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LANCIO D'AGENZIA

ISTAT * ASILI NIDO 2020/2021: « I LIVELLI DI COPERTURA PIÙ ALTI SI REGISTRANO IN UMBRIA (44%) / EMILIA ROMAGNA (40,7%) / VALLE D’AOSTA (40,6%) / PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO (37,9%) »

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11.23 - venerdì 21 ottobre 2022

Nidi di infanzia, nel primo anno di pandemia calano iscrizioni e frequenza. Alla fine del 2020 sono attivi in Italia 13.542 servizi educativi per la prima infanzia con oltre 350mila posti autorizzati al funzionamento, di cui il 49,1% in strutture pubbliche. I posti sono in lieve calo (-2,9%) a causa soprattutto delle sospensioni del servizio nell’intero anno educativo 2020/2021.
Diminuiscono le iscrizioni, i mesi di frequenza dei bambini e, quindi, l’ammontare delle rette pagate dalle famiglie.

Tra le criticità nella gestione dei nidi in emergenza sanitaria: maggiori costi (segnalati dal 74% dei Comuni), carenza di risorse economiche (37%), difficoltà delle famiglie nel pagare le rette (29%). Molte le misure intraprese per adattare il servizio al contesto pandemico.

Flessione limitata dell’offerta nel primo anno della pandemia
I servizi educativi per la prima infanzia, così come gli altri segmenti del comparto dell’istruzione, dal 2020 hanno risentito dell’impatto della pandemia da Covid-19, che ha comportato periodi di chiusura delle strutture e interruzioni della frequenza da parte di molti bambini.

Al 31 dicembre 2020 sono attivi sul territorio nazionale 13.542 servizi per la prima infanzia, quasi 300 in meno rispetto all’anno precedente (-2,1%). I posti complessivi sono 350.670, di cui il 49% all’interno di strutture pubbliche, con un saldo negativo di circa 10.600 posti (-2,9%).

Tale flessione introduce una discontinuità rispetto ai graduali incrementi degli anni precedenti, ottenuti anche con il supporto di specifici interventi di rafforzamento. La contrazione dell’offerta ha interessato più il settore pubblico (-4,8%) rispetto al privato (-1,1%) e sembra collegata, più che alle chiusure definitive delle strutture, alla temporanea inattività dei servizi per l’anno educativo 2020/2021, per un totale di oltre 7mila posti (di cui il 71,5% pubblici) autorizzati al funzionamento ma non disponibili.

Il calo ha interessato meno i nidi d’infanzia (-1,4%), componente più tradizionale e principale dell’offerta (65,8%). Leggermente più consistente (-2,8%) il decremento per le sezioni primavera, che rappresentano il 19,6% dei servizi complessivi e accolgono bambini dai 24 ai 36 mesi, generalmente all’interno delle scuole d’infanzia. I servizi integrativi per la prima infanzia (spazi gioco, centri per bambini e genitori e servizi educativi in contesto domiciliare), che completano l’offerta con il 14,6% dei servizi disponibili, sono quelli che hanno fatto registrare la riduzione maggiore (-17,2%).

Questa situazione si inserisce in un contesto di offerta già fortemente carente, nonostante i diversi piani di intervento varati e gli ingenti stanziamenti approvati, dagli effetti ancora non misurabili.
Nonostante la lieve contrazione dell’offerta, la percentuale di copertura dei posti rispetto ai residenti tra 0 e due anni di età è rimasta pressoché stabile per effetto del calo delle nascite e della conseguente riduzione dei potenziali beneficiari del servizio: per il complesso dei servizi educativi si è passati dal 27,1% dell’anno educativo 2019/2020 al 27,2% del 2020/2021. Tale parametro si conferma sotto l’obiettivo definito dal Consiglio europeo di Barcellona nel 2002, da raggiungere entro il 2010, pari al 33% di copertura dei posti rispetto ai bambini.

In media, a livello europeo sono stati fatti molti progressi. Nel 2019, già prima della pandemia, la frequenza dei servizi educativi per i bambini sotto i tre anni aveva raggiunto in media il 35,3%, ma con ampie divergenze fra gli Stati membri, molti dei quali, come l’Italia, non avevano raggiunto il target, mentre diversi paesi si attestavano anche oltre il 50%, fino a raggiungere e superare il 65% nel caso di Olanda e Danimarca.

Dopo un calo nel 2020 (32,4%), la media europea è al 36,6% nel 2021 e quella italiana al 33,4% . Seppur ancora provvisorio, questo dato indicherebbe un aumento della frequenza per i bambini sotto i tre anni che, al netto degli anticipatari alla scuola d’infanzia, porterebbe circa al 29% la frequenza dei nidi nel 2021.

A venti anni di distanza dalla definizione dell’obiettivo di Barcellona, una recente Raccomandazione della Commissione europea (7 settembre 2022) propone di fissare un nuovo target per il 2030: portare almeno al 50% la quota di bambini sotto i tre anni che frequentano servizi educativi di qualità. La Commissione sottolinea inoltre la necessità di garantire un adeguato numero di ore settimanali, anche per consentire la partecipazione dei genitori al mercato del lavoro, migliorare le condizioni di lavoro del personale impiegato nei servizi educativi, favorire l’inclusione dei bambini con disabilità e di quelli con background migratori o a rischio di povertà ed esclusione sociale. Molte famiglie infatti non iscrivono i figli al nido perché il servizio non è disponibile o è troppo costoso.

 

Ancora molte le disuguaglianze nell’accesso ai servizi

Favorire la frequenza del nido da parte di bambini provenienti da famiglie a basso reddito può spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale e incidere positivamente sulla partecipazione al mondo del lavoro, riducendo anche il divario di genere. In Italia resta ancora molta strada da fare per garantire un’equa accessibilità dei servizi dal punto di vista socio-economico: infatti i tassi di frequenza del nido crescono all’aumentare della fascia di reddito delle famiglie e sono decisamente più alti se la madre lavora e se i genitori hanno un titolo di studio elevato[i].

Dal punto di vista della disponibilità dei servizi sul territorio, permangono ampissimi divari a sfavore delle famiglie residenti nel Mezzogiorno e nei Comuni più piccoli.

Il Nord-est e il Centro Italia, alla fine del 2020, consolidano la copertura dei posti disponibili rispetto ai bambini sotto i tre anni sopra il target europeo del 33% (rispettivamente 35% e 36,1%); il Nord-ovest è sotto l’obiettivo ma non è distante (30,8%), mentre le Isole (15,9%) e il Sud (15,2%), che pur registrano un lieve miglioramento, sono ancora lontani dal target.

A livello regionale i livelli di copertura più alti si registrano in Umbria (44%), seguita da Emilia Romagna (40,7%) e Valle d’Aosta-Vallée d’Aoste (40,6%), Toscana (37,6%) e Provincia Autonoma di Trento (37,9%). Anche il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia dal 2019 hanno superato la soglia del 33% (rispettivamente 35,3% e 34,8%), in coda Campania e Calabria, ancora sotto il 12%.

I capoluoghi di provincia hanno in media il 34,3% di copertura, ma con ampie distanze: quelli umbri al 47% e quelli siciliani all’11,6%. Sono ben 65 le città capoluogo con valori maggiori o uguali al 33%, mentre le rimanenti 44 restano sotto il target. I Comuni non capoluogo si attestano in media a 24,2 posti per 100 residenti sotto i tre anni (23,9% nel 2019).

In termini di offerta pubblica sui posti complessivi, la maggior parte delle regioni meridionali ha una quota di posti nei servizi educativi a titolarità comunale inferiore al 50% e una spesa media dei Comuni per bambino residente ben sotto il valore nazionale. Le regioni del Centro-nord che hanno superato il 33%, invece, hanno un’offerta pubblica molto consistente e radicata e anche quando le quote di pubblico sono inferiori al 50% i livelli di spesa dei Comuni sono comunque alti, non solo per la gestione dei nidi comunali, ma anche per il convenzionamento con i servizi privati.

[i] Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia – a.e. 2019-20 https://www.istat.it/it/archivio/263120

 

Consistenti gli interventi statali a supporto del nido

Negli ultimi anni sono stati stanziati importanti fondi di diversa natura per lo sviluppo dei servizi educativi rivolti alla prima infanzia. Dalla Legge n. 65 del 2017 deriva un forte impulso al potenziamento di tali servizi come parte integrante del percorso educativo che va dalla nascita fino a sei anni. Per lo sviluppo del “sistema integrato di istruzione 0-6”, strumento fondamentale per la prevenzione della povertà educativa, è stato istituito un Fondo nazionale destinato a finanziare le ristrutturazioni e la messa in sicurezza edilizia, le spese di gestione e la formazione del personale.

Le leggi di bilancio per il 2021 (legge n. 178/2020) e per il 2022 (legge n. 234/2021) hanno disposto inoltre un importante incremento della dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale, destinato allo svolgimento di alcune funzioni fondamentali in ambito sociale, tra cui gli asili nido. In particolare, è prevista la costruzione di nuove strutture e un incremento dei posti più consistente nei Comuni che hanno maggiori carenze. I servizi alla prima infanzia, inoltre, sono stati inclusi nei livelli essenziali delle prestazioni, con un minimo del 33% di posti da garantire per i bambini sotto i tre anni entro il 2027.

Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato importanti risorse per l’ampliamento dei servizi educativi da 0 a sei anni. Rappresenta dunque una grande occasione per colmare le carenze del sistema e i differenziali di opportunità legati al luogo e alle condizioni di nascita dei bambini, oltre che per migliorare ulteriormente l’offerta già garantita dalle Amministrazioni locali più virtuose.

Sul versante del sostegno economico alla domanda, dal 2017 è stato introdotto il “Bonus asilo nido[i]”, un contributo a rimborso delle spese sostenute dalle famiglie per la frequenza del nido. Oltre a incentivare l’utilizzo del servizio, il bonus statale persegue anche una importante funzione perequativa delle diseguaglianze territoriali e socioeconomiche delle famiglie.

Complessivamente l’importo erogato dall’INPS alle famiglie è stato di 241 milioni nel 2019, 197 milioni nel 2020 e 394 milioni di euro nel 2021.

I beneficiari del “bonus asilo nido” nel 2020 sono stati 272mila, pari al 21,1% della popolazione dei bambini sotto i tre anni. Rispetto al 2019 si registra un calo dei percettori del contributo (quasi 18mila in meno) e soprattutto la riduzione dei mesi di frequenza del nido. Infatti, per effetto delle chiusure dei servizi durante la pandemia e per la rinuncia delle famiglie per il timore del contagio, si riscontra un calo del numero medio di rate percepite e, quindi, dell’importo medio annuo erogato per beneficiario.

Nel 2021 si registra una nuova crescita nell’utilizzo del contributo che porta al 24,2% la quota dei beneficiari sui residenti sotto i tre anni.

 

[i] Legge n.232/2016

 

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