News immediate,
non mediate!
Categoria news:
LANCIO D'AGENZIA

TAR – TRENTO * APERTURE DOMENICALI – RICORSO PROPOSTO DA CONSORZIO SHOP CENTER VALSUGANA: « ACCOLTO IL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO, SI CONDANNA LA PROVINCIA AL PAGAMENTO DELLE SPESE DI GIUDIZIO »

Scritto da
10.13 - giovedì 3 febbraio 2022

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica) ha pronunciato la presente sentenza.

Sul ricorso numero di registro generale 110 del 2020, proposto da Consorzio Shop Center Valsugana, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Flavio Maria Bonazza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Flavio Maria Bonazza in Trento, piazza Ezio Mosna, n. 8;
contro Provincia Autonoma di Trento, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Nicolò Pedrazzoli, Marialuisa Cattoni e Sabrina Azzolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura della Provincia in Trento, piazza Dante n. 15, Trento;
nei confronti

– Baby Store S.r.l. S. Unipersonale, non costituito in giudizio;
– Comune di Pergine Valsugana, non costituito in giudizio;

sul ricorso di registro generale 111 del 2020 proposto da Consorzio Cavalli e Habitat Arredamenti di Cavalli Virginio S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Flavio Maria Bonazza, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio avv. Flavio Maria Bonazza in Trento, piazza Ezio Mosna, n. 8;
contro Provincia Autonoma di Trento, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Nicolò Pedrazzoli, Marialuisa Cattoni e Sabrina Azzolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’Avvocatura della Provincia in Trento, piazza Dante n. 15, Trento;
nei confronti

– Macelleria Sighel S.r.l., non costituito in giudizio;

– Comune di Civezzano, non costituito in giudizio;

per la declaratoria di nullità o, in subordine, per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia ed all’occorrenza declaratoria di illegittimità costituzionale, dell’art. 1, commi 1 e 2, della l.p. n. 4/2020, della deliberazione n. 891/2020 della Giunta della Provincia Autonoma di Trento, pubblicata in data 03.07.2020, con cui sono stati individuati i Comuni ad elevata densità turistica e di attrazione commerciale/turistica nei quali è ammessa l’apertura degli esercizi commerciali anche nelle giornate domenicali e festive;

Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento; Visti tutti gli atti della causa;
Visto il decreto n. 16 del 10 agosto 2021 del Presidente del T.R.G.A. di Trento, come modificato dal decreto n. 18 del 20 settembre 2021 e dal

decreto n. 1 del 11 gennaio 2022, e, per quanto non diversamente disposto, il decreto del Presidente del T.R.G.A. di Trento n. 24 del 31 agosto 2020;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2022 il
Consigliere Cecilia Ambrosi e uditi per le parti i difensori: avvocato Flavio Maria Bonazza, per i ricorrenti, e avvocato Sabrina Azzolini per la Provincia autonoma di Trento, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Con la legge provinciale trentina 3 luglio 2020, n. 4 e s.m., è stata introdotta la “Disciplina delle aperture nei giorni domenicali e festivi delle attività commerciali”. Tale legge, al suo articolo 1, disponeva quanto segue: “Art. 1 Disciplina delle aperture nei giorni domenicali e festivi delle attività commerciali. 1. Per favorire la conservazione delle peculiarità socio-culturali e paesaggistico-ambientali, gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva, fatto salvo quanto previsto da quest’articolo in relazione all’attrattività turistica dei territori e a garanzia del pluralismo nella concorrenza.

2. La Giunta provinciale individua con propria deliberazione i comuni ad elevata intensità turistica o attrattività commerciale/turistica nei quali è ammessa l’apertura degli esercizi di vendita al dettaglio anche nelle giornate domenicali e festive. La deliberazione può individuare i periodi di apertura degli esercizi, con riferimento alla vocazione turistica dei territori, o specifiche aree dei territori comunali in cui si limita la possibilità di apertura, sempre nel rispetto degli obiettivi del comma 1. 3. La Giunta provinciale entro il 31 ottobre 2020, quale modalità ordinaria, modifica o integra la deliberazione prevista dal comma 2 acquisendo preventivamente il parere del Consiglio delle autonomie locali, delle associazioni dei consumatori riconosciute a livello locale, delle associazioni datoriali del commercio e delle associazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello locale. 4.

In occasione di grandi eventi o manifestazioni che richiamano un notevole afflusso di persone i comuni possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva per un massimo di diciotto giornate annue. I comuni acquisiscono il parere delle associazioni dei consumatori riconosciute a livello locale, delle associazioni datoriali del commercio e delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello locale in ordine alla programmazione di queste deroghe. 5. Quest’articolo non si applica a: a) i soggetti e le attività indicati dagli articoli 2 e 27, comma 2, della legge provinciale 30 luglio 2010, n. 17 (legge provinciale sul commercio 2010); b) gli esercizi commerciali interni ai campeggi, villaggi e complessi turistici e alberghieri che effettuano la vendita esclusivamente a favore delle persone alloggiate; c) gli esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di servizio lungo le autostrade, nelle stazioni ferroviarie, di autolinee e aeroportuali; d) gli impianti di distribuzione automatica di carburante; e) le ulteriori attività individuate dalla Giunta provinciale.

6. La violazione di quest’articolo è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 200 a 1.200 euro e contestualmente con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione dell’attività per un periodo da uno a sette giorni; in caso di recidiva la sanzione accessoria è raddoppiata. Per l’applicazione delle sanzioni si osserva la legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione o dell’ordinanza di archiviazione di cui all’articolo 18 della legge n. 689 del 1981 nonché l’adozione della sanzione amministrativa accessoria spettano al comune territorialmente competente. Le somme riscosse ai sensi di questo comma sono introitate nel bilancio del comune competente. 6 bis. In prima applicazione per l’anno 2020, i comuni possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva per un massimo di dodici giornate, previo parere delle associazioni dei consumatori riconosciute a livello locale, delle associazioni datoriali del commercio e delle organizzazioni sindacali

maggiormente rappresentative a livello locale in ordine alla programmazione di queste deroghe. L’articolo 1, comma 4, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2021”.
2. In forza dell’articolo 1, comma 2, della citata legge provinciale 3 luglio 2020, n. 4, la Giunta della Provincia Autonoma di Trento ha approvato la deliberazione 3 luglio 2020, n. 891, con la quale sono stati individuati i Comuni ad elevata intensità turistica o attrattività commerciale/turistica nei quali, in deroga al divieto disposto al comma 1, “è ammessa l’apertura degli esercizi di vendita al dettaglio anche nelle giornate domenicali e festive”. Nel novero di questi Comuni non è incluso né il Comune di Pergine Valsugana (TN) né il Comune di Civezzano (TN).

3. Il Consorzio Shop Center Valsugana è costituito dagli operatori commerciali che sono insediati nell’omonimo centro commerciale situato nel Comune di Pergine Valsugana (TN). Il Consorzio Cavalli è costituito dai proprietari di tutte le superfici a vocazione commerciale insediate nel centro commerciale “Europa” situato nel Comune di Civezzano (TN), gestite dallo stesso Consorzio, mentre Habitat Arredamenti di Cavalli Virginio S.r.l. costituisce una delle attività commerciali facenti capo al medesimo Consorzio Cavalli.

4. Con i ricorsi, rispettivamente rubricati sub. RG. 110 e RG. 111, riuniti con ordinanza di questo Tribunale n. 34 del 2020, il Consorzio Shop Center Valsugana, nonché il Consorzio Cavalli e Habitat Arredamenti di Cavalli Virginio S.r.l. hanno instaurato l’odierna controversia. In particolare, oggetto di impugnativa è la deliberazione della Giunta provinciale n. 891 del 2020 già richiamata al punto 2, che approva gli elenchi dei comuni per i quali vige la deroga al divieto previsto nell’articolo 1, comma 1, della l.p. n. 4 del 2020 senza peraltro includere nella deroga medesima il Comune di Pergine Valsugana (TN) ed il Comune di Civezzano (TN), nel cui territorio sono situati gli esercizi commerciali facenti capo ai ricorrenti. Pertanto, per l’effetto del complessivo quadro normativo ed attuativo sopra indicato, i

ricorrenti non hanno facoltà di aprire al pubblico le attività commerciali nelle giornate domenicali e festive: situazione della quale si dolgono con i gravami oggetto di odierno scrutinio.
I ricorsi illustrano in premessa la localizzazione e le caratteristiche di ciascun centro commerciale, atte a valorizzare la peculiare e distinta vocazione turistica/commerciale del Comune di Pergine Valsugana e del Comune di Civezzano, viceversa disconosciute dal provvedimento impugnato, ed enfatizzano l’effetto distorsivo della concorrenza complessivamente derivante dalla norma di legge provinciale alla quale il provvedimento impugnato dà attuazione, con evidenza dell’elevato pregiudizio economico che grava sui ricorrenti. Quindi censurano la legittimità del provvedimento impugnato, avanzando i seguenti motivi di gravame:

“1) Nullità della deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 891/2020 per difetto assoluto di attribuzione (art. 21 septies della L. n. 241/1990). Inesistenza e conseguente inconfigurabilità di funzioni amministrative provinciali in materia di determinazione dei luoghi, dei giorni e degli orari di apertura degli esercizi commerciali situati in Provincia di Trento (art. 118 Cost.; artt. 10 e 11 del D.Lgs. 59/2010, emanato in attuazione della Direttiva n. 2006/123/Ce; art. 3, comma I, lett. d-bis), del D.L. n. 223/2006, come modificato dall’art. 31, comma I, del D.Lgs. n. 201/2011; art. 1, comma II, del D.L. n. 1/2012). Illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l.p. n. 4/2020 per contrasto con l’art. 117, comma II, lett. e), anche in relazione agli artt. 41 e 120 della Costituzione, nonché gli artt. 4, 5 e 9 dello Statuto Autonomia della Regione Trentino- Alto Adige e della Provincia Autonoma di Trento). In subordine, illegittimità della deliberazione impugnata e conseguente annullabilità della stessa a fronte dei profili di violazione di legge che la contraddistinguono, in relazione a tutte le disposizioni normative sopra richiamate”.

Con il primo motivo, sub. I, si deduce la nullità della deliberazione impugnata per “difetto assoluto di attribuzioni amministrative in capo alla Provincia Autonoma di Trento in materia di individuazione dei luoghi, dei giorni e degli orari di apertura degli esercizi commerciali nella sola Provincia di Trento”, ex art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto il complessivo ordinamento giuridico statuale (costituito dal combinato disposto degli articoli 10 e 12 del d.lgs. n. 59 del 2010, articolo 31, commi 1 e 2, del d.l. n. 201 del 2011 – c.d. “Decreto Salva Italia”, conv. nella l. n. 214 del 2011 – nonché articolo 1, comma 2, del d.l. n. 1 del 2012

– c.d. “Decreto Cresci Italia”, conv. nella l. n. 27 del 2012 -), “esprime un divieto di fonte normativa di introdurre limiti agli orari ed ai giorni di apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali presenti in tutto il territorio italiano non derogabile in forza di prescrizioni legislative o regolamentari regionali” e, secondo quanto deciso dalla Corte Costituzionale (citando, tra le altre, la sentenza n. 38 del 2013), in tesi dei ricorrenti, “a fronte dell’assenza di un potere legislativo regionale o provinciale di limitazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali, sia parallelamente da escludere l’esistenza di potestà amministrative in materia”.

Con lo stesso primo motivo, sub. II, in via alternativa subordinata, si chiede l’annullamento dell’atto impugnato, previo riscontro, a tali fini, dell’incostituzionalità dell’art. 1, comma 1, della l. p. n. 4 del 2020, che, imponendo la chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali al dettaglio, si pone in contrasto con il disposto dell’art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione, così come si chiede il riscontro ai fini della declaratoria di incostituzionalità, in via consequenziale, anche del comma 2 del medesimo articolo. Infatti, le richiamate norme sono espressione della competenza esclusiva del legislatore statale nella materia della “tutela della concorrenza” di cui all’anzidetta lettera e) dell’art. 117 della Costituzione, avente natura trasversale, emanate anche nell’ottica di garantire l’uniformeaccesso al mercato da parte degli operatori economici e dei consumatori, il quale risulta altrimenti frustrato da una frammentata differenziazione della disciplina commerciale a livello regionale (o provinciale nel caso di specie). Inoltre, l’articolo 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, così come gli artt. 10 e 12 del d.lgs. n. 59 del 2010, costituiscono espressione di un principio generale dell’ordinamento nazionale nonché di norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, limiti ai quali il legislatore provinciale è vincolato (sentenze della Corte Costituzionale n. 299/2012, n. 38/2013, n. 104/2014, n. 98/2017), a norma dell’articolo 4, 5 e 9 dello Statuto di autonomia, approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, con conseguente violazione anche del principio di libertà di iniziativa economica sottesa all’art. 41 della Carta Costituzionale e, quindi, del principio di eguaglianza solennemente sancito dall’art. 3 della stessa.

In ogni caso, la potestà legislativa esercitata non appare giustificata, sempre nell’illustrazione del motivo di ricorso, “da concrete esigenze di tutela di valori costituzionali di livello pari a quelli di salvaguardia della garanzia di un’effettiva apertura concorrenziale e di una libertà di iniziativa economica, quali la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente (anche urbano) e dei beni culturali”, non rilevandosi l’idoneità, a tal fine, delle generiche, irrazionali e pretestuose esigenze di salvaguardia delle “peculiarità socio-culturali” e “paesaggistico- ambientali”. Infine, il potere demandato alla Giunta provinciale di individuare i territori comunali in cui è operativa una deroga al divieto di apertura, assume i connotati di una “delega in bianco”, senza la precisazione dei presupposti del potere, per contro necessari stante l’eccezionalità dell’attribuzione.

“2) Violazione di legge (artt. 10, 11 e 12 del D.Lgs. n. 59/2010). Carattere del regolamento impugnato per contrasto con i principi desumibili dagli artt. 34 e 35 ed all’art. 56 del TFUE e dall’art. 41 Cost. Violazione di legge (art. 3, comma I, lett. d-bis), del D.L. n. 223/2006,

come modificato dall’art. 31, comma I, del D.Lgs. n. 201/2011; art. 1, comma II, del D.L. n. 1/2012). Dovere di disapplicazione della l.p. n.4/2020 per contrasto con gli artt. 34, 35 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.”

Con il secondo motivo di gravame è chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, in quanto, in tesi dei ricorrenti, sarebbero direttamente disapplicabili le norme provinciali citate, ove ritenute confliggenti con le disposizioni contenute negli articoli 34, 35 e 56 del vigente Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) in materia di libera circolazione di merci e servizi nel Mercato comune, nonché con le disposizioni della direttiva 2006/123/CE (c.d. “Direttiva Bolkenstein”) attuate nell’ordinamento italiano dagli artt. 10, 11 e 12 del d.lgs. n. 59 del 2010, con conseguente diretta violazione del diritto europeo. “La disapplicazione della richiamata disposizione della l.p. n. 4/2020 implica, infatti, che l’unico parametro utilizzabile per verificare la legittimità del potere regolamentare esercitato dalla Giunta sia individuabile nel D.Lgs.

n. 59/2010 e negli stessi principi di derivazione europea ad essa sottesi, con conseguente annullabilità dell’atto per palese violazione di legge”.
“3) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, conseguente travisamento della realtà, illogicità manifesta e carenza di motivazione o, comunque, perplessità della medesima, nonché contraddittorietà con precedenti provvedimenti che riconoscevano al Comune di Pergine Valsugana la natura di Comune turistico (va incidentalmente denotato che quest’ultimo rilievo è introdotto solo con riguardo al ricorso proposto dal Consorzio Shop Center Valsugana sub. RG. 110 e che con esso si deduce la contraddittorietà con i precedenti provvedimenti che, viceversa, avevano riconosciuto la rilevanza turistica del medesimo Comune di Pergine Valsugana), disparità di trattamento. Violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa e di legge (art. 1, comma II, della l.p. n. 4/2020).”

Con il terzo motivo di ricorso, espresso in via subordinata, si mira all’annullamento dell’atto impugnato, in quanto inficiato dall’illegittimo esercizio del potere affidato alla Giunta provinciale quanto ai criteri di individuazione della rilevanza turistica e commerciale dei Comuni collocati nel territorio provinciale, con illegittima esclusione di quelli che costituiscono il territorio in cui sono insediati gli esercizi commerciali dei ricorrenti – Comune di Pergine Valsugana e Comune di Civezzano – quale si desume dai plurimi profili di eccesso di potere, dagli evidenti deficit istruttori e di motivazione, con conseguente disparità di trattamento e di violazione di legge, nonché mancando nella specie qualsivoglia bilanciamento degli interessi contrapposti.

5. La Provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio e, con memoria depositata in data 5 settembre 2020, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dei ricorsi per mancata notificazione all’asserito, unico controinteressato in ciascuno di essi, rispettivamente da identificarsi – secondo la prospettazione della Provincia medesima – nel Comune di Pergine Valsugana e nel Comune di Civezzano; in subordine la stessa Provincia ha chiesto che i ricorsi siano respinti nel merito, in quanto infondati. In particolare, nella propria difesa l’Amministrazione provinciale chiarisce che, con la delibera impugnata e la legge provinciale n. 4 del 2020 – che ne costituisce il presupposto – essa ha inteso legittimamente operare, in conformità con quanto previsto dall’articolo 41 della Costituzione, “il migliore bilanciamento tra l’esercizio del diritto di iniziativa economica e i fini sociali”, non sussistendo alcuna normativa europea che rechi la regola della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali o il divieto per gli Stati membri di introdurre una disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali: e ciò è anche confermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 239 del 2016. La regolazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali è espressione della competenza legislativa residuale delle Regioni in materia

di commercio, le quali, pur incontrando un limite all’esercizio di questa potestà legislativa nella scelta del legislatore statale di liberalizzazione recata dall’articolo 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, tuttavia conservano la possibilità di valutare se intervenire a coordinare l’esercizio della libera iniziativa economica a fini di utilità sociale, ai sensi dell’articolo 41, comma terzo, della Costituzione. Ciò sarebbe espressamente consentito dall’articolo 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, convertito con l. n. 214 del 2011, con riferimento al diritto di apertura di nuovi esercizi commerciali: disposizione, quest’ultima, che in tesi della resistente può essere estesa anche alle modalità di esercizio dell’attività commerciale “qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali.”

Nell’approfondimento delle proprie difese l’Amministrazione provinciale sostiene che il primo motivo di ricorso non può essere condiviso quanto alla censura di nullità della delibera della Giunta provinciale n. 891 del 2020, in quanto l’organo esecutivo ha esercitato un potere affidatogli espressamente dall’art. 1, comma 2, della l.p. n. 4 del 2020, e rilevato che le ipotesi di nullità, per difetto assoluto di attribuzione, devono ritenersi eccezionali alla luce della giurisprudenza amministrativa. Nel merito della richiesta di sollevare l’incidente di costituzionalità, la Provincia autonoma di Trento afferma di aver inteso esercitare la competenza legislativa primaria ad essa riconosciuta dall’articolo 8, comma 1, nn. 3, 4 e 6, dello Statuto speciale di autonomia in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale (3), di tutela degli usi e costumi locali (4) e di tutela del paesaggio (6). Nel dettaglio, il legislatore provinciale, con l’articolo 1 della legge n. 4 del 2020, non avrebbe reintrodotto un generalizzato divieto di apertura festiva, bensì, stante le ampie possibilità di apertura ivi previste (commi 2, 4, 5 e 6 bis), un divieto di carattere residuale, e tanto varrebbe a distinguere la legge provinciale di Trento n. 4 del 2020 da quella della Provincia autonoma di Bolzano oggetto di scrutinio nella sentenza della Corte costituzionale n. 38 del 2013.

In secondo luogo, la regolazione provinciale introdotta sarebbe giustificata da finalità sociali, riconducibili a valori protetti dalla Costituzione, da ritenere prevalenti secondo l’ordine di priorità dettato dalla stessa Carta costituzionale, così come sarebbe consentito dalle sentenze della Corte costituzionale (con richiamo alla sentenza n. 38 del 2013). In particolare, in tesi della Provincia autonoma di Trento: “L’identità culturale tradizionale propria della popolazione trentina e altoatesina è legata al rispetto di un principio di matrice religiosa, ma di radicamento sociale, del riposo domenicale e festivo, un principio che trova comunque conferma anche a livello nazionale, nella frequente coincidenza delle festività riconosciute dal Legislatore nazionale con le festività cristiane. Questo connotato proprio della tradizione culturale trentina imprime al tessuto urbano degli abitati, nelle giornate festive, una precisa immagine di quiete, di astensione dai commerci, essendo l’attività commerciale al dettaglio quella che, in quanto aperta alla frequentazione del pubblico, maggiormente incide, conformandolo, sul paesaggio, urbano o extra-urbano, che la ospita, a prescindere dalla frequentazione turistica o commerciale dello stesso. In questi termini il Legislatore provinciale, con l’introduzione del principio della chiusura domenicale degli esercizi commerciali, ha inteso . Che la chiusura domenicale degli esercizi commerciali rappresenti un’espressione radicata nella cultura della popolazione locale risulta ulteriormente dimostrato dal fatto che analoga regola si trova stabilita nella legislazione austriaca (§ 3 ) oltre che nella legislazione federale tedesca (§ 5 ), ossia nella legislazione di quei territori ai quali le popolazioni della Regione speciale Trentino – Alto Adige risultano vicine per ragioni di comunanza di percorsi storici e istituzionali, oltre che di collaborazione per la valorizzazione del patrimonio culturale comune.

Alla luce di queste considerazioni si deve concludere che il Legislatore provinciale ex articolo
41 della Costituzione, si è fatto carico di coordinare a fini sociali l’esercizio dell’attività commerciale, tutelando il proprio patrimonio culturale, all’interno del quale si iscrive il riconoscimento della chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali, quale misura volta a non impedire il godimento del riposo settimanale congiuntamente ai propri cari, l’adempimento dei doveri di educazione dei figli, la tutela della famiglia, e, in generale, l’espressione della propria personalità in un contesto sociale rispettoso del patrimonio culturale tradizionale proprio della popolazione locale (valori questi riconducibili – come sopra visto – a diritti che la Costituzione pone in posizione prioritaria rispetto al diritto riconosciuto dall’articolo 41 della Costituzione, come risulta evidente dall’ordine espositivo seguito dal Costituente)”, escludendosi, in tal senso, anche la violazione dell’articolo 3 della Costituzione.
Infondato è, altresì, il secondo motivo di ricorso in quanto la direttiva 2006/123/UE non contiene alcun divieto rivolto agli Stati membri di regolare gli orari di apertura degli esercizi commerciali, conformemente alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia; la direttiva interviene invece allo scopo di rimuovere gli ostacoli all’esercizio del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Da ultimo, sempre in tesi della Provincia resistente, anche il terzo motivo deve essere dichiarato inammissibile, in quanto mira alla sostituzione del Giudice amministrativo all’Autorità amministrativa, nell’esercizio della propria discrezionalità. In ogni caso esso è comunque infondato, poiché la Giunta provinciale ha posto a giustificazione della propria decisione dati oggettivi idonei allo scopo di selezionare i comuni ad elevata intensità turistica o attrattività commerciale/turistica, e i ricorrenti non sono stati in grado di dimostrarne, in tal senso, “la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento del fatto”.

6. Alla camera di consiglio del 10 settembre 2020, con ordinanza 11 settembre 2020, n. 34, questo Tribunale ha sospeso ai sensi dell’art. 55
c.p.a. l’efficacia del provvedimento impugnato “Considerata la fondatezza della domanda cautelare, sotto il profilo del fumus boni iuris, poiché questo Tribunale, come da decisione assunta nell’odierna camera di consiglio, intende sollevare ai sensi dell’art. 23 della l. 11 febbraio 1953, n. 87, questione di legittimità costituzionale della legge provinciale 3 luglio 2020, n. 4, esposta anche nel motivo 1 sub. II degli atti introduttivi del presente giudizio, in quanto rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata, per le ragioni che saranno esposte nella separata ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale” e con successiva ordinanza 24 settembre 2020, n. 163, su istanza della Provincia autonoma di Trento avanzata con ricorso rubricato sub R.G. n. 123/2020, ha reso i chiarimenti richiesti sulle modalità esecutive dell’anzidetta ordinanza cautelare n. 34, a’ sensi del combinato disposto degli artt. 112, comma 5 e 114, comma 5 del c.p.a., precisando “che la sospensione della deliberazione della Giunta provinciale n. 891 del 2020 disposta dalla medesima ordinanza cautelare n. 34 del 2020 opera essenzialmente , ovvero , con l’effetto che la misura consente solo alle medesime l’apertura domenicale e/o festiva degli esercizi commerciali” sino all’esito del giudizio costituzionale.

7. Infine, con ordinanza 1° ottobre 2020, n. 170, questo Tribunale ha sollevato ai sensi dell’art. 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87, l’incidente di costituzionalità della richiamata disposizione provinciale. In particolare, ha statuito quanto segue.

7.1. Anzitutto ha definito la rilevanza dell’art. 1 della l.p. n. 4 del 2020 nel presente giudizio, poiché “non sussistono le ragioni di inammissibilità del ricorso avanzate dall’Amministrazione intimata, in quanto nel provvedimento impugnato non si individua la sussistenza di controinteressati cc.dd., poiché tali non possono considerarsi i Comuni di Pergine Valsugana e di Civezzano, cui si dirige espressamente la delibera della Giunta provinciale n. 891 del 2020, escludendoli dal novero dei comuni ad attrattività turistica: e ciò in quanto nei loro confronti non può rilevarsi la sicura sussistenza di un interesse qualificato alla conservazione dell’efficacia degli effetti del provvedimento impugnato e di natura uguale e contraria a quello dei ricorrenti. Viceversa, può semmai sussistere in capo ai comuni medesimi un interesse adesivo a quello dei ricorrenti, in termini di rilevanza turistica del comune, piuttosto che di interesse alla tutela della concorrenza ed ai conseguenti effetti sullo sviluppo economico della comunità amministrata.

Inoltre, quanto ai controinteressati sostanziali, i ricorsi sono stati comunque notificati, , ad almeno uno dei soggetti aventi un interesse contrapposto, individuati tuzioristicamente negli esercizi commerciali che operano nei comuni contemplati a vario titolo nella delibera impugnata e nei quali vige, allo stato, la deroga alla chiusura domenicale e festiva degli esercizi, tra i quali sono stati scelti – per l’appunto, in via meramente cautelativa – quelli indicati in epigrafe. Non è altresì fondato il primo motivo di ricorso parte I, quand’anche ammissibile, che contesta, in termini gradatamente prioritari alla questione posta con la presente ordinanza, la nullità dell’atto impugnato per assoluto difetto di attribuzione in capo alla Provincia autonoma di Trento, in quanto il potere di approvare la deliberazione oggi impugnata è espressamente affidato alla Giunta provinciale dall’articolo 1 comma 2, della legge medesima. Proprio in ragione del fatto che la delibera della Giunta provinciale n. 891 del 2020, oggetto di impugnativa, costituisce espressione del potere attribuito con il richiamato articolo 1, comma 2, della legge provinciale n. 4 del 2020, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo alla medesima disposizione, e quella relativa all’articolo 1, comma 1, presupposta, determina il venir meno delle disposizioni in base al quale è stata adottato il provvedimento impugnato”.
7.2. Ha susseguentemente individuato la sussistenza del presupposto della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle disposizioni del citato art. 1 della l.p. 4 del 2020, ritenendo innanzitutto violato il parametro costituzionale costituito dall’art. 117, comma 2, lett. e) della Costituzione che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia della “tutela della concorrenza”.

Detta competenza, in tema di orari degli esercizi commerciali, è stata esercitata con l’art. 31, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici) – convertito con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214 -, che modifica l’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale) – convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248 -, già introdotta dall’articolo 35, comma 6, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 – convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011, n. 111 -.

Nel merito, l’art. 3, comma 1 del d.l. n. 223 del 2006, che costituisce la norma interposta, testualmente prevede: “1. Ai sensi delle disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni:” omissis “dbis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio”. Il divieto di apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali al dettaglio, imposto all’articolo 1, comma 1, della l.p. n. 4 del 2020, riveste portata generale e le deroghe previste dai commi successivi – sia quelle demandate alla Giunta provinciale, in relazione all’individuazione dei Comuni con connotazione turistica o turistico/commerciale, sia quelle affidate alla discrezionalità dei Comuni dai successivi commi 4 e 6 bis, così come da ultimo quelle stabilite nel comma 5, con riferimento ad attività puntualmente individuate – si caratterizzano come eccezioni rispetto alla regola generale.

Nel merito si è rilevato come la Corte costituzionale ha da tempo stabilito che il tema degli orari degli esercizi commerciali afferisce alla materia del commercio (cfr. sentenza n. 299 del 2012, nonché le sentenze e l’ordinanza ivi citate: n. 288 e n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006) con conseguente infondatezza della tesi della Provincia autonoma di Trento circa l’esercizio, con la legge provinciale in argomento, delle attribuzioni previste dall’articolo 8, comma 1, nn. 3, 4 e 6, dello Statuto speciale di autonomia, in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale (3), usi e costumi locali (4), tutela del paesaggio (6).

La materia del commercio è da intendersi attribuita alla competenza residuale della Provincia autonoma di Trento in forza dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e, pertanto, è soggetta ai limiti individuati dall’articolo 117, comma 1, della Costituzione, il quale dispone espressamente che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” e dunque ancora nel rispetto dell’articolo 117, comma 2, lett. e) della Costituzione che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di “tutela della concorrenza”.

Quest’ultima è competenza di carattere trasversale, qualificata come “materia-funzione” che, pur non individuando un preciso ambito materiale, tuttavia è idonea a costituire un limite all’esercizio delle competenze regionali (e, nel caso oggetto di scrutinio, provinciali) anche nelle materie di competenza esclusiva (o residuale: cfr. sul punto Corte Cost. n. 272 del 2004) che la portano ad intrecciarsi inevitabilmente con una pluralità di competenze e ad escluderne un’applicazione circoscritta e delimitata (cfr. Corte Cost. n. 407 del 2002). Al riguardo si è fatto richiamo a quanto statuito con la sentenza della Corte costituzionale n. 299 del 2012 e dal punto 3 della sentenza n. 38 del 2013, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma della Provincia autonoma di Bolzano che escludeva il commercio al dettaglio nelle zone destinate ad attività produttiva, nonché alla sentenza della Corte Costituzionale n. 65 del 2013, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma limitativa dell’orario della Regione Veneto del tutto simile a quella oggetto dell’odierno scrutinio (cfr. ivi al paragrafo 2), e nello stesso senso, più di recente, alla sentenza n. 98 del 2017, che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni della legge provinciale della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia rinviando, a sua volta, all’omologa decisione riguardante un’analoga disposizione della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta (sentenza n. 104 del 2014). Inoltre, questo Tribunale ha rilevato che, se è vero che la Corte costituzionale ha pur sempre riconosciuto il permanere di una competenza del legislatore locale anche nei siffatti ambiti materiali di liberalizzazione nella sentenza n. 98 del 2017, l’orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale, non può portare al riconoscimento di uno spazio di competenza in termini limitativi (della concorrenza), ossia mediante disposizioni che riducono le possibilità di apertura degli orari medesimi (cfr. sentenze già citate ed in particolare il punto 6.1. del considerato in diritto della sentenza n. 239 del 2016).

Sotto altro profilo, si è evidenziato come la Corte Costituzionale nella sentenza n. 239 del 2016, ha ammesso la possibilità che il legislatore statale detti una disciplina anche diversa rispetto a quella attualmente prevista dalla norma interposta (che, allo stato, sancisce un’illimitata facoltà di apertura al pubblico degli orari) e, sotto tale aspetto, se ne è dedotto che tale argomentazione esclude implicitamente, o quantomeno non affronta espressamente, la sussistenza di specifici principi dell’ordinamento eurounitario che impongano l’introduzione della disciplina in materia di orari nei termini già attualmente previsti, come del resto confermato dall’esistenza di discipline in parte difformi nel panorama europeo. Tuttavia, tale eventuale differente normazione è affidata al legislatore statale, proprio in relazione agli effetti pro-concorrenziali che essa induce nel mercato interno a tutela dei consumatori e della libera circolazione di merci e servizi (cfr. articolo 3, comma 1, del d.l. n. 226 del 2003). In tal senso questo Giudice non ha considerato persuasiva la tesi provinciale che ritiene – viceversa – di aver esercitato tale competenza nel solco della tutela degli interessi declinati nel (diverso) comma 2 dell’articolo 31, del d.l. n. 201 del 2011, poiché, si è ritenuto che, pur tenendo conto dell’apertura espressa dalla Corte nella sentenza già citata n. 98 del 2017, (“ove si legge, seppure – merita sottolineare – non con specifico riferimento ai limiti di orario – «i principi di liberalizzazione presuppongono che le Regioni seguitino ad esercitare le proprie competenze in materia di regolazione delle attività economiche», sia pure «in base ai principi indicati dal legislatore statale» e consente «le regolamentazioni giustificate da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario» che siano «adeguate e proporzionate alle finalità pubbliche perseguite», così da «garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale e con gli altri principi costituzionali»”), la disposizione legislativa provinciale, avrebbe dovuto rendere percepibile, in termini sufficientemente definiti, l’interesse, anche territoriale, che esige la tutela di quelle esigenze di pubblico interesse e di pari rilievo costituzionale che il legislatore provinciale ha inteso tutelare e l’adeguatezza e proporzionalità della scelta operata: e ciò mentre tale connotazione non si riconosce nella laconica previsione, che trovasi nell’incipit dell’articolo 1, comma 1, della l.p. n. 4 del 2020 “Per favorire la conservazione delle peculiarità socio- culturali e paesaggistico-ambientali” che si presenta invece in termini vaghi e generici. Sotto un ulteriore punto di vista, questo Tribunale ha altresì evidenziato come l’eventuale spazio asseritamente spettante all’autonomia legislativa provinciale nell’ambito delle competenze previste dall’articolo 8, comma 1, nn. 3, 4 e 6, dello Statuto speciale di autonomia – in materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale (3), usi e costumi locali (4), nonché tutela del paesaggio (6) – soggiace ai limiti (più stringenti) previsti dallo stesso articolo laddove richiama l’articolo 4 del medesimo Statuto (cfr. sul punto la richiamata sentenza della Corte n. 38 del 2013 resa sulla legge provinciale di Bolzano).

7.3. Mediante le sopradescritte motivazioni questo Tribunale ha pertanto disposto la rimessione alla Corte Costituzionale della seguente questione di legittimità costituzionale: “se le disposizioni dell’articolo 1 della legge provinciale 3 luglio 2020, n. 4, siano costituzionalmente illegittime, per contrasto con l’articolo 117, comma 1 e 2 lett. e), della Costituzione oppure con i limiti all’esercizio della potestà normativa primaria della Provincia autonoma di Trento nella materia di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e culturale (3), usi e costumi locali (4), nonché tutela del paesaggio (6), espressi dal combinato disposto degli articoli 8 e 4 dello Statuto di autonomia della Regione Trentino – Alto Adige/ Südtirol, approvato con d.P.R. 31.08.10972, n. 670”. La questione è stata posta anche con riferimento al comma 2 – ed al comma 3 correlato – del medesimo articolo, che demanda alla Giunta provinciale il compito di individuare “i comuni ad elevata intensità turistica o attrattività commerciale/turistica nei quali è ammessa l’apertura degli esercizi di vendita al dettaglio anche nelle giornate domenicali e festive”, nonché del comma 5, che ab origine sottrae al divieto le attività ivi individuate: e ciò in quanto risultava evidente che il venir meno del primo comma dell’articolo 1 privava di qualsiasi ragion d’essere anche i commi secondo, terzo e quinto del medesimo testo legislativo, stante l’effetto conseguente di liberalizzazione, “anche in ragione della disciplina contenuta nell’articolo 76, comma 5 bis della legge provinciale 30 luglio 2010, n. 17 recante – per l’appunto – , che non è stata coordinata con la previsione della attuale legge provinciale n. 4 del 2020 e quindi rimane in vigore, rendendo per l’effetto applicabile la disciplina di liberalizzazione degli orari anche nel territorio provinciale, cfr. precedenti sentenze di questo Tribunale n. 227, 228 del 2013”. Nel contempo è stata posta la medesima questione anche con riguardo ai successivi commi 4 e 6 bis, in quanto consentivano l’introduzione da parte dei Comuni di una disciplina derogatoria al generale divieto di apertura domenicale o festiva, che pertanto dovevano ritenersi, a maggior ragione, non conformi all’articolo 117, comma 2, lett. e) della Costituzione, nonché del comma 6, che disponeva in ordine alle sanzioni correlate al mancato rispetto del divieto e deve intendersi affetto da illegittimità costituzionale derivata.
7.4. Con la medesima ordinanza n. 170 del 2020 sono stati conseguentemente sospesi i giudizi in esame fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità.

8. Nelle more della pubblicazione di tale ordinanza la parte ricorrente, ha depositato, sia nel ricorso sub. R.G. 110 che nel ricorso sub. R.G. 111, gli atti di integrazione del contraddittorio rispettivamente nei confronti dei Comuni di Pergine Valsugana che di Civezzano, i quali peraltro non si sono costituiti nel giudizio.

9. La Corte costituzionale si è pronunciata sull’incidente di costituzionalità sollevato da questo Tribunale, nonché su analogo ricorso proposto in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (reg. ric. n. 74 del 2020), con la sentenza n. 134 pronunciata nell’udienza del 11 maggio 2021 e depositata il 1° luglio 2021. In particolare, ed in sintesi, la Consulta ha ritenuto fondata la questione sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con assorbimento delle doglianze relative agli altri parametri costituzionali, poiché “la disciplina dettata dall’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, relativa agli orari domenicali e festivi degli esercizi commerciali, afferisce alla materia della tutela della concorrenza che essendo di competenza esclusiva dello Stato non può essere incisa da disposizioni emanate dalle Regioni, ivi comprese le autonomie speciali”, materia che, dato il suo carattere “finalistico” e, dunque, “trasversale”, è “in grado di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni (sentenze n. 80 del 2006, n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004)”. Nella sentenza è fatto ampio richiamo alle argomentazioni riportate nella precedente decisione n. 299 del 2012, sulla cui scorta, nelle successive sentenze n. 98 del 2017, n. 239 del 2016 n. 104 del 2014, n. 27, 38 e 65 del 2013, la “Corte ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali, ivi comprese di quelle emanate da autonomie speciali, volte a disciplinare in modo restrittivo l’orario di apertura domenicale e festivo degli esercizi commerciali, ritenendole lesive della disciplina statale di introdotta dal più volte richiamato art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito”.
È stato in particolare valorizzato, quanto considerato nella sentenza 239 del

2016: “la totale liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali non costituisce una soluzione imposta dalla Costituzione, sicché lo Stato potrà rivederla in tutto o in parte, temperarla o mitigarla. Nondimeno, nel vigore del divieto di imporre limiti e prescrizioni sugli orari, stabilito dallo Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva a tutela della concorrenza, la disciplina regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima sotto il profilo della violazione del riparto di competenze” ed inoltre quanto precisato nella sentenza n. 8 del 2013, in ordine al fatto che l’intero sistema delle autonomie concorre all’attuazione dei principi di liberalizzazione “per evitare che le riforme introdotte ad un determinato livello di governo siano, nei fatti, vanificate dal diverso orientamento dell’uno o dell’altro degli ulteriori enti che compongono l’articolato sistema delle autonomie”, senza che ne risulti una menomazione delle competenze dei legislatori regionali o provinciali che devono essere invece orientati ad esercitarle in base ai principi indicati dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di concorrenza.

Conclude la Corte nel modo seguente: “In definitiva, in riferimento alla specifica disciplina degli orari di apertura al pubblico degli esercizi commerciali, le ricordate pronunce costituiscono espressione della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la «tutela della concorrenza assume […] carattere prevalente e funge da limite alla disciplina che le regioni possono dettare nelle materie di loro competenza, concorrente o residuale […], potendo influire su queste ultime fino a incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro cui si estendono, sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta (sentenza n. 56 del 2020; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 78 del 2020 e n.287 del 2016)”. Le esigenze, pur apprezzabili di cui si è fatta carico la Provincia autonoma di Trento costituiscono, sempre secondo il Giudice delle Leggi, “problematiche di valenza generale, emerse a livello nazionale nel corso del dibattito che si è aperto sulla necessità o opportunità di rivisitare la disciplina liberalizzatrice recata dall’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, con riferimento in particolare all’esigenza di intervenire per mitigare le negative ripercussioni prodotte dalla totale liberalizzazione sulle esigenze di vita dei lavoratori del settore e sugli stessi piccoli esercenti. Pertanto, solo la disciplina statale è in grado di assicurare una regolazione coerente e armonica sull’intero territorio nazionale, evitando che si determinino effetti distorsivi sulla stessa concorrenza in conseguenza della disarticolazione a livello regionale e provinciale della disciplina in materia di orari di apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali” (punto 8).

Per l’effetto, la Corte Costituzionale ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’intero articolo 1 della legge provinciale n. 4 del 2020, non solo del suo comma 1 ma anche dei successivi commi da 2 a 6-bis “che costituiscono specifiche declinazioni e attuazioni funzionali all’obbligo disposto in via generale di osservare la chiusura domenicale e festiva”, con assorbimento dei profili autonomi di censura sugli stessi commi sollevati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con il proprio ricorso proposto in via principale.

10. Con istanza depositata il 9 luglio 2021, la parte ricorrente ha pertanto chiesto la fissazione dell’udienza di discussione del ricorso in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale, a mente dell’art. 80 del c.p.a., e con memoria del 17 dicembre 2021, depositata in entrambi i giudizi, ha dedotto l’illegittimità derivata della delibera impugnata per effetto della dichiarata incostituzionalità dell’articolo 1 della l.p. 4 del 2020, in quanto dedotta in sede di ricorso, oppure, trattandosi del venir meno della norma attributiva del potere, la nullità della delibera stessa in quanto emanata “sulla base di un giudizio in difetto di un’idonea fonte legislativa attributiva del potere anzidetto e, dunque, in difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21 septies della L.n. 241/1990”. In tal senso richiama la parte ricorrente un orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, secondo cui “ammessa dunque la rilevanza nel giudizio, della pronuncia di incostituzionalità, il vizio che ne scaturisce è quello previsto dall’art. 21 [septies] della L. n. 241 del 1990, ossia il difetto assoluto di attribuzione, come tale presidiato dalla sanzione della nullità (C.d.S., Sez. IV, 03.03.2014, n. 993 ed, in termini, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 24.06.2021, n. 2089, T.A.R. Toscana, Sez. III, 29.06.2020, n. 834, T.A.R. Veneto, Sez. I, 22.07.2019, n. 860 e T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 22.03.2019, n. 625). Tale nullità, secondo la stessa giurisprudenza, può essere rilevata d’ufficio e, conseguentemente, disposta anche a prescindere da apposita domanda di parte, inequivocamente formulata, invece, nel caso di specie”. In subordine vengono ribaditi i vizi già prospettati nel ricorso introduttivo.

11. La resistente Provincia autonoma di Trento, dal canto suo, con memoria del 27 dicembre 2021, depositata in entrambi i giudizi, ha chiesto, in rito, dapprima la dichiarazione di improcedibilità del terzo motivo di ricorso, in quanto proposto in via subordinata.

Per il resto l’Amministrazione intimata ha fatto istanza per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, poiché il venir meno dell’art. 1 della l.p. n. 4 del 2020, per effetto della sentenza della Corte costituzionale, ha determinato il venir meno del divieto di apertura domenicale e festiva, sicché trova applicazione al riguardo la corrispondente normativa di fonte statuale laddove sancisce la possibilità di apertura degli esercizi commerciali, e pertanto la parte ricorrente ha visto già realizzato l’interesse da essa perseguito. Nel merito, in via subordinata, ha insistito per la dichiarazione di infondatezza dei motivi di ricorso, quanto al primo motivo essendo insussistenti i presupposti richiesti dalla consolidata giurisprudenza per dichiarare la nullità per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21 septies della legge 241 del 1990, secondo quanto già prospettato nelle proprie precedenti memorie ed in ragione del fatto che, sulla scorta della giurisprudenza amministrativa risalente e consolidata, la declaratoria di incostituzionalità determina l’annullabilità dell’atto amministrativo emanato in applicazione della legge incostituzionale e non la nullità dello stesso (Cons. Stato, Ad. Plen., 8 aprile 1963, n.

8). Il secondo motivo, sempre ad avviso della Provincia, rimane comunque infondato per quanto già ampiamente prospettato nelle memorie prodotte, in sintesi “Posto che la scelta del legislatore nazionale della totale liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali non è espressione di un principio costituzionalmente imposto, nemmeno ai sensi dell’art. 117, comma I, della Costituzione, bensì costituisce un’opzione discrezionalmente assunta dal legislatore ordinario, risulta evidente che la l.p. 4/2020 non ha determinato la violazione del diritto europeo, né comunque la lesione di una libertà riconosciuta dagli artt. 34, 35 e 56 del TFUE”.

Parimenti privo di pregio, in tesi della resistente, è il terzo motivo di gravame, pur ritenuto improcedibile per quanto sopra indicato, poiché, nel bilanciamento degli interessi, “la Giunta ha ritenuto di ponderare la presenza del solo turismo stanziale (tenuto conto dei dati oggettivi forniti da ISPAT sulla base dei quali è stato costruito l’indicatore di turisticità) e non del turismo di passaggio”; inoltre, quanto ai comuni di notevole attrattività commerciale/turistica, “la Giunta provinciale ha tenuto conto di circostanze oggettivamente rilevabili: la (Allegato II alla deliberazione n. 891 del 2020 sub DOC. 1 e dati del traffico veicolare sub DOC. 9)”. In definitiva, la deliberazione impugnata è espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, e la parte ricorrente non è stata in grado di dimostrarne la

manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento del fatto. Con memoria del 4 gennaio 2022, di replica a quanto dedotto dalla parte ricorrente, l’Amministrazione intimata ribadisce, da ultimo, che nel caso di specie la sentenza della Corte costituzionale determina l’invalidità derivata del provvedimento per violazione di legge, in ossequio alle statuizioni della giurisprudenza, poiché si tratta di “un ordinario vizio di legittimità (quindi, non rilevabile d’ufficio) e non un caso di nullità ex art. 21-septies della L.n. 241 del 1990 (che indica i casi tassativi di nullità del provvedimento amministrativo, non contemplando tra essi il caso del provvedimento basato su una norma incostituzionale) (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 21 febbraio 2020, n. 1343)”. Sotto altro profilo, la Corte non avrebbe dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 “nella parte in cui attribuisce alla giunta provinciale il potere di individuare i comuni ad elevata intensità turistica o attrattività commerciale/turistica”, potere già riconosciuto dallo stesso legislatore statale alle Regioni nel contesto del regime di chiusura domenicale e festiva degli esercizi commerciali ex art. 12 del d.lgs. 114 del 1998: “(n)on può essere dunque affermato che sia stata dichiarata incostituzionale l’attribuzione alla Giunta provinciale dell’individuazione dei comuni ad elevata intensità turistica o attrattività commerciale/turistica”.

12. La parte ricorrente, a sua volta, con memoria di replica del 5 gennaio 2022, depositata in entrambi i giudizi, ha contestato l’esistenza dei presupposti per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere, poiché essa dovrebbe conseguire ad un intervento satisfattivo posto in essere dalla Pubblica amministrazione che “abbia ripristinato la situazione antecedente all’emanazione dell’atto illegittimo mediante l’esercizio dei relativi poteri di autotutela in forma integralmente satisfattiva della posizione giuridico-soggettiva del ricorrente, riconoscendo, in tale modo, l’illegittimità dell’atto avversato con relativa

eliminazione con effetti ex tunc”, il che non è nel caso di specie ove è intervenuta una sentenza della Corte costituzionale, mentre il provvedimento deliberativo impugnato non è stato annullato dalla Giunta provinciale. Infatti, la deliberazione 1466 del 29 settembre 2020, ha solo sospeso in via interinale l’efficacia del provvedimento gravato. Ha ribadito infine che, secondo la giurisprudenza consolidata, la sentenza della Corte costituzionale non produce alcun automatico effetto caducatorio dell’atto impugnato, il quale necessita invece di un’autonoma pronuncia da parte del Giudice adito, confermando l’interesse alla declaratoria di nullità o quantomeno di annullamento dell’atto impugnato anche al fine di un eventuale e successivo esperimento di una domanda di carattere risarcitorio nei confronti della Provincia autonoma di Trento ex art. 34, comma 3, c.p.a., “tenendo conto dei devastanti effetti esplicati dal periodo di forzata chiusura delle superfici commerciali nella relativa disponibilità in vigenza dell’illegittimo atto avversato”.
13. All’udienza pubblica del 27 gennaio 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO
I. In limine si conferma la riunione dei ricorsi per l’evidente connessione oggettiva degli stessi, ex art. 70 del c.p.a., mentre può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità avanzata dalla Provincia autonoma di Trento per difetto di integrazione del contraddittorio, stante l’intervenuta notifica dei ricorsi anche ai Comuni di Pergine Valsugana e Civezzano nei termini di rito.
II. Ancora in via preliminare, ed in ragione della graduazione dei motivi espressi nel ricorso introduttivo, deve essere ulteriormente suffragata l’infondatezza del primo motivo di gravame, con specifico riguardo alla questione ivi gradatamente avanzata in via prioritaria, sub. I, che censura l’originaria nullità dell’atto impugnato per assoluto difetto di attribuzione ex art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, stante “l’assoluta inesistenza

del potere della Provincia Autonoma di Trento di introdurre limiti all’apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali presenti nella Provincia Autonoma di Trento, non consentiti dalla disciplina statale di riferimento e, conseguentemente, anche delle corrispondenti prerogative amministrative finalizzate ad individuare delle deroghe ai divieti imposti dal legislatore provinciale rispetto al libero esercizio di attività come assentito dall’art. 3, comma I, lett. d-bis), del ”. Il motivo di gravame in commento, in particolare, non correla espressamente la censurata nullità alla deduzione dell’illegittimità costituzionale della disposizione provinciale in argomento, poiché solo nella parte II dello stesso primo motivo la parte ricorrente ha posto la ridetta questione di costituzionalità – poi ritenuta rilevante e non manifestamente infondata anche da questo Tribunale con l’ordinanza n. 170/2020 – nei termini seguenti: “Nell’ipotesi in cui l’Intestato Tribunale ritenesse che la potestà regolamentare sia stata esercitata dalla Giunta provinciale in attuazione delle prerogative alla medesima riconosciute dall’art. 1, comma II, della l.p. n. 4/2020, si reputa vada affrontata, in via incidentale, la questione dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma I, della l.p. n. 4/2020, istitutivo del divieto generale di apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali presenti sul territorio provinciale, nonché del comma II del medesimo art. 1, che, quale diretta conseguenza dell’istituzione dell’incostituzionale limitazione all’apertura predetta, riconosce un potere di individuare, a livello provinciale, degli ambiti territoriali ove il divieto stesso non sia operativo, con creazione di situazioni lesive della concorrenza analoghe a quelle che sta subendo il Consorzio odierno ricorrente e ciò ai fini del successivo riscontro dell’illegittimità delle norme regolamentari impugnate”. In merito si rileva – come già argomentato nell’ordinanza n. 170 del 2020 e nel contesto della valutazione della rilevanza della questione di costituzionalità della l. p. 3 luglio 2020, n. 4 e ss.mm.- che il potere di approvare la deliberazione qui impugnata è stato

espressamente affidato alla Giunta provinciale dall’articolo 1, comma 2, della legge medesima e, dunque, è stato originariamente esercitato nell’alveo di una disposizione legislativa a quel momento pienamente vigente. Pertanto il motivo non coglie nel segno poiché, convenendo con le argomentazioni versate in giudizio dalla resistente Amministrazione, le ipotesi di nullità devono ritenersi eccezionali alla luce della condivisibile e consolidata giurisprudenza amministrativa (ex multis da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 17 novembre 2021, n. 7672), posto che non ricorre nel caso di specie alcuna ipotesi di nullità normativamente prevista.

III. Ciò detto, nell’approfondimento del primo motivo sub. II, deve evidenziarsi che per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 134, pronunciata nell’udienza del 11 maggio 2021 e depositata il 1° luglio 2021, l’intero articolo 1 della legge provinciale n. 4 del 2020 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo in accoglimento della questione incidentale avanzata da questo Tribunale con l’ordinanza n. 170 del 2020, sopra illustrata, e anche dell’analogo ricorso proposto in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (reg. ric. n. 74 del 2020).
IV. Occorre allora interrogarsi sugli effetti della richiamata sentenza quanto al provvedimento oggetto di impugnativa, costituito dalla deliberazione della Giunta provinciale 3 luglio 2020, n. 891, atto lesivo per la parte ricorrente in quanto ha sottratto alla stessa la possibilità di aprire gli esercizi commerciali nei giorni domenicali e festivi poiché collocati in Comuni non individuati quali destinatari della deroga al divieto di apertura imposto in via generale dalla l.p. n. 4 del 2020. Sul punto la resistente Amministrazione e la parte ricorrente, nelle memorie da ultimo depositate, introducono posizioni differenziate, come esplicitato nella ricostruzione in fatto.
V. Giova ricordare al riguardo che l’art. 136 della Costituzione e l’art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87 stabiliscono che dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza la norma dichiarata incostituzionale non può

più essere applicata. È opinione consolidata e condivisa da questo Tribunale (cfr. la richiamata ordinanza n. 163/2020) che dai citati articoli deriva il principio secondo il quale la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma di legge determina la cessazione della sua efficacia erga omnes con effetto retroattivo in relazione alle questioni ancora pendenti, mentre sui cc.dd. rapporti esauriti (situazioni ormai consolidate che derivano da un giudicato, da un atto amministrativo divenuto inoppugnabile, ovvero da prescrizioni o decadenze) non spiega effetti (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012).

Sul punto risultano ancora fondamentali gli assunti cui è pervenuto il Consiglio di Stato, nell’Adunanza plenaria 8 aprile 1963, n. 8, secondo la quale “La dichiarazione di illegittimità costituzionale ha efficacia ex tunc, salvo il limite degli effetti irrevocabilmente prodotti dalla norma incostituzionale (situazioni e rapporti divenuti incontrovertibili per il maturarsi di termini di prescrizione o di decadenza, o perché definiti con giudicato, etc.) ed opera erga omnes, cioè anche fuori dell’ambito del rapporto processuale in cui è stato sollevato l’incidente di incostituzionalità, distinguendosi dalla abrogazione della legge, perché si estende ai fatti anteriori. La norma dichiarata incostituzionale non può dichiararsi inesistente (con conseguente inesistenza dell’organo creato in base ad essa e degli atti emessi da tale organo). Fra legge ed atto amministrativo non sussiste un rapporto di consequenzialità analogo a quello ravvisabile tra atto preparatorio e atto finale del procedimento amministrativo. L’atto amministrativo, quale manifestazione di autonomia del potere esecutivo, ha una sua vita ed una sua individualità propria e non resta direttamente travolto dalla cessazione di efficacia della legge” ed ancora “Essendo la incostituzionalità della legge e la legittimità dell’atto amministrativo emanato in base alla legge medesima situazioni reciprocamente autonome, anche se la seconda è influenzata dalla prima, i ricorsi impostati sulla intervenuta dichiarazione di illegittimità

costituzionale vanno decisi dal giudice amministrativo tenendo presente che l’atto amministrativo continua ad avere vita autonoma finché non sia rimosso con uno degli strumenti a ciò idonei e che persiste l’interesse di chi ne ha chiesto l’annullamento ad ottenerlo”. Pertanto, l’esito del giudizio di costituzionalità di per sé non determina la soddisfazione del petitum versato nel ricorso, ossia la caducazione dell’atto impugnato e, sotto altro punto di vista, il processo amministrativo rimane nella piena disponibilità del giudice amministrativo, il quale pertanto dovrà esprimersi sul ricorso medesimo nonostante l’accoglimento della questione di costituzionalità incidentalmente sollevata (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 luglio 2018, n. 4264; Cons. Stato, sez. IV, 3 novembre 2015, n. 5012;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 2 ottobre 2018, n. 5750; T.A.R.

Campania, Napoli, sez. V, 14 marzo 2018, n. 1625): e ciò in quanto “non esiste tra legge e atto amministrativo un rapporto di consequenzialità, essendo essi il risultato di differenti procedimenti – indipendentemente dall’influenza che l’uno possa esercitare sull’altro – ed espressione di differenti e autonome funzioni dello Stato” (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lazio, sez. II Quater, 9 marzo 2020, n. 3055, confermata in appello da Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2021, n. 4642; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 9 novembre 2018, n. 6537; T.A.R. Marche, sez. I, 23 ottobre 2018, n. 692;
T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 28 giugno 2017, n. 1725).
Su tale assunto convergono, a ben vedere, entrambe le parti contendenti, sia la resistente Amministrazione (cfr. memorie del 27 dicembre 2021 e 5 gennaio 2022) che la parte ricorrente, da ultimo, nella memoria di replica del 5 gennaio 2022.

VI. Quanto sopra complessivamente argomentato, porta dunque a respingere la richiesta dell’Amministrazione intimata di dichiarare la cessazione della materia del contendere, poiché, in disparte la rilevanza e la portata di tale dichiarazione – che postula effettivamente, come sostenuto dalla parte ricorrente, la piena soddisfazione extragiudiziale dell’interesse fatto valere nel ricorso introduttivo – tale non è, né può essere, l’effetto dell’invalidità sopravvenuta dell’atto amministrativo conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità delle norme provinciali che hanno legittimato il potere espresso nel provvedimento censurato. Sul punto è, poi, meritevole di favorevole apprezzamento anche quanto osservato dalla parte ricorrente circa il fatto che l’approvazione da parte della Giunta provinciale della delibera 1466 del 29 settembre 2020 – che, nelle more della decisione della Corte costituzionale, ha qualificato tutti Comuni ricompresi nel territorio provinciale come Comuni ad elevata turisticità o attrattività commerciale, non essendo stati gli stessi già definiti tali dal provvedimento deliberativo n. 891 del 2020 – non determina il venir meno dell’interesse alla pronuncia di annullamento dell’atto gravato: e ciò non solo per il carattere provvisorio di tale manifestazione di volontà della Giunta provinciale, che non può essere ricondotta all’esercizio dell’autotutela, ma anche sotto il profilo dell’interesse ad una successiva azione risarcitoria ex art. 34, comma 3, c.p.a. La parte ricorrente, infatti, si è riservata di avanzare, in un autonomo giudizio, la richiesta di ristoro degli effetti del provvedimento impugnato nel frattempo realizzatisi, e tanto determina, anche sotto tale aspetto, la definitiva dequotazione delle argomentazioni della resistente fondate sul venir meno o sulla soddisfazione dell’interesse da essa dedotto in giudizio.

VII. Da ultimo, per completezza, è appena il caso di evidenziare che erra l’Amministrazione intimata nel ritenere che la sentenza della Corte Costituzionale non abbia coinvolto il comma 2 dell’art. 1 della citata l.p. 4 del 2020 (che demandava alla Giunta provinciale l’esercizio del potere di deroga), poiché, come si è ricostruito nel fatto, la dichiarazione di incostituzionalità ha investito espressamente tutti i commi dell’art. 1 della l.p. n. 4 del 2020. Non assume pertanto alcun rilievo l’analogia della disposizione di fonte provinciale con altra e diversa disciplina riveniente nel previgente ordinamento statuale (art. 12 del d.lgs. 114 del 1998) cheattribuiva alle Regioni un potere simile a quello nella specie esercitato dalla Giunta provinciale.

VIII. A questo punto deve altresì rilevarsi che non è necessario per questo Collegio prendere posizione sulla natura del vizio che inficia l’atto amministrativo oggetto di impugnazione, conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità della richiamata norma provinciale. È noto, ed è circostanza richiamata anche dalla stessa parte ricorrente, che sulla questione sono ancora attualmente dibattuti due orientamenti. Il primo predica la nullità del provvedimento (per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21 septies della l. n. 241 del 1990), quantomeno nel caso in cui la dichiarazione investa la norma attributiva del potere (cfr. sentenze citate dalla ricorrente Cons. Stato, sez. IV, 03.03.2014, n. 993 ed, in termini, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 24.06.2021, n. 2089, T.A.R. Toscana, Sez. III, 29.06.2020, n. 834, T.A.R. Veneto, Sez. I, 22.07.2019, n. 860 e T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 22.03.2019, n. 625), denotandosi peraltro che si tratta di una giurisprudenza che si è consolidata per lo più in tema di acquisizione sanante ma che è stata contraddetta più di recente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenza 1° luglio 2020, n. 4221). L’altro orientamento afferma invece la necessità di applicare al riguardo il regime dell’annullabilità per sopravvenuta illegittimità derivata (ex multis, da ultimo, la sentenza citata dalla resistente Provincia autonoma, Cons. Stato, sez. VI, 21 febbraio 2020, n. 1343, ma anche Tar Sicilia, sez. II, 30 luglio 2019, n. 1982; T.A.R. Lombardia, sez. II, 10 agosto 2020, n. 1558; T.A.R. Lazio, sez. II Quater, 9 marzo 2020, n. 3055), mentre è superata la giurisprudenza più risalente che faceva leva sull’inesistenza dell’atto amministrativo – a sua volta fondata sulla ormai inattuale qualificazione del carattere meramente dichiarativo delle sentenze della Corte Costituzionale – con conseguente scenario di mutamento della giurisdizione. Tali pur diverse impostazioni, infatti, riposano comunque sulla necessità di legittimare, da un lato, la possibilità di sollevare d’ufficio l’incidente di

costituzionalità da parte del Giudice amministrativo, in assenza di una simile doglianza nel ricorso introduttivo (questione che attiene alla fase ascendente del giudizio di costituzionalità) e, dall’altro, affermano la prerogativa dello stesso Giudice di annullare in via officiosa il provvedimento amministrativo in ragione della sopravvenienza della dichiarazione di incostituzionalità della norma da applicare nel caso concreto, e ciò pur nell’assenza di un’espressa deduzione del vizio nella causa petendi del gravame (questione che, viceversa, concerne la fase discendente del giudizio costituzionale). Il dibattito è fiorito, dunque, per l’esigenza, tutta propria del giudizio amministrativo, di bilanciare gli esiti del giudizio costituzionale con la natura propriamente dispositiva del processo amministrativo. Nel caso di specie, invece, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l.p. n. 4 del 2020, è oggetto di un’espressa censura puntualmente formulata nel ricorso introduttivo (cfr. primo motivo sub. II), il che ha dato luogo alla valutazione della rilevanza della questione di costituzionalità della disposizione legislativa provinciale e, nel contestuale accertamento della non manifesta infondatezza della stessa, conseguentemente alla sollevazione della relativa questione, giusta la richiamata ordinanza n. 170 del 2020.

IX. In definitiva, anche in ragione della sostanziale corrispondenza degli effetti dell’accoglimento dell’una o dell’altra prospettazione nel caso concreto, non rimane a questo Giudice che accogliere il ricorso in esame per la fondatezza del primo motivo, sub. II, del ricorso introduttivo, conclamata nella sentenza della Consulta, conseguentemente disponendo l’annullamento dell’atto impugnato. Quanto agli effetti della statuizione di annullamento, occorre, infine, por mente alla qualificazione della natura giuridica del provvedimento deliberativo impugnato, come risultante dall’ordinanza 24 settembre 2020, n. 163 di questo stesso Tribunale, nei termini seguenti: “Va a questo punto preliminarmente denotato che la deliberazione della Giunta provinciale n. 891 del 2020, impugnata con i ricorsi sub R.G. 110 e R.G. 111, non assume la natura di regolamento. Il Collegio rileva in tal senso che tale provvedimento difetta dei requisiti di generalità, astrattezza, innovatività, nonché – con ogni evidenza – di forma procedimentale, nella specie costituita dalla necessaria osservanza della disciplina al riguardo contemplata per la formazione di tale fonte normativa secondaria (essenzialmente di esecuzione delle leggi provinciali) dagli artt. 53 e 54 dello Statuto d’autonomia speciale della Regione Trentino – Alto Adige /Südtirol.

Posto ciò, si pone pertanto il problema se ricondurre – o meno – tale deliberazione alla categoria – per certi versi funzionalmente contigua – dei cc.dd. “atti generali” anche per quanto attiene agli effetti del loro annullamento da parte del giudice (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 11 ottobre 2019, n. 5164): tesi, questa, apparentemente sostenibile ove si avesse riguardo alla mera circostanza che la medesima deliberazione riverbera i propri effetti anche nei riguardi di tutti gli esercenti che operano nei Comuni ammessi alla deroga, ossia a soggetti che non sono nominativamente individuati. A ben vedere tuttavia, anche tale conclusione non è condivisibile.

Se è vero, infatti, che gli atti amministrativi generali sono atti formalmente e sostanzialmente amministrativi che sono deputati alla disciplina generale di determinati eventi giuridici (ad esempio, i bandi di gara e i bandi concorsuali in genere) con le conseguenti, ulteriori caratteristiche che essi sono rivolti a soggetti determinabili soltanto ex post e che sono indefettibilmente inscindibili nei loro effetti, è altrettanto vero che nel caso di specie la deliberazione giuntale n. 891 del 2020, va di per sé riguardata quale atto cd. , scindibile nel suo contenuto. Essa infatti, pur se formalmente contempla in primis, quali propri e immediati destinatari i Comuni, individuandoli in maniera determinata ex ante – e ciò con riguardo sia a quelli inseriti nell’elenco in cui opera la deroga al divieto di apertura domenicale, sia, per ovvia esclusione, a quelli non ricompresi nella deroga medesima -, di fatto si rivolge a ciascuno degli esercenti localizzati nei Comuni stessi e reca, per ciascuno di essi, un diverso provvedimento che è – a seconda dei casi – ammissivo, o meno, alla disciplina di deroga stabilita nella medesima deliberazione n. 891 del 2020. La sopradescritta distinzione tra atto generale e atto plurimo assume

– come è ben noto – rilievo agli effetti dell’estensione del giudicato in caso di annullamento dell’atto medesimo. Se viene infatti annullato un atto generale, la statuizione giudiziale assume efficacia erga omnes, ossia si estende in via del tutto naturale anche alle parti rimaste estranee al processo: e ciò proprio in quanto l’atto stesso è – come si è detto innanzi – ontologicamente inscindibile nei propri effetti dispiegati nei riguardi di destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori, essendo l’atto stesso finalizzato a regolare non una serie indeterminata di casi ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare, una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti (cfr. Cons. Stato, A.P., 9 maggio 2012, n. 9). Se – viceversa – la statuizione di annullamento ricade – come, per l’appunto, nel caso di specie – su di un atto plurimo, essa non può che riguardare le sole parti di quel processo (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. III, 15 maggio 2018, n. 2892)”. Pertanto, l’annullamento del provvedimento gravato deve essere disposto “in parte qua” e, dunque, sulle sole parti di atto plurimo segnatamente di interesse delle parti ricorrenti.
X. In ragione dell’accoglimento del primo motivo, sub. II, sono assorbiti i rimanenti mezzi di gravame, poiché l’accoglimento di tale motivo è pienamente satisfattivo della pretesa fatta valere in giudizio, per quanto sopra illustrato.

XI. Da ultimo, in applicazione della regola generale della soccombenza di lite, le spese del giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, devono essere poste a carico dell’Amministrazione resistente. Nulla si deve disporre con riferimento alle parti non costituite.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.

Condanna l’amministrazione al pagamento delle spese di giudizio a favore delle parti ricorrenti nella misura di euro 3.000,00 (tremila/00) ciascuno, oltre al 15% per spese generali, al rimborso del contributo unificato e agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2022 con l’intervento dei magistrati:

Fulvio Rocco, Presidente
Carlo Polidori, Consigliere
Cecilia Ambrosi, Consigliere, Estensore

 

 

Fulvio Rocco

IL PRESIDENTE

 

 

L’ESTENSORE
Cecilia Ambrosi

 

IL SEGRETARIO

 

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Scarica PDF

Categoria news:
LANCIO D'AGENZIA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DELLA FONTE TITOLARE DELLA NOTIZIA E/O COMUNICATO STAMPA

È consentito a terzi (ed a testate giornalistiche) l’utilizzo integrale o parziale del presente contenuto, ma con l’obbligo di Legge di citare la fonte: “Agenzia giornalistica Opinione”.
È comunque sempre vietata la riproduzione delle immagini.

I commenti sono chiusi.