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LANCIO D'AGENZIA

ISTAT * RISULTATI IMPRESE E MULTINAZIONALI – LIVELLO TERRITORIALE (2020): « VARIAZIONI PRODUZIONE VALORE AGGIUNTO, IL CAPOLUOGO TRENTO A +1,3 / BOLZANO A +0,1% »

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12.16 - giovedì 19 gennaio 2023

Nel 2020 il valore aggiunto prodotto dalle unità locali è in calo del 14,4% nel Centro, del 10,5% nel Mezzogiorno, del 9,5% nel Nord-est e dell’8,9% nel Nord-ovest
La contrazione colpisce in tutte le regioni le unità locali che operano nell’Industria, nelle Costruzioni (esclusa la Campania che registra +1,2%), nel Commercio e nei Servizi. In Toscana e Liguria le perdite maggiori.
Nel Centro si riduce del 20,0% il valore aggiunto per le multinazionali estere e del 12,4% per quelle italiane. Nel Mezzogiorno la diminuzione è, rispettivamente, del 13,0% e dell’8,1%.
Tra le città il calo è del 13,0% a Roma e del 6,2% a Milano. Le più colpite sono le unità locali di Venezia, Genova e Firenze.

 

Venezia, Genova e Firenze tra i comuni più colpiti – Considerando i 20 capoluoghi di provincia che contribuiscono maggiormente alla produzione di valore aggiunto, tra il 2019 e il 2020 la flessione più marcata è registrata dall’insieme delle unità locali del comune di Venezia (-32,6%), seguono le unità locali del comune di Genova (-23,4%) e, quindi, di Firenze (-23,1%) (Figura 2).
Questo risultato ha determinato una modifica nelle prime posizioni della graduatoria per produzione di valore aggiunto. In particolare, Genova è passata dalla quarta alla quinta posizione, superata da Napoli, dove la flessione è stata più contenuta (-12,1%). Venezia scende dall’ottava alla tredicesima posizione. Firenze invece resta stabile alla settima. Significativa anche la flessione delle unità locali attive nel comune di Prato (-17,7%) che, come nel 2019, si colloca al 20° posto, e di Catania (-14,9%) che arretra di due posizioni (dal 17° al 19° posto).
Valori più vicini alla flessione media nazionale (-10,5%) si registrano tra gli altri primi 20 capoluoghi di provincia. Il dato più contenuto è a Milano, con un decremento del valore aggiunto prodotto dalle unità locali che risulta comunque del -6,2%, seguito da Parma (-6,4%), L’Aquila (-7,3%) e Verona (-7,5%). Il valore aggiunto prodotto dalle unità locali di Roma (al secondo posto in graduatoria dopo Milano) è in flessione del -13,0%.
Milano e Roma si confermano largamente in testa alla classifica: il capoluogo lombardo è primo nei Servizi e la capitale nell’Industria, insieme coprono il 15,0% del valore aggiunto nazionale (14,8% nel 2019).
Le regioni i cui comuni capoluoghi di provincia non rientrano nella graduatoria osservata ma si inseriscono comunque in una buona posizione sono: Friuli-Venezia Giulia (Trieste in 22° posizione), Sardegna (Cagliari alla 25°), Umbria (Perugia alla 29°) e le Marche (Ancona alla 36°). In questi comuni la flessione del valore aggiunto delle unità locali rispetto al 2019 è più elevata rispetto alla media nazionale.
Pescara (al 46°), Reggio di Calabria (al 65°) e Potenza (al 75°) sono i primi capoluoghi di provincia per produzione di valore aggiunto delle rispettive regioni.
È importante sottolineare come nel generale contesto di crisi economica che ha interessato quasi tutte le aree del nostro Paese, si presentino delle significative eccezioni. In particolare i comuni di Bolzano/Bozen (+0,1%), Trento (+1,3%), Grosseto (+0,7%), Vercelli (+2,2%), Brindisi (+4,3%) e Cremona (+7,7%) sono i capoluoghi di provincia in cui non si registra un andamento negativo del valore aggiunto rispetto al 2019. Si segnala infine il dato di Bergamo, città italiana simbolo della crisi sanitaria da Covid-19, in cui il valore aggiunto prodotto dalle unità locali tra il 2019 e il 2020 è diminuito del 12,9%.

 

 

Nel Centro la flessione del valore aggiunto più ampia tra il 2019 e il 2020 – La flessione del valore aggiunto rilevata per il 2020 (-10,5% nel complesso dell’Industria e dei Servizi) ha interessato tutte le ripartizioni territoriali ma risulta più accentuata tra le unità locali del Centro Italia, dove la diminuzione è pari a -14,4% contro -10,5% del Mezzogiorno, -9,5% del Nord-est e -8,9% del Nord-ovest.
La flessione registrata nel Centro Italia è la più ampia sia nell’Industria (-11,5% a fronte del -7,3% del Nord-ovest, -6,5% del Mezzogiorno e -6,2% del Nord-est) sia nei Servizi (-16,0% contro -12,8% del Mezzogiorno, -12,7% del Nord-est e -10,1% del Nord-ovest).
La distribuzione territoriale del valore aggiunto generato dalle unità locali dell’industria e dei servizi resta comunque sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. Si conferma al primo posto il
Nord-ovest (con un contributo pari al 37,6%), seguito da Nord-est (25,8%), Centro (19,9%) e Mezzogiorno (16,8%).
Il Centro si distingue per la flessione più elevata anche in termini di fatturato (-16,5%), seguito da Nord-ovest (-10,3%), Mezzogiorno (-10,0%) e Nord-est (-9,0%).
Considerando gli addetti, la diminuzione più significativa si registra invece nel Nord-est (-3,3%).
Nord-ovest e Centro presentano un decremento più contenuto e di simile entità (rispettivamente -1,9% e -2,0%), in controtendenza il Mezzogiorno segna nel complesso una lieve crescita (+0,3%).
Nel 2020 la produttività apparente del lavoro è pari a circa 44mila euro per addetto su base nazionale (nel 2019 era pari a 48mila euro) mentre la produttività mediana è poco oltre i 31mila euro per addetto (34mila nel 2019).
Considerando i territori che si collocano al di sopra della soglia mediana è possibile individuare i comuni dove è più alta la concentrazione di unità locali ad alta produttività: nel Nord-est rappresentano l’81,8% del totale dei comuni di questa ripartizione, nel Nord-ovest il 65,1%, nel Centro il 43,2% e nel Mezzogiorno solamente il 17,6%.
Nei comuni ad alta produttività sono presenti il 75,8% delle unità locali e l’82,5% degli addetti, che contribuiscono a produrre circa il 90% del valore aggiunto nazionale.
Nel Nord oltre il 90% delle unità locali insiste in comuni altamente produttivi (il 92,6% nel Nord-ovest e il 93,2% nel Nord-est). Nel Centro la percentuale è dell’81,2% mentre nel Mezzogiorno si riduce al 41,6%. Le unità locali del Mezzogiorno attive in comuni ad alta produttività impiegano inoltre poco meno della metà degli addetti di questa ripartizione (49,9%) e il 60,5% del valore aggiunto.

 

Colpito soprattutto il settore dei servizi, in particolare in Toscana e in Liguria – A livello regionale, le unità locali più colpite dalla crisi sono quelle che operano in Toscana e in Liguria, tra le quali la riduzione del valore aggiunto è rispettivamente del 18,3% e del 16,3% (Figura 1). Seguono Sardegna (-14,5%), Valle d’Aosta-Vallée d’Aoste (-14,3%) e Lazio (-13,3%). Sul fronte opposto, le unità locali che reggono meglio all’impatto della crisi sono situate in Lombardia (-7,5% la flessione del valore aggiunto), Emilia-Romagna (-7,6%), Molise (-7,8%), Puglia (-7,9%) e Basilicata (-8,4%). Nelle altre economie regionali la riduzione del valore aggiunto è più vicino al dato medio nazionale (-10,5%), con valori compresi tra il -11,6% della Campania e il -9,2% della provincia autonoma di Trento.
Considerando il dettaglio settoriale, Toscana e Liguria sono accomunate da perdite particolarmente elevate nell’ambito del settore più colpito dal primo anno di pandemia, ossia quello dei Servizi non commerciali, che in questi territori raggiunge una flessione del 28,9% e del 28,7% (-14,2% in media in Italia) e da valori nettamente più contenuti negli altri macro settori.
In particolare, sono le attività di alloggio e ristorazione le più colpite dalla crisi 2020, con una perdita del valore aggiunto del 51,0% e un andamento particolarmente negativo in tutte le regioni, con valori compresi tra il -62,8% delle unità locali del Lazio e il -31,6% della provincia autonoma di Trento.
In generale i Servizi non commerciali presentano perdite superiori agli altri macro settori in quasi tutte le regioni. Laddove le unità locali che operano in questo settore hanno tenuto di più è possibile evidenziare un impatto più contenuto della crisi nel complesso dell’economia regionale. Tra le eccezioni si segnala la provincia autonoma di Bolzano/Bozen, dove la flessione dei Servizi non commerciali, pari al -18,8%, è molto superiore alla media italiana ma è in parte contenuta da una maggiore tenuta degli altri comparti (-0,2% le Costruzioni, -4,9% l’Industria in senso stretto e -6,5% il Commercio).
Il Commercio (-8,7%) e l’Industria in senso stretto (-8,3%) registrano flessioni più contenute a livello nazionale, ma in alcuni territori emergono come i settori più colpiti. È il caso delle unità locali di Piemonte (-13,7%) e Friuli Venezia Giulia (-13,0%) attive nel Commercio e delle unità locali industriali della Sardegna, dove il crollo è del 21,1%.
Il settore delle Costruzioni si conferma il meno colpito dalla crisi (soltanto -3,5%). È l’unico comparto che fa registrare una crescita del valore aggiunto a livello regionale, in particolare in Campania (+1,2%), e una flessione del valore aggiunto contenuta in numerose aree del Paese.
Fanno eccezione Lazio (-10,3%), Umbria (-9,8%) e Calabria (-7,4%).

 

 

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