(Fonte: Filippo Degasperi) – Nuovi standard assistenziali “fordisti”: servono per umanizzare le cure o per tagliare? Il 7 luglio scorso la Giunta ha approvato la deliberazione n. 1117 relativa, tra l’altro, agli standard minimi dei livelli assistenziali.
Nella premessa si fa riferimento alla necessità di centrare le cure sull’umanizzazione, “intesa come approccio olistico e attenzione ai bisogni delle persone”. Si ribadisce la centralità della persona e si riepilogano i documenti, i piani e i patti che fanno riferimento specifico al tema dell’umanizzazione, ovvero all’impegno di “rendere i luoghi di assistenza e i programmi diagnostici terapeutici orientati quanto più possibile alla persona”.
L’allegato B alla deliberazione citata è dedicato alla definizione degli standard di assistenza nei reparti di degenza per acuti e post acuti e indica per ciascuna tipologia di reparto il minutaggio di attività che le varie professioni devono (possono?) dedicare al singolo paziente.
E’ vero che nelle definizioni compare il termine “minimi” ma è facile profetizzare che, come già accaduto altrove, l’approccio prettamente ragionieristico che caratterizza il rapporto azienda – cliente (paziente), porterà a considerare le indicazioni quali standard, dimenticandosi dell’aggettivo. Ma soprattutto ciò che manca nella deliberazione è il confronto con la situazione attuale.
Ad esempio, con riferimento ai reparti di dialisi, dove in media il rapporto numerico tra infermiere e paziente era di 1 a 3, ora la nuova disposizione ridefinisce asetticamente il rapporto di 1 a 4. Nell’allegato B al punto 3.2 (reparti per pazienti ad alta complessità di cura) riferendosi alla dialisi, si scrive che “il parametro indicato in tabella è da interpretarsi esclusivamente come un rapporto di 1 infermiere ogni 4 pazienti”, comportando quindi una riduzione del 25% rispetto allo standard attuale riportato dal sindacato.
Un altro esempio che merita attenzione è quello relativo ai minuti di assistenza dedicati all’osservazione breve in capo ai vari pronti soccorsi. La deliberazione considera questo tipo di attività “ad alta complessità di cura”, definendo uno standard minimo di attività sul singolo paziente pari a 500 minuti senza fare riferimento alla situazione attuale.
La deliberazione peraltro non individua nemmeno i percorsi attraverso i quali arrivare agli standard indicati, conseguenza naturale del fatto che non è indicato alcun parametro da prendere a riferimento quale punto di partenza.
In tale cornice, difficile considerare valide le premesse relative all’elevata qualità dei processi assistenziali.
Per questi motivi abbiamo depositato l’allegata interrogazione 4968/XV:
*
Filippo Degasperi
Cons. prov. M5s
Foto: archivio Pat