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RAI – RADIO 2 / ” I LUNATICI ” * GIANCARLO ANTOGNONI: « POTEVO ANDARE ALLA JUVE O ALLA ROMA ANDAI ADDIRITTURA A CENA A CASA DI VIOLA NEL 1980, MA ALLA FINE HO SEMPRE SCELTO FIRENZE »

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06.29 - venerdì 16 ottobre 2020

Da I Lunatici Rai Radio2 https://www.raiplayradio.it/programmi/ilunatici/
Giancarlo Antognoni è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle sei del mattino.

L’ex campione della Fiorentina ha parlato un po di se: “Una notte indimenticabile? Quella del mondiale ti rimane per tutta la vita. Poi ci sono anche altre notti, non moltissime nella mia carriera, però quella indelebile rimane quella di Madrid, dopo la vittoria della Coppa del Mondo. Da bambino ero un tifoso del Milan, tutta la mia famiglia era milanista, a cominciare da mio padre, io mi sono adeguato alla situazione, la prima partita che ho visto di Serie A, a 9 anni, fu a Bologna, Bologna-Milan. Andai a vedere i rossoneri. Ho sempre sognato di fare il calciatore, come tanti bambini, è chiaro che prevale la passione. E’ un sogno che non si avvera per tutti, ma già iniziare ad avere questa passione per il pallone è sicuramente importante, ti migliora sotto vari aspetti, quello fisico, quello mentale. I miei genitori mi hanno sempre accompagnato, non mi hanno mai vietato nulla, a 15 anni mi sono trasferito da Perugia ad Asti, perché mi aveva acquistato il Torino, ho dovuto fare questo sacrificio di trasferirmi lontano da dove vivevo, lì i miei genitori erano un po’ contrariato, ma ho scelto di andare a Torino per provare questa esperienza e mi è servita molto. E’ stata la mia prima grande occasione, lì è iniziat il mio cammino da calciatore”.

Antognoni fu scoperto da Liedholm: “Giocando ad Asti, in quarta serie, venni convocato dalla Nazionale a Firenze, la Fiorentina mi notò in una di queste manifestazioni che si facevano a Coverciano. I viola mi videro nella nazionale juniores, la Fiorentina è la mia vita, ho iniziato a 18 anni, sono ancora in questa società e in questa città che mi ha dato tutto, sotto l’aspetto professionale ed umano. Sono sempre rimasto a Firenze, la gente ha apprezzato molto la mia scelta. L’ultimo a fare una cosa del genere è stato Totti. Oggi è più difficile, ci sono tante sirene allettanti. Prima c’era un legame diverso con le società, oggi il giocatore diventa quasi proprietario di se stesso. La scelta che ho fatto, pur non vincendo molto con la Fiorentina, è stata giusta. A 31 anni dal mi addio del calcio, grazie al mio rapporto con Firenze, è come se giocassi ancora”.

Rapporto con Firenze: “Trovo sempre, ancora, persone che mi riconoscono, che si ricordano di quello che abbiamo passato insieme. Fa piacere essere riconosciuti, considerati, soprattutto per il motivo di essere stato fedele a una città e a una squadra. Ci è mancato lo scudetto, ci siamo andati vicinissimi nell’anno in cui ho saltato quindici partite per un infortunio. Chissà se avessi giocato come sarebbe andato a finire quel campionato. E’ il mio rimpianto”.

Il 22 novembre del 1981, dopo un impatto con il portiere Martina, il cuore di Antognoni si è fermato: “Ricordo poco di quel momento, sono svenuto, mi sono risvegliato negli spogliatoi. Riconoscevo le persone, fu di buon auspicio. E infatti dopo quattro mesi ho ricominciato a giocare e ho fatto il mondiale”.

Sul mondiale del 1982: “Fu una vittoria del gruppo, non dei singoli. Abbiamo trionfato tutti insieme, remando dalla stessa parte, con un allenatore che era una brava persona sotto tutti gli aspetti. Sembrava impossibile vincere quel mondiale”.

Sui comportamenti prima delle partite: “All’epoca eravamo un po’ più tranquilli. E’ tranquillo anche oggi il calciatore, ma caratterialmente siamo diversi. Noi eravamo un po’ più naturali, oggi hanno difficoltà forse anche ad andare in giro. Noi ci sentivamo meno divi, non c’erano i telefonini, internet, tutte queste cose che possono infastidire i giocatori di oggi. All’epoca avevamo meno visibilità, eravamo diversi caratterialmente, forse eravamo un po’ più seri, anche se reputo anche i giocatori di oggi seri”.

Su Bearzot: “Era un padre per noi. Gli allenatori prima erano diversi da quelli di oggi. La tattica non prevaleva sul singolo, come accade oggi. Ai tempi nostri c’era meno tattica e più fantasia, gli allenatori erano più padri che allenatori, cercavano di metterti in campo in condizioni ottimali dal punto di vista mentale. L’allenatore con cui mi sono trovato meglio? Ne ho avuti tanti, da Liedholm a Bersellini, ho avuto allenatori che mi hanno sempre dato qualcosa di positivo. Forse con Agroppi ho avuto qualche dissidio quando mi sono infortunato, nel 1893. Volevo rientrare e non mi voleva far rientrare. Qualche dissidio c’è stato”.

Sul ruolo del regista: “Oggi è cambiato il calcio, è più dinamico, una volta, negli anni ’80, ognuno rispettava la propria zona, ma c’erano meno schemi. Oggi prevale lo schema, la volontà dell’allenatore, sicuramente quello può dare fastidio ai giocatori. Se si lascia più libertà ai calciatori, dalla trequarti in su, è meglio. Ci sono ancora i giocatori che possono risolvere una partita da soli. Il mio ruolo di regista era diverso rispetto a quelli di oggi. Potevo agire come volevo io, non dovevo fare solo quello che diceva l’allenatore”.

Sugli altri calciatori: “Il più forte con cui ho giocato? Sono troppi. Contro dico Maradona, Platini, Zico e Falcao”.

C’è stato un momento in cui stava per lasciare Firenze: “Potevo andare alla Juve nel 78 e alla Roma nel 1980. I giallorossi mi volevano a tutti i costi, andai a cena con Viola, a casa sua, ma alla fine scelsi di rimanere a Firenze. E penso ancora oggi di aver fatto la scelta giusta”.

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