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RETE 4 – “QUARTO GRADO “ * CASO BIBBIANO: « PER LA PRIMA VOLTA IN TV PARLA LO PSICOTERAPEUTA DELLA ONLUS HANSEL E GRETEL CLAUDIO FOTI » (INTERVISTA)

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15.55 - sabato 21 settembre 2019

“Quarto Grado” – nella puntata in onda ieri, venerdì 20 settembre, su Retequattro – ha approfondito il caso Bibbiano. In assoluta esclusiva ha quindi proposto un’intervista a Claudio Foti, lo psicoterapeuta della Onlus Hansel e Gretel. L’uomo, indagato per presunti affidi illegali di alcuni bambini del comune romagnolo, parla per la prima volta in tv e risponde alle accuse nei suoi confronti. Di seguito, l’intervista realizzata dal Martina Maltagliati.

Perché ha deciso di rompere il silenzio?
«Mi sono svegliato in un mondo mediatico che non immaginavo e da questo risveglio non mi sono ripreso, anzi: l’incubo sta continuando. Io non pensavo a questa escalation di bufale ai miei danni: hanno detto che non sono laureato e che faccio l’elettroshock ai bambini».

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Non è così?
«Non è assolutamente così. Questa deformazione mediatica si riferiva a uno strumento che io peraltro non uso e non conosco. Hanno detto che usavo i pazienti come cavie. Ma scherziamo? Oppure hanno detto che mi travestivo da lupo per spaventare i bambini».

 

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Sono stati sentiti degli ululati, ma sono stati attribuiti a sua moglie
«Sì, però anche lì il processo e il percorso giudiziario dovrà valutare di cosa si è trattato».

 

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Oggi c’è un’inchiesta giudiziaria aperta che si chiama ‘Angeli e Demoni’. Lei, per le carte è dalla parte del male?
«Nel processo giudiziario c’è un confronto, poi nell’approfondimento dei fatti l’accusa deve provare le sue tesi. Qui invece il processo mediatico ha bisogno di semplificazioni, ha bisogno di una mente, di un capo, di un guru: ha bisogno di costruire mostri».

 

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Lei non ha operato, saltando degli appalti pubblici, per rimpinguare le sue tasche?
«Mi rimane questo capo d’imputazione di concorso esterno in abuso d’ufficio. Io non avrei commesso il reato, ma avrei dovuto conoscere le modalità amministrative con cui l’ente pubblico utilizzava questo finanziamento, e non me ne sarei curato perché traevo ingenti somme economiche».

 

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Esiste un metodo Foti per indagare sull’abuso in una famiglia?
«L’idea stessa che ci possa essere un metodo Foti è finalizzata a isolare la mia posizione, a renderla particolarmente strana e controcorrente. Non esiste il metodo Foti. La comunicazione inizia prima dall’orecchio di chi ascolta, che non dalla bocca di chi parla. Bisogna ascoltare i bambini che sono poco ascoltati».

 

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Un bambino che supplica, che piange quasi fino all’apnea, di tornare a casa sua perché non viene ascoltato?
«Penso che sia importante – metodologicamente – intervenire quando si conosce il caso. Non si possono fare delle generalizzazioni. L’allontanamento di un bambino dalla famiglia è una decisione drammatica, estrema, eccezionale. E avviene in quella situazione in cui ci sono stati fatti degli sforzi per recuperare la famiglia, e questi sforzi sono risultati vani».

 

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Esiste un business degli affidi che porta soldi alle case famiglie e ai genitori affidatari?
«Ho dei grossi dubbi su questo, perché non c’è impegno più gravoso e stressante di fare il genitore affidatario».

 

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Ha paura che oggi possa essere indagata la sua capacità genitoriale?
«Assolutamente no».

 

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Molti oggi ripetono che fuori da quei corsi si vedevano abusi ovunque. Nei disegni dei bambini ad esempio…
«Non è sufficiente un unico indicatore per affermare l’abuso. Esistono alcuni disegni che possono indurre una preoccupazione, ma tra il sospetto e la diagnosi ci passano tante cose».

 

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Lei induce quello che vuol sentire dire dal bambino? Questa è un’altra accusa…
«L’empatia è l’esatto contrario della suggestione. L’empatia è un atteggiamento di accoglienza: i bambini hanno bisogno di sognare, di giocare e di essere ascoltati».

 

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Li ha ascoltati i bambini suoi pazienti?
«Ho fatto il possibile per farlo, ho fatto del mio meglio».

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