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LICEO ROSMINI – ROVERETO (TN) * 350° ANNIVERSARIO / “COME CAMBIA LA SCUOLA”: PENDENZA, « PUNTARE AD INTRODURRE MODELLI DI QUALITÀ ED INCLUSIVI »

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18.12 - sabato 20 maggio 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota inviata all’Agenzia Opinione) –

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Concluso il convegno del liceo Rosmini di Rovereto sulle sfide del sistema educativo. Una scuola diversa è possibile. Cambiamola.

Il convegno nazionale “Destinazione futuro”, sulle sfide della scuola di oggi, organizzato dal Liceo Rosmini di Rovereto nel 350° anniversario dell’istituto, si è concluso stamane al teatro Zandonai con la terza e ultima sessione dedicata a “Come cambia la scuola”. Una ricerca Ocse – ha segnalato in apertura il dirigente del liceo Rosmini Paolo Pendenza – ha dimostrato che in Italia emerge un buon livello di inclusione soprattutto nella scuola primaria. Ma è possibile e doveroso puntare ad introdurre in Italia un modello che sia al tempo stesso sia di qualità che inclusivo.

 

Schratz: cambia la scuola chi si chiede perché sia così. I docenti utilizzino l’esperienza di cui gli studenti sono portatori.
Ad aprire gli interventi è stato Michael Schratz, dell’Università di Innsbruck che ha parlato di “Old Patterns, New Lifeworlds – Notes for a school of the future”. Schratz ha evidenziato che negli ultimi anni il Covid ha dato al mondo scolastico una forte scossa. Dalla routine delle buone pratiche che dava sicurezza, con il virus c’è stata una rottura portando la scuola all’insicurezza e alla crisi. La domanda ora è: e adesso che succederà? Le opzioni sono due: o si ritorna alle buone pratiche di prima cercando di renderle migliori, oppure si tenta di introdurre nuove pratiche. Schratz ha ricordato Confucio che disse: “l’esperienza è una lanterna appesa dietro la schiena che illumina solo il cammino che abbiamo già percorso”.

 

La crisi dovuta alla pandemia apre nuovi orizzonti e possibilità. Lo studioso ha proposto la metafora delle quattro stanze: nella prima c’è la sicurezza del luogo conosciuto. Nella seconda si tenta di negare la crisi per non credere all’interruzione di uno stato di benessere precedente. Ma quando non si può più negare l’evidenza si entra nella terza stanza, in cui alberga la confusione. Come affrontare e sfruttare questo stato confusionale per ripensare quel che si è fatto fino a quel momento? Solo con questo approccio si riesce a entrare nella quarta stanza, che è quella della creatività. Si può considerare la scuola un elemento di mediazione tra ieri, oggi e domani. Ma come? Con quale prospettiva? Le biografie dei ragazzi offrono un enorme surplus simbolico per plasmare i processi educativi. Ogni nostro intervento va ad influenzare questa eccedenza, questo surplus simbolico. Questo surplus consiste nella ricchezza che gli studenti per la loro esperienza portano con sé. Spesso gli insegnanti non fanno emergere questo surplus personale di esperienza.

 

Gli obiettivi dell’istruzione e della scuola sono sempre tre: l’eccellenza, l’equità e il benessere. Ma il benessere oggi è il bisogno più importante. Come arrivarci? Schratz ha mostrato una rapida carrellata storica sulla scuola vista negli ultimi 100 anni, da cui emerge sempre che il modello è quello di un insegnante che parla e degli studenti che ascoltano. Anche oggi si continua a perpetuare questo vecchio modello di scuola. Ma oggi occorre che la scuola aiuti i giovani a gestire la complessità in modo dinamico. Per questo la scuola deve passare dall’obiettivo di preoccuparsi delle migliori pratiche a quello di impegnarsi ad introdurre nuove pratiche. Buone pratiche significa fare di più con le stesse cose. Nuove pratiche significa invece cambiare il modello in base al quale si fanno le cose. Non si tratta di lavorare per l’ottimizzazione del sistema ma di innovare per cambiare il sistema. Schratz ha citato a questo Simon Sinek, che negli Stati Uniti era diventato popolare a causa di un video da lui diffuso nel quale continuava a ripetere la necessità di continuare a chiedersi perché. Sinek mostrava tre cerchi concentrici che mostravano come si consideri sempre in primo luogo il cosa, poi il come e quasi mai il perché delle cose. Occorreva a suo avviso rovesciare la prospettiva, partendo dal perché per passare poi al come e solo alla fine al cosa. La scuola secondo Schratz deve puntare ad essere “un’organizzazione che apprende, nella quale le persone imparano ad imparare insieme”. Il punto allora è nell’organizzazione della scuola la leadership non va identificata con una persona ma con un processo. L’ecologia del benessere nelle scuole è frutto di un’interrelazione costante tra una leadership positiva che fa star bene innanzitutto gli insegnanti, e questo si traduce nel benessere degli studenti.

 

Questo diverso concetto di leadership si fonda su una psicologia positiva che ha cinque pilastri: emozioni positive da aumentare e utilizzare; coinvolgimento per far parte del flusso e vivere e sperimentare i propri punti di forza; relazioni positive da mantenere e coltivare; significati trasparenti da vivere e mettere in pratica ogni giorno; infine la realizzazione e il rendere visibile il successo. Nell’iceberg delle organizzazioni c’è la parte visibile emergente costituita dai comportamenti, mentre sotto ci sono i valori collettivi che si percepiscono insieme. E ancor più in profondità ci sono gli assunti di base, ciò che si crede e si dà per scontato. La sfida è che i cambiamenti non avvengono nella parte visibile dell’iceberg ma più in profondità. Solo questo influenza il perché ci comportiamo in un certo modo nella parte emergente e visibile dell’iceberg. Nella scuola occorre chiedersi quale siano i sistemi valoriali che ci spingono a fare quel che facciamo in un certo modo anziché in un altro. Siamo a un bivio nella riforma dell’istruzione: andando in una direzione si può diventare più duri con gli insegnanti o nell’altra per far diventare l’insegnamento una professione più stimolante. Dal Covid abbiamo imparato sia nella teoria che nella pratica che occorre introdurre nelle scuole soluzioni innovative in 5 aree chiave. La prima riguarda la gestione dello spazio, la seconda il tempo, la terza le relazioni, la quarta la digitalità e la quinta il benessere. Occorre ad esempio chiedersi se e perché la scuola abbia ancora bisogno di classi. Alla base di tutto c’è la capacità di chiedersi il perché. Il futuro – ha concluso Schratz – inizia adesso: occorre imparare a vedere la soluzione di problemi dal futuro che già emerge oggi.

 

Il dibattito con il professore. Serve un’università che insegni agli insegnanti ad insegnare.
Rispondendo a una domanda del pubblico sul perché del disinteresse del mondo della scuola per questi temi, Michael Schratz ha proposto di usare il surplus di saggezza e conoscenza esperienziale delle persone che operano nella scuola per affrontare nel migliore dei modi e risolvere insieme i problemi. A un’altra domanda sul motivo della resistenza al cambiamento, il professore ha evidenziato la staticità del modello in cui l’insegnante è l’unico depositario della conoscenza. Con quest’approccio – ha osservato non si cambia nulla. Per questo ha suggerito ai docenti a porre ai loro studenti domanda alla quale loro per primi non sanno rispondere, per suscitare il coinvolgimento dei ragazzi.

 

In una scuola in Germania le classi non esistono più. Ma questo pone l’interrogativo: come si organizza l’insegnamento in una scuola così? Quest’approccio può indubbiamente turbare ma spinge con forza alla ricerca del cambiamento. Togliere del tutto le classi com’è accaduto nella scuola di una piccola città tedesca, ha attirato anche dell’Italia famiglie che cercavano un cambiamento. A una domanda sulla formazione universitaria degli insegnanti, nella quale si dovrebbe intervenire su questa che è la parte meno visibile ma decisiva del sistema, Schratz ha risposto che occorre introdurre negli atenei una facoltà corso che insegni ai docenti ad insegnare.

 

Chi è Michael Schratz. Il prof. Michael Schratz ha lavorato nel campo della formazione docenti scolastici in molti paesi, concentrandosi sui cambiamenti dell’attuale sistema scolastico, sulla leadership e sull’apprendimento. Ha fondato la Teacher Training School presso l’Università di Innsbruck (Austria) ed è stato rappresentante austriaco per l’UE, l’OCSE, il Consiglio d’Europa e consulente per le politiche educative in vari paesi. ha diretto la National Leadership Academy e presidente della giuria del German School Award. È stato Presidente dell’ICSEI (International Congress of School Effectiveness and Improvement) dal 2016-2017 ed è stato nominato titolare della Cattedra Fritz Karsen presso l’Università Humboldt di Berlino (Germania) nel 2018. Michael Schratz ha scritto molti libri, parecchi dei quali tradotti in altre lingue (incluso l’italiano), ed è editore di diverse riviste sui temi della leadership, del miglioramento del sistema scolastico e dell’apprendimento.

 

Le testimonianze delle scuole che hanno introdotto nuovi modelli.
Alcune esperienze e proposte a partire dalle quali introdurre l’innovazione già in essere nella scuola italiana, sono scaturite dalle testimonianze di Antonella Accili dell’Istituto Della Rovere di Urbania (PU), Vincenzo Arte del Liceo Morgagni di Roma, Daniele Barca dell’Istituto Comprensivo Modena 3 e Marco Franceschini dell’Istituto Artigianelli di Trento.

 

Antonella Accii dell’Istituto Della Rovere di Urbania, che ha introdotto nella scuola il modello finlandese con una sperimentazione, ha spiegato che l’obiettivo principale è cercare di far star bene a scuola. Manca innanzitutto ai ragazzi il sentirsi valorizzati, per cui sono insoddisfatti e abbandonano spesso, per questo, la scuola. L’orario scolastico tradizionale è plasmato più sulle esigenze dei docenti che sulle esigenze della didattica. Nella sperimentazione ad Urbania la scuola prevede due o tre materie al massimo al giorno. I docenti sono spinti ad affrontare lo stesso argomento con approcci diversi. Come conciliare il programma con questa organizzazione? La risposta è che la scuola a costruire il proprio programma perché al riguardo il ministero fornisce solo delle indicazioni. Anche la valutazione adottata è rovesciata secondo questo modello.

La valutazione non è basata innanzitutto sul giudizio riguardante gli aspetti negativi e problematici dei ragazzi ma parte da cosa sa fare uno studente per valorizzare questo dato positivo. Ancora, vi dev’essere uno strettissimo collegamento tra scuola e università e tra scuola e ministero. Ogni scuola in Italia ha un grande bisogno di autonomia e questo collegamento serve ad evitare le direttive calate dall’alto che impediscono questa autonomia e questo cambiamento. Ben venga l’informatica, ma ci dev’essere anche un recupero delle caratteristiche proprie dell’essere umano, che ha competenze anche manuali. Le classi sono aperte e sono formate con grande libertà di movimento e organizzazione. Questo ha prodotto un miglioramento nel piacere di frequentare e soprattutto nelle competenze che i ragazzi acquisiscono.

 

Vincenzo Arte, insegnante di matematica e fisica al Liceo Morgagni di Roma, diventato famoso per aver introdotto il modello di scuola senza voti, ha sottolineato che questo progetto è partito dai docenti interessati a sperimentare qualcosa di diverso. Il primo pilastro su cui è stato appoggiato in questo caso il cambiamento è stato quello delle relazioni, valorizzate sia nella disposizione interna alle classi sia nel dialogo continuo con gli studenti e i genitori incontrati nell’ambito di apposite riunioni. Anche in questo caso ci si è ispirati al modello finlandese della didattica tra pari, quindi ad un modello cooperativo a tanti livelli. Le verifiche curate dai docenti sono di coppia o di gruppo. I ragazzi trascorrono 6 ore al giorno al liceo per 5 giorni alla settimana. In tutto 30 ore che costituiscono un grosso impegno al quale. Per evitare di aggiungere i compiti a casa si è puntato a rendere più efficiente il lavoro a scuola, con esercizi in classe che favoriscono l’apprendimento cooperativo.

Questo evita completamente i compiti a casa. Nella scuola italiana nessuno è obbligato a dare i voti. Sono obbligatorie invece valutazioni periodiche che non è detto debbano essere numeriche ma frutto dell’osservazione degli insegnanti che vedono il lavoro quotidiano degli studenti che trascorrono 6 ore al giorno a scuola. Le lezioni tendono ad essere formative. E questo rende le valutazioni un mezzo e non un fine. Quindi con il primo anno la scuola ha offerto un percorso senza giudizio, con valutazioni solo descrittive partendo sempre dagli aspetti positivi e non da cosa manca per arrivare all’eccellenza. Le valutazioni sono descrittive e orientative per aiutare i ragazzi nel loro percorso. Inoltre il liceo prevede anche un’autovalutazione degli studenti. Arte ha ricordato il suo percorso formativo come docente attraverso la SIS, che ha permesso di acquisire competenze psicopedagogiche che si sono rivelate molto importanti.

 

Daniele Barca dell’Istituto Comprensivo Modena 3, che comprende scuola dell’infanzia, elementari e medie e ha lavorato molto sullo spazio. Barca ha utilizzato un filmato sulla media “Mattarella”. Dall’inizio si è voluto puntare su autonomia dei ragazzi e relazioni. I ragazzi girano per le aule dove trovano i docenti. Sono state create per questo create 5 macroclassi tra le quali ci si muove. Questo ha evitato di stare sempre nella stessa classe, mentre girare ha portato i ragazzi a sentirsi parte viva della scuola. Oltre ai libri gli studenti hanno a disposizione ciascuno un computer portatile forniti dalla scuola. Si prova a seguire ciascuno con un approccio personale. Quanto alla valutazione, si punta a una valutazione formativa chiamata “narrativa”. L’idea è di non abbandonare nessuno evitando voti finalizzati a selezionare perché servano a risolvere le difficoltà di ciascuno. Si lavora poi per valorizzare i talenti dei ragazzi valorizzando chi ha storie di studio e di scuola faticosa.

C’è poi la scelta di non moltiplicare i progetti della scuola (no ai progettifici) ma di proporne pochi a tutti con l’obiettivo di coinvolgere tutti i ragazzi. Tutto questo richiede moltissima formazione e un grande coordinamento tra gli insegnanti. Barca ha sottolineato che il grande tema è che la scuola media unica introdotta 60 anni fa non può rimanere la stessa anche oggi. Si è partiti dalla volontà di creare aule laboratoriali e si è arrivati a creare percorsi multidisciplinari, utilizzando l’inglese, il racconto in italiano delle esperienze, la matematica, la scienza e il digitale. “Smontando”, ad esempio, l’Intelligenza artificiale per capire il perché e il funzionamento di questo strumento. Anche in questa scuola c’è l’autovalutazione dei ragazzi, ispirata al metodo di Maria Montessori. Si scommette anche sui linguaggi trasversali. E si utilizzano delle “sisters” che danno il nome alle discipline e appartengono al sistema curriculare. Tutto è nella norma perché dalle norme si è estratto tutto quello che si poteva fare. L’importante è lavorare su persona e talento.

 

Marco Franceschini dell’Istituto Artigianelli di Trento ha raccontato che il lavoro di questa scuola di grafica e comunicazione multicanale, è orientato soprattutto all’inclusione. La nuova idea di scuola degli Artigianelli di Trento è nata 15 anni fa, quando Jobs ha lanciato l’Iphone. Il mondo cambiava e anche l’istituto trentino ha quindi provato a cambiare il modo di pensare. Chiara, nome di fantasia utilizzato da Franceschini, è arrivata in questa scuola con una certificazione per bisogni educativi speciali. Francesco è invece un ragazzo molto dotato in matematica. Il punto è creare nella scuola percorsi in cui farli sentire bene entrambi. Sono stati creati percorsi personalizzati con un modello modulare senza classi rigide. Il desiderio da cui si è partiti è stato quello di costruire un ecosistema perché nella scuola l’insegnante non si senta solo ma parte di una comunità educante nella quale ciascuno mette un pezzettino di lavoro per la crescita dei ragazzi. Per questo gli Artigianelli si sono collegati a FBK, con il Centro Mente Cervello, con l’Università di Trento e altri enti pubblici e privati creando sinergie. Con l’obiettivo di portare i ragazzi verso diversi saperi e anche verso il saper fare.

 

Alla base di tutto c’è la scelta di un sistema formativo senza materie e senza classi. Questo per valorizzare le proprie capacità perché come diceva 80 anni fa il maestro Manzi: “Ognuno fa quel che può. Quel che non può non fa.” Non avere la classe vuol dire che ogni ragazzo ha un suo percorso e quindi c’è un consiglio di classe per ogni studente.. Per il consolidamento delle competenze essenziali, il presidio degli assi fondamentali culturali senza cadere nel tecnicismo. Le materie poi arrivano in pagella perché il ministero lo chiede. Quattro sono i corsi in cui si dividono gli Artigianelli, di base, opzionali, personalizzati e aziendali, sono seguiti a seconda delle esigenze personali degli studenti. Chi va in azienda e chi no. Ci sono compagni di corso e non di classe. L’impianto modulare prendere una alternanza dei corsi lungo l’anno scolastico. Con questa organizzazione rivolta a percorsi personalizzati gli Artigianelli sono riusciti ad evitare anche gli insegnanti di sostegno. Certo per realizzare tutto questo occorre lavorare molto sulla metodologia. Finalizzata a spingere i ragazzi a cercare e a trovare loro le soluzioni ai problemi. Le nuove aule non hanno più banchi ma sono formate da tavoli attorno ai quali gli studenti si siedono, si guardano, si parlano e si confrontano diventando protagonisti della formazione. I docenti sono gli architetti di tutto e quindi il grande lavoro da fare è mettere prima di tutto loro al centro con moltissimi momenti di incontro.
Eraldo Affinati: nella scuola conta la qualità della relazione umana. E occorre autenticità. La scuola dovrebbe essere l’intensificazione della vita.

 

L’intervento finale è stato di Eraldo Affinati, scrittore e insegnante, sul tema “Narrare la scuola di domani”. Affinati ha raccontato la propria esperienza educativa in una comunità alle porte di Roma che si autogoverna, dove ha incontrato tanti ragazzi immigrati soprattutto non accompagnati. “Importante è stata e rimane per me – ha esordito – è la figura di don Lorenzo Milani”. Sul sacerdote e la scuola di Barbiana Affinati ha scritto due libri. Per lui don Milani è “un profeta che ci guida verso una scuola diversa, perché quella attuale non va ancora nella direzione verso cui dovrebbe andare”. “Sono sempre stato portato verso i ragazzi difficili, i bocciati, lasciati indietro dalla scuola. Perché come diceva don Lorenzo la scuola vera non è per i sani ma per chi non ce la fa, per aiutare chi ha problemi, per chi è in crisi”. Certo in Italia vi sono sperimentazioni importanti orientate in questo modo, come quelle raccontate in questo convegno, ma che purtroppo restano isolate, non diventano sistema. Il Liceo Rosmini – ha osservato Affinati – ha un’identità importante da cui partire, che è percepita dagli studenti. A suo avviso quel che conta davvero nella scuola, al di là delle ricette, è l’autenticità del rapporto insegnante-ragazzi, la qualità della relazione umana. Anche un prof tradizionale nei metodi, che rimane ancorato alla lezione frontale, se è se stesso e si mostra autentico fino in fondo, riesce a conquistare i ragazzi, alla fine ottiene la loro fiducia e il loro ascolto.

 

“La scuola dev’essere l’intensificazione della vita”, ha insistito l’insegnante-scrittore. “Poi si potranno disfare le classi e introdurre sistemi modulari, ma senza questa autenticità tutti gli altri cambiamenti non servono a nulla. L’importante, pur con tutte le differenze tra una realtà e l’altra, è che la scuola non sia separata dalla vita, non sia un mondo erudito lontano dalla realtà. Un professore, se tiene a questo, deve conoscere a memoria i nomi e le situazioni di tutti i suoi studenti. Ciò che conta è il rapporto tra insegnante e studente. Quanto un prof entra in aula e guarda in faccia i propri studenti e assume la responsabilità del loro sguardo su di lui, lì la scuola funziona. Se invece al suono della campanella tutti si alzano e vanno via, allora non funziona. Per questo – ha ricordato Affinati – don Milani non voleva la ricreazione, perché la ricreazione induce a pensare che in quel momento ci si diverte mentre a scuola ci si annoia. Non voleva questa separazione perché la scuola dev’essere sentita come un’avventura conoscitiva nella quale il docente è la guida. Poi, certo, occorre realizzare un obiettivo da raggiungere non da soli ma tutti insieme. Ma per questo bisogna lavorare a ingranaggi scoperti. Questo ci ha insegnato la pandemia. Non si gioca a carte coperte, non si fanno domande trabocchetto come sosteneva la prof che si scagliava contro don Milani. Per Affinati il grande problema attuale della scuola è la rivoluzione digitale.

 

Lo è perché sta cambiando il nostro rapporto con la realtà e il concetto stesso di esperienza. Per questo è importante che la scuola entri in questo mondo digitale ripristinando le gerarchie di valore: per dimostrare che un conto sono le informazioni e un altro è la conoscenza. E la conoscenza cambia attraverso l’esperienza che un insegnante fa fare ai suoi studenti. Per spiegare questo concetto Affinati ha raccontato un’esperienza. Mentre parlava ai ragazzi di Ungaretti, uno di loro gli chiese di andare a vedere la tomba del poeta, sepolto al cimitero del Verano di Roma. “Lì – ha ricordato – ho potuto insegnare davvero Ungaretti. Nella classe la lezione staccata dall’esperienza che non interessava ai ragazzi, mentre davanti alla tomba del poeta c’era davvero Urgaretti e i ragazzi hanno ascoltato quel che il prof spiegava. Molto, quindi, dipende dalla situazione che l’insegnante crea. Sulla selezione e il merito Affinati ha richiamato all’esigenza di premiare la fatica, il movimento compiuto da uno studente dalla loro stazione di partenza fino al traguardo, mentre di norma si privilegia solo il traguardo. Ma valutare tutti guardando solo al traguardo è sbagliato, è l’errore denunciato da don Milani. Nella sua scuola Affinati evita registri e voti puntando tutto sul rapporto personale tra l’immigrato e l’insegnante-volontario. Vi sono insegnanti volontari adulti e anche ragazzi, adolescenti che vengono formati ma che poi riescono a insegnare a coetanei immigrati.

 

E si tratta talvolta di ragazzi- insegnanti che vanno male a scuola o sono stati bocciati. Adolescenti recuperati perché responsabilizzati perché trattati come persone e non riproponendo lo stesso schema valutativo della scuola che li aveva portati alla bocciatura. Si tratta di uscire dallo schema della scuola del merito. “Il merito – ha osservato Affinati – è un concetto ad alto tasso di fraintendimento. Perché il problema della scuola non è quello di premiare l’eccellenza, ma di rendere l’eccellenza utile a tutti. Dopo aver preso un bel voto i ragazzi vanno messi per questo a servizio degli altri, perché aiuti gli altri ad affrontare e risolvere insieme i loro problemi. Perché non solo i deboli hanno bisogno dei forti, ma anche i forti hanno bisogno dei deboli”. “Ecco perché le classi più belle devono essere composte da studenti bravi e non bravi a scuola, da promossi con voti brillanti e ripetenti. Mettere l’eccellenza a servizio degli altri la esalta, altrimenti si atrofizza”. Per questo don Milani diceva che il maestro è chi spezza il pane dell’istruzione e condivide con gli altri il proprio sapere. Ma questa – ha commentato Affinati – non è un’attitudine naturale, va imparata.

 

E la scuola dovrebbe servire proprio a questo. Occorre quindi affiancare alla scuola attuale, nata e strutturata per trasmettere una tradizione, una scuola in cui si utilizza l’esperienza attuale del digitale. Serve una scuola che da un lato sia capace di non disperdere la storia, perché i ragazzi hanno bisogno di comprendere il valore del passato. E serve al tempo una scuola aderente alla vita e alla realtà. Il grande compito dell’insegnante è accompagnare e spingere i ragazzi nella fatica della concentrazione in una società che punta tutto sul successo, sulla ricchezza e sui numeri, dimenticando la qualità. Per questo – ha concluso Affinati – la scuola è una barca che naviga controcorrente. Non di rado contro i genitori dei ragazzi che, quando ci sono, mettono i bastoni fra le ruote nel lavoro di ripristino della personalità che spetta la scuola e agli insegnanti. L’idea sbagliata è che quel che si fa (un post) vale se ottiene un riscontro (like). Mentre il punto è credere fino in fondo in quello che fai, a prescindere ha subito successo o no. Ma questo va insegnato prima di tutto agli insegnanti perché passi anche ai ragazzi adolescenti. Il docente deve anche accettare il fallimento, che fa parte dell’azione educativa. Fa crescere e può essere positivo se ci si è messi in gioco creando una situazione autentica e uscendo dalla comfort-zone.

 

Il dirigente Pendenza: il convegno ha dimostrato che la scuola può davvero cambiare.
Il dirigente del liceo Rosmini Paolo Pendenza ha chiuso il convegno evidenziando che queste due giornate di contributi hanno risposto alle aspettative perché hanno portato alla luce idee, esperienze, speranze, delusioni, proposte. E ha rilanciato, parlando di insegnamento, la parola-chiave suggerita da Eraldo Affinati: autenticità.

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