedicata al tema del discernimento, Francesco spiega che la consolazione, “luce dell’anima”, consente “familiarità con Dio”, dona pace e speranza e aiuta a vedere il Padre anche nel dolore, ma va distinta dalle false consolazioni che “portano a ripiegarsi su se stessi”.

 

 

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

La consolazione spirituale, luce dell’anima, ci permette “di vedere la presenza di Dio in tutte le cose”, anche nel dolore e nelle situazioni più dure, come ci insegna la “perfetta letizia” di san Francesco, consente “familiarità con Dio”, dona pace e speranza, ma necessita anch’essa di discernimento, per distinguerla dalle false consolazioni, che “portano a ripiegarsi su se stessi” e a ridurre il Signore “a un oggetto a nostro uso e consumo”. Così Papa Francesco nella nona catechesi dell’udienza generale sul tema del discernimento spirituale, dedicata alla consolazione, elemento importante “da non dare per scontato, perché può prestarsi a degli equivoci” e che analizza dopo la desolazione “buio dell’anima”.

La persona consolata “si sente avvolta dalla presenza di Dio”. E’ quindi, spiega “un grande dono per la vita spirituale e per la vita nel suo insieme”. “Un movimento intimo, che tocca il profondo di noi stessi” e non è, prosegue il Papa citando sant’Ignazio di Loyola “appariscente ma soave, delicata, come una goccia d’acqua su una spugna”. La persona consolata “si sente avvolta dalla presenza di Dio”, che non “cerca di forzare la nostra volontà”, ma non è “un’euforia passeggera: al contrario, come abbiamo visto, anche il dolore – ad esempio per i propri peccati – può diventare motivo di consolazione”.

La consolazione dei santi, da Agostino a Edith Stein. E qui Francesco ricorda l’esperienza vissuta da sant’Agostino “quando parla con la madre Monica della bellezza della vita eterna”, e la perfetta letizia di san Francesco, “ peraltro associata a situazioni molto dure da sopportare”, e i tanti santi e sante “che hanno saputo fare grandi cose, non perché si ritenevano bravi e capaci, ma perché conquistati dalla dolcezza pacificante dell’amore di Dio”. È la pace che notava dentro di sé con stupore sant’Ignazio “quando leggeva le vite dei santi”, è “stare in pace con Dio”, e quella “che prova Edith Stein dopo la conversione”. Quando parla, un anno dopo il Battesimo, di “una vita nuova” che “comincia a colmarmi” e la spinge “verso nuove realizzazioni”. Una pace “genuina”, che fa “germogliare i buoni sentimenti in noi”.

La consolazione “non è pilotabile”, non si programma. La consolazione, chiarisce ancora il Pontefice, “riguarda anzitutto la speranza, è protesa al futuro, mette in cammino, consente di prendere iniziative fino a quel momento sempre rimandate”. E’ una pace – sottolinea – non per rimanere lì seduti godendola, no… ti dà la pace e ti attira verso il Signore e ti mette in cammino per fare cose buone”.

In tempo di consolazione, quando noi siamo consolati, ci viene la voglia di fare tanto bene, sempre. Invece quando c’è il momento della desolazione, ci viene la voglia di chiuderci in noi stessi e di non fare nulla… La consolazione ti spinge avanti, al servizio degli altri, alla società, alle persone. La consolazione spirituale non è “pilotabile”, non è programmabile a piacere, è un dono dello Spirito Santo: consente una familiarità con Dio che sembra annullare le distanze.

La familiarità con Dio di santa Teresa di Gesù Bambino. Qui Papa Francesco ricorda quando santa Teresa di Gesù Bambino, visitando a quattordici anni, a Roma, la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, “cerca di toccare il chiodo lì venerato, uno di quelli con cui fu crocifisso Gesù”. Teresa lo considera “un trasporto d’amore e di confidenza”, e aggiunge “fui veramente troppo audace” ma il Signore “sa che l’intenzione mia era pura. Agivo con lui da bambina che si crede tutto permesso e considera come propri i tesori del Padre”. Ci dà così, sottolinea il Papa “una descrizione splendida della consolazione spirituale”.

La consolazione ci fa audaci. Con questa consolazione, approfondisce Francesco “non ci si arrende di fronte alle difficoltà”. Con la stessa audacia, “Teresa chiederà al Papa il permesso di entrare al Carmelo, benché troppo giovane, e sarà esaudita”. Vuol dire che la consolazione ci fa audaci: quando noi siamo in tempo di buio, di desolazione, e pensiamo: “Questo non sono capace di farlo, no…” Ti butta giù la desolazione. Tutto buio. Invece, in tempo di consolazione: “No, io vado avanti, lo faccio”. “Ma sei sicuro?” “Io sento la forza di Dio e vado avanti”. E così la consolazione ti spinge ad andare avanti e a fare delle cose che in tempo di desolazione tu non saresti capace di fare, di fare il primo passo.

Attenzione alle false consolazioni, “fuochi di paglia”. Il rischio, aggiunge, sono le “false consolazioni”. Qualcosa di simile “a quanto capita nelle produzioni umane: ci sono gli originali e ci sono le imitazioni”. Se la consolazione autentica è come una goccia su una spugna, è soave e intima, le sue imitazioni sono più rumorose e appariscenti, sono fuochi di paglia, senza consistenza, portano a ripiegarsi su sé stessi, e a non curarsi degli altri. La falsa consolazione alla fine ci lascia vuoti, lontani dal centro della nostra esistenza. Quando noi ci sentiamo felici, in pace, siamo capaci di fare qualsiasi cosa. Ma non confondere quella pace con un entusiasmo passeggero, perché l’entusiasmo oggi è, poi cade e non c’è più

L’errore di cercare le consolazioni di Dio, ma non il Dio che consola. Per questo è fondamentale il discernimento, “anche quando ci si sente consolati”. Perché, conclude il Pontefice, “la falsa consolazione può diventare un pericolo, se la ricerchiamo come fine a sé stessa, in modo ossessivo, e dimenticandoci del Signore”. E cita san Bernardo: “si cercano le consolazioni di Dio e non si cerca il Dio delle consolazioni”. Con la dinamica del bambino di cui ha parlato nella catechesi sulla desolazione, “che cerca i genitori solo per avere da loro delle cose, ma non per loro stessi”.

Anche noi corriamo il rischio di vivere la relazione con Dio in modo infantile, di ridurlo a un oggetto a nostro uso e consumo, smarrendo il dono più bello che è Lui stesso.

 

 

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