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LANCIO D'AGENZIA

WALTER PRUNER * TRIBUNALE DI TRENTO – SENTENZA GIUDICE FLAIM /: « LICENZIAMENTO ANTE TEMPUS DISPOSTO DAL CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO » (SENTENZA INTEGRALE ALLEGATO PDF)

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13.01 - giovedì 4 giugno 2020

REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO

sezione lavoro

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella persona fisica del magistrato dott.Giorgio Flaim pronunzia la seguente

S  E  N T E N Z A

nella causa per controversia in materia di lavoro promossa con ricorso depositato in data 19.12.2019

d  a

PRUNER WALTER

rappresentato e difeso dall’avv. Attilio Carta pec attilio.carta@pectrentoavvocati.it

ricorrente

c  o  n  t  r o

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CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore Walter Kaswalder, rappresentato e difeso dall’avv. prof. Carlo Zoli pec studio@pec.zoli-studiolegale.it

convenuto

CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE

“Con riferimento al licenziamento ante tempus disposto dal CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO nei confronti del ricorrente WALTER PRUNER con nota dd. 02.05.2019, accertarne la nullità o l’illegittimità o l’inefficacia, o annullarlo, perché discriminatorio e/o ritorsivo e/o lesivo delle regole di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e 3 e 97 Cost., e comunque illegittimo perché disposto sulla base dell’addebito, non previamente contestato in necessario contraddittorio con assegnazione di termine a difesa, di comportamenti asseritamente negligenti (o, in senso lato, colpevoli) o comunque suscettibili di far venir meno la fiducia sottostante al rapporto, comportamenti comunque insussistenti e/o non giuridicamente rilevanti;

condannare  il  CONSIGLIO  DELLA  PROVINCIA  AUTONOMA  DI  TRENTO  al

risarcimento dei danni a favore del ricorrente in misura pari al trattamento economico, maggiorato di rivalutazione ed interessi, maturato e dovuto dal licenziamento sino alla pronuncia della sentenza e maturando dalla data della sentenza fino alla durata in carica dell’attuale Presidente del Consiglio Provinciale WALTER KASWALDER o alla fine della attuale legislatura, ovvero, in via subordinata alternativa, condannare il CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO alla reintegrazione del ricorrente nel suo posto di lavoro

ed al pagamento di un’indennità risarcitoria, maggiorata di rivalutazione ed interessi,

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commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di  fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali;

condannare il CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO anche al risarcimento a favore del ricorrente del danno non patrimoniale (esistenziale, psico- fisico, morale ed all’immagine) a questi inferto per il carattere discriminatorio ed ingiurioso del licenziamento e/o per violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., danno da quantificarsi in via equitativa nella misura ritenuta di giustizia;

condannare infine il CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO alla rifusione al ricorrente di competenze e spese di causa, da quantificarsi secondo i parametri di cui al DM 55/2014, con maggiorazione del 15% per spese generali, oltre a contributo per Cassa Avvocati ed IVA come per legge”

CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA

“Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, in via principale, respingere le domande tutte proposte col ricorso in quanto infondate in fatto e in diritto;

In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui l’Ill.mo Giudice adito dovesse ritenere fondato, anche solo parzialmente, il ricorso avversario, salva la facoltà di proporre gravame, detrarre l’aliunde perceptum vel percipiendum da quanto dovesse essere liquidato al ricorrente e/o ridurre la quantificazione del risarcimento del danno non patrimoniale operata nel ricorso.

Con vittoria di spese e compenso professionale da determinarsi secondo i nuovi parametri di cui al Decreto Ministero Giustizia 10.3.2014 n. 55, G.U. 2.4.2014, oltre

oneri di legge”

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MOTIVAZIONE

le domande proposte dal ricorrente Il ricorrente PRUNER WALTER – premesso che:

in data 7.12.2018 ha stipulato con il CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO un contratto di lavoro subordinato (doc.1 fasc. ric.) avente per oggetto “le mansioni di segretario particolare del Presidente del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento signor Walter Kaswalder” e a tempo determinato (“fino alla durata in carica dell’attuala Presidente del Consiglio provinciale signor Walter Kaswalder e comunque non oltre la durata dell’attuale legislatura e fino al permanere del rapporto fiduciario esistente tra l’attuale Presidente e il segretario particolare”),
con lettera di data 2.5.2019 (doc. 8 fasc. ric.) gli è stata comunicata la “risoluzione” del suddetto contratto, essendo “venuto meno il rapporto di fiducia alla base del contratto” “in seguito ai dissensi intervenuti in questi ultimi mesi in ordine alle modalità e ai tempi di gestione della segreteria politica della mia Presidenza e a causa dell’impossibilità di addivenire ad una comune intesa riguardo all’organizzazione di tale attività” –

propone:

1A)

in via principale domanda di accertamento della nullità del negozio di cui alla lettera di data 2.5.2019 (che qualifica “licenziamento ante tempus”) “perché discriminatorio per

ragioni politiche e perché ritorsivo”;

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1B)

in via subordinata domanda di accertamento dell’illegittimità del “licenziamento ante tempus” per la genericità dell’addebito indicato nella lettera di data 2.5.2019 e per omessa contestazione preventiva dell’addebito medesimo;

2)

domanda di condanna del CONSIGLIO convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali a lui derivati dal “licenziamento ante tempus” e liquidati nella somma corrispondente all’ammontare delle retribuzioni maturate e maturande dal 6.5.2019 fino alla scadenza del termine finale apposto al contratto del 7.12.2018 (durata in carica dell’attuale Presidente del Consiglio provinciale Walter Kaswalder e comunque non oltre la durata dell’attuale legislatura);

3)

domanda di condanna del CONSIGLIO convenuto al risarcimento dei danni non patrimoniali (psico-fisici, esistenziali, morali, e all’immagine) a lui derivati dal “licenziamento ante tempus” per il suo carattere discriminatorio e per la modalità ingiuriosa con cui è stato preventivamente reso pubblico e poi irrogato.

le ragioni della decisione

1.  in ordine all’eccezione, sollevata dal ricorrente, di incompetenza del presidente a disporre il recesso

All’udienza del 25.2.2020 parte ricorrente ha sollevato eccezione di “incompetenza del presidente del CONSIGLIO PROVINCIALE a disporre la revoca dell’incarico di segretario particolare e quindi la nullità della revoca per violazione del principio del contrarius actus, essendo il provvedimento di competenza dell’Ufficio di presidenza”

L’eccezione non è fondata.

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Anche se si ammettesse che nel silenzio della disciplina la decisione di recedere dal rapporto di lavoro con il ricorrente (o di “revocare l’incarico”, come dedotto dalla difesa del ricorrente nel sollevare l’eccezione, ma nell’atto introduttivo la stessa difesa ha invocato le tutele previste avverso i licenziamenti invalidi) spetti, in virtù del principio del contrarius actus, all’Ufficio di presidenza del CONSIGLIO in quanto organo investito del potere di decidere la costituzione del medesimo rapporto, il recesso disposto dal presidente del CONSIGLIO non sarebbe viziato da incompetenza e tanto meno da nullità.

Infatti non vi è dubbio che il recesso comunicato dal presidente del CONSIGLIO al ricorrente con lettera del 2.5.2019 (nella missiva è presente il termine “risoluzione”, ma è di tutta evidenza che non sia stato utilizzato nell’accezione codicistica ex artt. 1453 segg.) abbia natura negoziale in quanto atto di gestione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica Amministrazione (art. 5 co. 2 d.lgs. 30.3.2011, n., 165). Lo stesso vale per quel contrarius actus dell’Ufficio di presidenza del CONSIGLIO di cui il ricorrente lamenta la mancanza.

Ne consegue che l’eventuale difetto di legittimazione (inteso come insussistenza del potere di decidere di compiere il negozio di recesso) in capo al presidente del CONSIGLIO determinerebbe l’inefficacia dell’atto, giammai la sua nullità, come statuito dalla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis Cass.19.11.2014, n. 24643; Cass. 7.2.2008, n. 2860; Cass. 14.4.2006, n. 8876, secondo cui l’attività di natura privatistica della pubblica Amministrazione resta soggetta alla generale disciplina del codice civile in materia di rappresentanza senza potere, così che il negozio posto in essere dal legale rappresentante di un ente pubblico in assenza del necessario atto deliberativo dell’organo competente è equiparabile al negozio concluso dal falsus

procurator di cui all’ art. 1398 cod. civ..

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Ne derivano almeno due conseguenze di rilievo decisivo (nel senso del rigetto dell’eccezione) nella presente controversia:

secondo altro consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis Cass. 24643/2014 cit.; Cass. 2860/2008 cit.;) la rilevazione dell’inefficacia del negozio compiuto da chi è privo di legittimazione è consentita solamente al titolare del potere di decidere di compiere quell’atto e non già dall’altro contraente o, nel caso di negozio unilaterale, dal destinatario degli effetti dell’atto;

inoltre il negozio inefficace perché compiuto da chi è privo di legittimazione è suscettibile di ratifica ex art. 1399 cod.civ. da parte del soggetto legittimato, la quale

può essere implicitamente espressa anche mediante l’atto di costituzione in giudizio con il quale il soggetto legittimato resiste all’impugnativa dell’atto da parte del terzo (in generale Cass. 9.11.2018, n. 28753; Cass. 14.4.2006, n. 8876; in riferimento al recesso  da un rapporto di lavoro subordinato Cass. 4.7.2019, n. 17999; Cass. 5.4.1990, n. 2824;).

2. in ordine alla disciplina del recesso de quo

E’ incontestato e comunque provato per tabulas (doc. 8 fasc. ric.) che il presidente del CONSIGLIO PROVINCIALE DI TRENTO Walter Kaswalder ha comunicato al ricorrente con lettera del 2.5.2019 la “risoluzione” (nell’evidente accezione atecnica di recesso) del contratto stipulato in data 7.12.2018, adducendo il “venir meno del rapporto di fiducia” tra lo stesso presidente del CONSIGLIO e il ricorrente quale suo segretario particolare.

Secondo la difesa del CONSIGLIO il venir meno del rapporto fiduciario tra il presidente del Consiglio e il segretario particolare costituisce una causa di estinzione anticipata del rapporto di lavoro, come espressamente stabilito nella deliberazione n. 80 del 5.12.2018

(doc. 3 fasc. ric.), con cui l’Ufficio di presidenza del CONSIGLIO ha deciso l’assunzione

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del ricorrente ai sensi dell’art 21 co.2 del regolamento organico del personale del CONSIGLIO (doc. 2 fasc. ric.), e come pattuito specificamente nella clausola n. 1 del contratto di lavoro del 7.12.2018 (doc. 1 fasc. ric.).

Di contro la difesa del ricorrente evidenzia che l’art. 21 co.1 e 2 del regolamento organico del personale del CONSIGLIO, che detta la disciplina del potere di assumere il segretario particolare del presidente del CONSIGLIO, non contiene una disposizione per cui il rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato tra il presidente del CONSIGLIO e il suo segretario particolare si estingue ante tempus qualora venga meno il rapporto fiduciario. Inoltre i rapporti di lavoro del personale del CONSIGLIO, tra cui rientra anche quello del segretario particolare del presidente del CONSIGLIO, sono regolati, per quanto non disciplinato dal regolamento organico del personale del CONSIGLIO e dagli altri regolamenti consiliari, dalla legge e dai regolamenti sull’ordinamento e sul rapporto di lavoro del personale della Provincia (art. 2 del regolamento organico del personale del CONSIGLIO), ma neppure queste fonti normative prevedono il venir meno del rapporto di fiducia quale causa di estinzione anticipata dei rapporti di lavoro.

– – –

La posizione sostenuta dal CONSIGLIO ha il pregio di evidenziare la peculiarità genetica del rapporto di lavoro subordinato tra il CONSIGLIO provinciale e il segretario particolare del presidente del CONSIGLIO, la quale consiste non tanto nell’esistenza di un rapporto fiduciario tra le parti (infatti ogni rapporto di lavoro subordinato esige la permanenza di questo elemento – si veda la consolidata giurisprudenza in tema di presupposto giustificativo soggettivo del licenziamento, inteso sintetim quale rottura del vincolo fiduciario), ma nel fatto che la nomina, effettuata dall’Ufficio di presidenza, a

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segretario particolare del presidente del CONSIGLIO avviene “su designazione” di quest’ultimo.

Si tratta di una circostanza che differenzia nettamente lo status del segretario particolare del presidente del CONSIGLIO (comune al capo di gabinetto della presidenza e al segretario particolare del vicepresidente) rispetto a quello di tutto il resto del personale del CONSIGLIO provinciale, il quale accede all’impiego “attraverso le procedure di selezione e le altre procedure di reclutamento previste dalla legge sul personale provinciale, nel rispetto dei principi di imparzialità, tempestività ed economicità” (art. 6 co.1 del regolamento organico del personale del CONSIGLIO sub doc. 7 fasc. conv.).

Palese è la deroga al precetto costituzionale ex art. 97 ult. co. (secondo cui “agli impieghi pubblici si accede mediante concorso”), che la Consulta (ex multis sent. n. 43 del 2019; sent. n. 34 del 2010) ritiene legittima, riconoscendo alle Regioni il potere di dettare propri autonomi criteri selettivi che tengano conto della peculiarità dell’incarico in ragione del necessario rapporto fiduciario con l’organo politico.

– – –

La posizione sostenuta dal ricorrente ha il pregio di sottolineare che la peculiarità genetica del rapporto di lavoro tra il CONSIGLIO provinciale e il segretario particolare del presidente del CONSIGLIO, pur determinando l’esonero dall’ordinaria disciplina in tema di estinzione del rapporto, non comporta la libertà illimitata e incondizionata di recedere in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo.

La Consulta ha statuito (sent. n. 189 del 1980; sent. n. 541 del 2000) che l’esercizio del diritto potestativo riconosciuto al datore di lavoro non può mai risolversi nel mero arbitrio del suo titolare, neppure nelle ipotesi di recesso libero del datore, dal momento che l’ordinamento, comunque, assegna “garanzia costituzionale al diritto di non subire

un licenziamento arbitrario”.

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Anche la Suprema Corte si è curata di esaminare la fattispecie del licenziamento arbitrario. In particolare Cass. S.U. 2.8.2002, n. 11633 ha statuito con mirabile chiarezza che l’esercizio del diritto potestativo di licenziamento attribuito al datore non può essere “affidato ad un arbitrio del titolare, tale da potersi risolvere in una violazione di norme imperative o di principi costituzionali”; infatti: “In tempo meno recente la dottrina indicava, quale tratto distintivo del potere giuridico rispetto al diritto soggettivo, assoluto o relativo, l’irrilevanza della condotta del soggetto passivo, il quale si trovava in tal modo in una posizione non già di obbligo oppure di dovere, bensì di mera soggezione, definita come assenza di vincolo alla volontà del soggetto attivo: in situazione di soggezione si trovava di regola qualunque titolare di un rapporto di durata, dal quale la controparte si poteva liberare semplicemente comunicando la disdetta o la volontà di risoluzione unilaterale.

Col passare del tempo si rafforzò però il convincimento che, in tutti i casi in cui la legge attribuisse ad un soggetto il potere di incidere sulla sfera giuridica altrui, e tanto più quando questo potere assumesse caratteri di stabilità tali da costituire una situazione di autorità privata, l’interesse del soggetto passivo non potesse rimanere del tutto sfornito di giuridica tutela. Oggi si ritiene contrario ai principi di civiltà giuridica l’esercizio del potere di sacrificare un interesse altrui, patrimoniale o non patrimoniale, senza che l’altro sia fornito almeno della possibilità di conoscere i motivi che animano la condotta del titolare del potere, in modo di essere in grado di contrastarli (Corte cost. 18 luglio 1989 n. 427). In tal modo alla situazione di mera soggezione tende a sostituirsi quella di interesse legittimo nel diritto privato.

Più specificamente, nella materia relativa ai poteri imprenditoriali di gestione dell’impresa, la giurisprudenza afferma spesso che l’esercizio libero di essi è garantito  a

livello costituzionale (art. 41 Cost.) ed è perciò insindacabile nel merito, ma poiché la

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libertà è sempre sottomessa alla legge, l’esercizio del potere ben può essere censurato dal giudice quante volte si ponga in contrasto con l’ordinamento legale non solo direttamente, ma anche attraverso l’elusione delle norme, ossia l’abuso del diritto (cfr. Cass. 9 giugno 1993 n. 6408, 17 gennaio 1998 n. 402, 18 novembre 1998 n. 11634, 2

gennaio 2001 n. 27, 9 luglio 2001 n. 9310).

Viene così riconosciuta “garanzia costituzionale al diritto di non subire un licenziamento arbitrario” (Corte Cost. 4 dicembre 2000 n. 541).

L’atto di recesso del datore dal rapporto di lavoro, in quanto atto unilaterale di volontà negoziale, è viziato, se l’agente vi si sia determinato esclusivamente per un motivo illecito (artt. 1345 e 1324 cod. civ.), tale dovendosi ritenere il motivo contrario a norme imperative (art. 1418, primo e secondo comma, cod. civ.), come ad es. quello mosso da ragioni di credo politico o di fede religiosa (art. 4 l. n. 604 del 1966) (Cass. 6 novembre 1976 n. 4061) o da intento di rappresaglia (Cass. 14 febbraio 1983 n. 1114) o dalla partecipazione del lavoratore ad attività sindacali (art. 15 l. n. 300 del 1970) (Cass. 2 aprile 1990 n. 2642 e vedi ancora, con specifico riferimento al licenziamento intimato in periodo di prova, Cass. 17 giugno 1982 n. 3699; Cass. 28 aprile 1995 n. 4747)”.

– – –

Inoltre, in tema di rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche Amministrazioni dall’attribuzione della natura negoziale agli atti di gestione derivano, ovviamente, rilevanti conseguenze in ordine al regime degli atti, in particolare ai limiti imposti al datore e correlativamente al contenuto del sindacato giudiziale esercitabile e alla natura delle situazioni giuridiche soggettive ivi tutelabili.

Come si è già osservato puntualmente in dottrina e giurisprudenza (per tutte la fondamentale Cass. 20.3.2004, n. 5659, rel. Picone;), la scelta di qualificare gli atti di

gestione  del  rapporto  di  lavoro  come  atti  negoziali  privilegia  l’obiettivo  di  rendere

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maggiormente più efficiente quella gestione, atteso che l’autonomia negoziale, a differenza dei poteri amministrativi, è per sua natura tendenzialmente libera da vincoli di natura procedimentale quanto alla sua formazione (dando così adito con minore frequenza a vizi per violazione di legge) e di ordine teleologico quanto alla scelta degli interessi da perseguire (con conseguente inconfigurabilità del vizio di eccesso di potere).

Tuttavia ciò non significa che gli interessi dei destinatari di quegli atti di gestione, vale a dire i lavoratori alle dipendenze delle pubbliche Amministrazioni il cui rapporto è stato “privatizzato”, siano rimaste prive di tutela.

Infatti dottrina e giurisprudenza ritengono possano estendersi ai datori di lavoro pubblici  i consolidati orientamenti in tema di poteri organizzativi unilaterali del datore di lavoro privato, secondo cui è consentito al giudice ordinario di sindacare gli atti di esercizio di quei poteri sulla base delle regole autoimposte e di quelle convenute in via collettiva, nonché delle clausole generali di correttezza e di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), che impongono al datore di lavoro di adottare decisioni imparziali e ragionevoli e quindi conformi a un criterio di “normalità tecnico-organizzativa” (in giurisprudenza Cass.22.1.2009, n. 1631; Cass. 3.10.2006, n. 21297; Cass. 5659/2004 cit.;), al cui

cospetto i lavoratori possono vantare una pretesa giuridicamente tutelata (a che il datore compia scelte gestionali con quelle caratteristiche) integrante una situazione soggettiva attiva definita interesse legittimo di diritto privato, da riportare quanto alla tutela giudiziaria, nella più ampia categoria dei “diritti” di cui all’art. 2907 cod.civ. o diritto soggettivo di natura strumentale (Cass. S.U. 24.2.2000, n. 41; Cass. S.U. 1 ottobre 2003, n. 14625;).

Occorre, però, aggiungere che la Suprema Corte – sul presupposto, già evidenziato dalla Consulta,  che,    malgrado  la  progressiva  assimilazione  del  rapporto  di  lavoro  alle

dipendenze  delle  pubbliche  amministrazioni  con  quello  alle  dipendenze  dei  datori di

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lavoro privati (mediante la riconduzione della disciplina del lavoro pubblico alle regole privatistiche del contratto e dell’autonomia privata individuale e collettiva, con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario) sussistono ancora differenze sostanziali che rendono le due situazioni non omogenee quali il “perseguimento degli interessi generali” (Corte cost. 25.7.2001, n. 275;), il “rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea ogni logica speculativa” (Corte cost. 27.3.2003, n. 82), l’ “interesse pubblico di cui all’art. 97 Cost.” (Corte cost. 5.6.2003, n. 199) – ritiene che nei rapporti di lavoro privatizzato la portata precettiva della correttezza e buona fede debba essere arricchita dai valori di neutralità e di efficienza, di cui sono espressione i principi di imparzialità e di buon andamento.

Quindi fin dal 2002 (Cass. 26.6.2002, n. 9332;) ribadisce (di recente Cass. S.U. 5.4.2017, n. 8799; Cass. 21.3.2018, n. 7065; Cass. 2.2.2018, n. 2603, Cass. 1.12.2017, n. 28879;

Cass. 10.11.2017, n. 26695; Cass. 2141/2017 cit.;) che, nell’ambito del rapporto di lavoro “privatizzato” alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il giudice ordinario sottopone a sindacato l’esercizio dei poteri, esercitati dall’amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell’osservanza – oltre che delle previsioni, contrattuali o normative, che dettano le prescrizioni dell’esercizio del potere discrezionale, sul piano sostanziale o su quello procedimentale – anche dei canoni di correttezza e buona fede, siccome regole applicabili anche all’attività di diritto privato svolta dal datore pubblico alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost..

Ciò comporta, per effetto della consueta integrazione normativa in via giudiziale della clausola generale di correttezza e buona fede, che a carico del datore di lavoro pubblico vengono posti obblighi di natura ordine strumentale non espressamente previsti da norme

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puntuali, in primis quello di esternare mediante motivazione le ragioni giustificatrici delle proprie scelte.

Naturalmente il sindacato che il giudice può esercitare sugli atti negoziali compiuti dal datore pubblico costituisce pur sempre un controllo di legittimità, essendo precluso al giudice sovrapporsi alle valutazioni di merito formulate dall’Amministrazione (Cass. 27.1.2017, n. n. 2141, Cass. 24.9.2015, n. 18972;).

E’ opportuno evidenziare come ritenere queste considerazioni estensibili all’atto di recesso qui impugnato non significhi affatto assoggettarlo al regime ordinario in tema di estinzione dei rapporti di lavoro subordinato, trascurando così di dare rilievo all’intuitus personae nella fase di estinzione del rapporto; basti pensare che secondo il regime ordinario, in riferimento ai rapporti di lavoro a tempo determinato (cui è riconducibile quello intercorso tra le parti), alla luce della disciplina ex art. 2119 cod.civ. il recesso ante tempus dal contratto di lavoro a tempo determinato è consentito solo in presenza di una giusta causa intesa quale condotta del lavoratore che evidenzi la sua inidoneità a svolgere l’attività richiestagli, tale da incrinare in modo irreversibile il rapporto di fiducia intercorrente con il datore (ex multis, anche di recente, Cass. 6.6.2019, n. 15381; Cass. 1.6.2005, n. 11692; Cass. 10.11.2003, n. 16849;).

Inoltre la Suprema Corte, nella pronuncia ampiamente richiamata dalla difesa del convenuto (Cass. 6.2.2019, n. 3468), ha precisato (§ 6.5) che l’art. 90 d.lgs. 18.8.2000, n. 276, concernente gli “uffici di supporto agli organi di direzione politica”, rimette a una pluralità di fonti la disciplina del rapporto “fermo restando il generale dovere di correttezza e buona fede nell’applicazione delle clausole contrattuali”.

La stessa pronuncia, non avendo, alla luce delle domande proposte dal lavoratore, avuto necessità di trattare la questione, appare del tutto compatibile con gli insegnamenti

impartiti dalle giurisdizioni superiori in tema d licenziamento arbitrario.

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3. in ordine al merito

Venendo alla vicenda concreta, appare palese la genericità dei motivi che il datore ha indicato nella comunicazione del recesso al fine di giustificare il venir meno del rapporto di fiducia (che, quindi, anche secondo lo stesso datore non era sufficiente limitarsi a declamare): “in seguito ai dissensi intervenuti in questi ultimi mesi in ordine alle modalità e ai tempi di gestione della segreteria politica della mia Presidenza e a causa dell’impossibilità di addivenire ad una comune intesa riguardo all’organizzazione di  tale attività”; manca, infatti, il riferimento ad una benché minima circostanza concreta.

Questa lacuna non risulta colmata neppure dalle allegazioni svolte dall’ente convenuto nella memoria di costituzione, dove gli unici fatti specifici (non potendo essere considerati tali un non meglio precisato senso di “insoddisfazione” espresso da presidente verso l’operato del ricorrente, nonché la necessità di adottare “diverse modalità gestionali” del tutto indeterminate, la richiesta al ricorrente di “una sua maggior presenza alle serate organizzate sul territorio” neppure minimamente individuate e di tenere al corrente il presidente delle “pratiche seguite” senza alcuna ulteriore denominazione) riguardano il “rifacimento di un libretto divulgativo destinato ai ragazzi delle scuole in vista al Consiglio provinciale” e l’organizzazione di una visita del Coro Paganella, attività queste certamente marginali rispetto ai compiti di assistenza del presidente nell’espletamento della sua attività politica (art. 13 del regolamento organico del personale del CONSIGLIO sub doc. 7 fasc. conv.).

Emerge, così, la totale mancanza di circostanze idonee ad attribuire una, anche solo minima, concretizzazione all’asserito venir meno del rapporto fiduciario tra presidente del CONSIGLIO e il ricorrente quale suo segretario particolare.

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L’assenza di ragioni legittime di recesso costituisce la terra di elezione circa la configurabilità di un esclusivo e determinante motivo illecito di recesso (ex multis, di recente, Cass. 23.9.2019, n. 23583; Cass. 7.11.2018, n. 28453; Cass. 17.11.2017, n.

27325;).

Alla luce delle circostanze allegate dal ricorrente (l’incontro tra le parti il 25.3.2019 sub cap. 11 e l’intervista rilasciata dal presidente Kaswalder pubblicata nell’edizione del 16.4.2029 del quotidiano “L’Adige” sub doc. 6) e non contestate dall’ente convenuto appare del tutto verosimile che l’asserito venir meno del rapporto fiduciario sia stato fondato sulla partecipazione del ricorrente al congresso del “Partito Autonomista Trentino Tirolese” (PATT) svoltosi sabato 23 marzo 2019.

E’ vero che da quel partito il presidente Kaswalder era stato espulso nella primavera del 2017. Tuttavia è anche vero che egli aveva designato il ricorrente Pruner, quale suo segretario particolare, nel dicembre 2018, vale a dire dopo che Pruner per oltre un anno dall’espulsione di Kaswalder aveva lavorato presso il gruppo consiliare del PATT. Quindi il presidente Kaswalder era certamente al corrente che Pruner conservava relazioni personali con esponenti del PATT e anche un qualche interesse per le attività svolte da quel partito (ideologicamente non distante, a prescindere dalle contingenze politiche, rispetto a quello fondato da Kaswalder “Autonomisti popolari”, entrambi gravitanti dell’area dell’Autonomismo trentino).

Recedere ante tempus dal rapporto di lavoro a tempo determinato costituito con il proprio segretario particolare perché questi ha partecipato al congresso di un partito di opposizione, rispetto al quale il presidente conosceva le frequentazioni, integra il perseguimento di un motivo illecito in quanto diretto a impedire o comunque a limitare l’esercizio della libertà personale.

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Appare evidente che il soddisfacimento di un interesse illecito nulla ha che fare con una legittima doglianza circa il venir meno del rapporto fiduciario, la cui permanenza non è rimessa al mero arbitrio del presidente del CONSIGLIO, il quale dispone di poteri e mezzi esclusivamente ai fini dell’esercizio di funzioni pubbliche.

– – –

In definitiva, appare compiutamente accertata la nullità per motivo illecito determinante ed esclusivo ex art. 1345 cod.civ. del recesso ante tempus comunicato dal presidente del CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Kaswalder Walter al

ricorrente PRUNER WALTER con lettera del 2.5.2019.

In ordine alla tutela spettante al ricorrente, è pure consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte (ex multis Cass. 29.10.2013, n. 24335; Cass. 11692/2005;), l’orientamento secondo cui l’invalido recesso ante tempus obbliga il recedente al risarcimento integrale del danno, da liquidarsi secondo le regole comuni di cui all’art. 1223 cod.civ., sicché il lavoratore ha diritto alla retribuzione fino alla scadenza del termine, oltre al risarcimento del danno derivante dai minori versamenti contributivi previdenziali, con detrazione – ove il datore di lavoro ne fornisca la prova – dell’aliunde perceptum ossia di quei guadagni che il lavoratore abbia eventualmente conseguito da altre attività lavorative svolte nell’ambito di rapporti successivamente instaurati.

Quindi il convenuto CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

va condannato al pagamento, in favore del ricorrente PRUNER WALTER, della somma pari alla differenza tra la retribuzione che sarebbe maturata nel periodo dal 6.5.2019 fino alla durata in carica dell’attuale presidente Kaswalder Walter e comunque non oltre la durata dell’attuale legislatura;

trattandosi di somma agevolmente determinabile, non si procede, per ragioni di economia

processuale, alla nomina di un c.t.u. ai fini della liquidazione.

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tale somma va maggiorata ex art.429 co.3 cod.proc.civ. (con gli interessi legali dovuti sul capitale via via rivalutato ogni fine anno secondo quanto stabilito in Cass. S.U. 29.1.2001, n.38), norma “risuscitata” dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 22 co.36 L.23.12.1994, n.724 (Corte Cost.2.11.2000, n.459;).

L’attività di pubblicazione di alcuni interventi sulla stampa quotidiana (doc. 6 fasc. conv.), esercitata dal ricorrente successivamente al recesso, non appare idonea a generare un aliunde perceptum, trattandosi di prestazioni che verosimilmente il ricorrente avrebbe svolto anche se il suo rapporto di lavoro con il CONSIGLIO fosse proseguito.

– – –

Non è, invece, fondata la domanda, proposta dal ricorrente, di risarcimento dei danni non patrimoniali (psico-fisici, esistenziali, morali, e all’immagine) a lui assertamente derivati dal “licenziamento ante tempus” per il suo carattere discriminatorio e per la modalità ingiuriosa con cui è stato preventivamente reso pubblico e poi irrogato.

Il ricorrente è un personaggio pubblico di lungo corso. La vicenda del suo licenziamento si inserisce pienamente nell’ambito della vita politica locale, di talché appare del tutto inverosimile che avvenimenti, a cui era certo abituato, gli abbiano provocato danni di natura non patrimoniale.

– – –

Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza principale.

P.Q.M.

Il tribunale ordinario di Trento – sezione per le controversie di lavoro, in persona del giudice istruttore, in funzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide:

Accerta la nullità per motivo illecito determinante ed esclusivo ex art. 1345 cod.civ. del recesso ante tempus comunicato dal presidente del CONSIGLIO DELLA

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Kaswalder Walter al ricorrente PRUNER WALTER con lettera del 2.5.2019.

Condanna il convenuto CONSIGLIO DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO al pagamento, in favore del ricorrente PRUNER WALTER, della somma pari alla differenza tra la retribuzione che sarebbe maturata nel periodo dal 6.5.2019 fino alla durata in carica dell’attuale presidente Kaswalder Walter e comunque non oltre la durata dell’attuale legislatura, con il maggior danno da svalutazione liquidato sulla base della variazione percentuale degli indici ISTAT, intervenuta dalla data di maturazione del credito (6.5.2019) fino ad oggi, e con gli interessi legali computati sulla somma così rivalutata e decorrente dallo stesso termine a quo fino al
Rigetta la domanda, proposta dal ricorrente, di risarcimento dei danni non patrimoniali a lui assertamente derivati dal “licenziamento ante tempus”.
Condanna il convenuto alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese di giudizio, liquidate nella somma di € 3.000,00, maggiorata del 15% per spese forfettarie ex art. 2 co.2 d.m. 10.3.2014, n. 55, oltre ad IVA e

Trento, 1 giugno 2020

IL FUNZIONARIO GIUDIZIARIO                                IL GIUDICE

dott. Giovanni Zorzi                                            dott. Giorgio Flaim

 

 

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