News immediate,
non mediate!
Categoria news:
LANCIO D'AGENZIA

INPS * TASSO INFLAZIONE: « NEL 2022 STIMATO AL +8%, POTRÀ AVERE IMPATTO IMPORTANTE SULLA SPESA PENSIONISTICA A PARTIRE DAL 2023 » (REPORT PDF)

Scritto da
12.41 - lunedì 11 luglio 2022

Il XXI Rapporto Annuale dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) è articolato in cinque capitoli: il primo analizza gli andamenti congiunturali degli assicurati, in relazione alle corrispondenti dinamiche del mercato del lavoro italiano, nell’anno di ripresa dopo la crisi pandemica del 2020. Il secondo passa in rassegna i problemi del sistema pensionistico italiano, con particolare attenzione ai divari di genere in termini di prestazioni. In quella sede si discute anche di distinzione tra spesa previdenziale e spesa pensionistica e si affrontano i temi di sostenibilità del sistema nel medio-lungo periodo. Nel terzo capitolo si adotta una prospettiva di lettura dal punto di vista delle imprese, mostrando come la nati-mortalità delle stesse assicuri dinamicità nel turnover dei lavoratori, raggiungendo consistenze analoghe a quelle di mercati del lavoro tradizionalmente considerati come molto più flessibili. Il capitolo dà anche conto del vasto spettro di decontribuzione offerta alle imprese in periodo di crisi e di alcuni specifici aiuti per la riorganizzazione della produzione e dei processi produttivi, valutandone l’impatto occupazionale.

Inoltre, analizza lo stato attuale dell’evasione contributiva in Italia e discute le possibili interventi per ridurre il sommerso. Nel quarto capitolo si studiano due tra i principali sussidi erogati dall’Istituto, quelli a sostegno della natalità e della conciliazione del carico familiare ed il reddito di cittadinanza. Tali misure sono analizzate nell’impatto che hanno sui comportamenti dei richiedenti, che possono riflettere l’intenzione del legislatore o rivelare esiti inattesi. Da ultimo il quinto capitolo contiene informazioni importanti per il lettore relativamente al bilancio e alle risorse umane impiegate dall’Istituto nel corso dell’ultimo triennio. Tuttavia, il capitolo si focalizza su altri due temi: il contributo di INPS all’innovazione digitale della Pubblica Amministrazione italiana, trainato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e le nuove strategie di relazione con l’utente, grazie alle nuove tecnologie, all’azione degli intermediari e al monitoraggio della customer experience. Accompagna questo rapporto un Allegato, contenente una versione divulgativa dei risultati di ricerca del Programma Visitinps, e una Appendice Statistica, che riporta i principali aggregati relativi alla attività di INPS nel corso del 2021.

 

*

Partiamo quindi dagli andamenti macroeconomici, che complessivamente mostrano come il 2021 testimoni il ritorno ad una situazione di quasi normalità, riprendendo i trend pre-pandemici del 2019. Se questi andamenti si confermeranno anche per il 2022 (al netto degli esiti della crisi geopolitica e dei riflessi sui prezzi) si potrà affermare che la pandemia da COVID ha rappresentato uno shock negativo temporaneo, che il sistema produttivo del paese è stato in grado di assorbire grazie anche all’enorme intervento pubblico sui due versanti di sostegno alle imprese e di sostegno alle famiglie.

A partire da gennaio 2021 la ripresa occupazionale si è dispiegata in parallelo con la fuoriuscita dall’emergenza sanitaria, consentendo il ritorno a valori vicini ai massimi storici registrati prima del COVID-19. Il tasso di occupazione ha quasi raggiunto il 60%, il valore più alto registrato da sempre, eppur ancora lontano dall’obiettivo europeo del 70%. Gli assicurati all’INPS (dipendenti e indipendenti) nel 2021 sono aumentati – anche rispetto al 2019 – raggiungendo quota 25.683 milioni. Trainante è stata la crescita dei dipendenti sia pubblici che privati, inclusi i domestici (per effetto della regolarizzazione attivata nel 2020 con circa 100.000 lavoratori ‘emersi’ a seguito della sanatoria), mentre è stabile o declinante la consistenza degli operai agricoli. Tra gli indipendenti è proseguito il trend di lenta e continua erosione per artigiani, commercianti e agricoli autonomi, mentre in crescita o stabili risultano le componenti del lavoro parasubordinato afferenti alla Gestione Separata (amministratori, collaboratori, etc.). Si noti che non si tratta di uno stock immutabile, dal momento che in corso d’anno si registrano 2 milioni in uscita (principalmente verso la condizione di pensionato), insieme a 2 milioni di nuovi ingressi (di cui poco più di metà riguardano donne e giovani che entrano per la prima volta in una condizione occupazionale).

In termini di volume di lavoro il recupero non si è ancora completato: nel 2021 gli assicurati hanno lavorato in media 42,1 settimane pro capite contro 42,9 nel 2019. Il monte dei redditi e delle retribuzioni, corrispondente all’imponibile previdenziale, si è assestato nel 2021 sopra i 600 miliardi, livello analogo a quello del 2019 (598 miliardi). Di conseguenza anche il monte contributivo (216 miliardi) ha messo in evidenza il pieno recupero del livello pre-pandemico, quantomeno a valori nominali.

L’incidenza delle agevolazioni contributive sul totale dei contributi sociali (ovverosia la quota fiscalizzata che era rimasta pressoché costante tra il 2019 e il 2020 per il declino parallelo di contributi e agevolazioni) nel 2021 è risalita in misura consistente, superando i 20 miliardi. Si tratta di un valore pari al 9,3% dei contributi sociali totali. Se si considera solo il settore del lavoro dipendente privato agricolo ed extra-agricolo, l’incidenza delle agevolazioni nel 2021 risulta pari al 13,7% dei contributi sociali dovuti. Ciò è collegato al pieno dispiegamento di diverse misure (“decontribuzione Sud” in primis) finalizzate ad accompagnare la fuoriuscita dall’emergenza sanitaria.

Il ricorso alla Cig è stato ancora rilevante (nel 2021 3 milioni di beneficiari per un importo di circa 10 miliardi) e le giornate di malattia hanno segnato il culmine a gennaio 2022 (quasi 30 milioni di giornate, riferiti a più di 3 milioni di lavoratori assenti per infezione o quarantena). Ma d’altro canto, nel corso dell’anno, si sono infittiti i segnali di ritorno alla normalità: i flussi di assunzioni, trasformazioni e cessazioni sono stati riattivati; i movers sono ritornati ad un livello prossimo a quello pre-pandemico (35%); i cassintegrati sono continuamente diminuiti (sia gli esordienti sia quelli continuativi e ad alta intensità di utilizzo della Cig) per effetto di un minor numero di aziende ricorrenti e di una minor diffusione, tra le stesse, dei dipendenti sospesi, che sono scesi da 2 milioni a marzo 2021 a circa 200.000 nei primi mesi del 2022, mentre le aziende coinvolte da 353.000 sono scese sotto 100.000 a fine 2021. Le dimissioni lavorative, cresciute a 1.1 milioni nel 2021, hanno recuperato la compressione dell’anno precedente, ma i tassi di ricollocazione di questa componente permettono di ricondurlo ad un andamento fisiologico del mercato del lavoro. Nel complesso i dipendenti che hanno lavorato tutto l’anno (in grandissima parte a tempo indeterminato) nel 2021 sono stati 9,8 milioni (erano stati 10,9 milioni nel 2019 e 7,3 milioni nel 2020).

Il blocco dei licenziamenti è stato progressivamente superato, senza che si registrassero per questo particolari concentrazioni o livelli inusuali; le dimissioni volontarie sono aumentate, anche recuperando la compressione precedente, in parallelo alle ricollocazioni verso i settori produttivi a maggior domanda di lavoro (costruzioni, utilities, metalmeccanico, istruzione e sanità). Hanno mostrato un sostanziale arretramento i settori relativi ad alberghi-ristorazione (-27% di dipendenti full-time equivalente rispetto al 2019), tessile-abbigliamento-calzature (-12%) e altri servizi quali intrattenimento (-11%). Il tasso di turn-over degli occupati, che era calato al 31.2% nell’anno della pandemia, è risalito al 34.6% nel 2021, in linea con il 35.4% di 2018 e 2019. I dipendenti persistenti, vale a dire coloro che risultano nello stesso comparto e nella stessa condizione contrattuale (anche se con orari o contratti diversi) sia nel 2019 che nel 2021 sono risultati 16.7 milioni.

Se il quadro occupazionale appare promettente, segnali più preoccupanti vengono dalla dinamica retributiva. La retribuzione media effettiva pro capite (al netto quindi della Cig) nel 2021 è stata pari a 24.097 euro (23.107 nel 2020) quasi in linea con il livello del 2019 (-0,2%) a fronte di un aumento del numero di persone che ha lavorato per frazioni ridotte dell’anno (part-year). La retribuzione media delle donne nel 2021 risulta pari a 20.415 euro, sostanzialmente invariata rispetto agli anni precedenti e inferiore del 25% rispetto alla corrispondente media maschile. Ciò dipende dal maggior peso, tra le donne, sia della componente part-year (per di più con durate medie più corte) sia della componente a part-time.

La dinamica retributiva dipende fortemente dalla attività e dalla copertura contrattuale. I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro che coprono oltre 100.000 dipendenti risultano 27 e concentrano il 78% dei dipendenti privati; quelli che interessano più di 10.000 dipendenti sono 95 e ad essi fa riferimento il 96% dei dipendenti delle imprese private extra-agricole. Ma anche all’interno di questo ampio perimetro si registrano variazioni importanti. Se la retribuzione media giornaliera per i dipendenti a full-time è pari a 98 euro, in sei tra i principali CCNL è inferiore a 70 euro mentre nell’industria chimica è pari a 123 euro. Sempre superiori a 100 euro giornalieri risultano anche i valori medi nei gruppi di CCNL con meno dipendenti. Per i dipendenti a part-time la retribuzione media giornaliera è pari a 45 euro, ma risulta inferiore a 40 euro al giorno per i dipendenti di alcuni comparti artigiani (metalmeccanico, sistema moda, acconciatura/estetica).

Per dare un’idea della dispersione retributiva, se si considerano i valori soglia del primo e dell’ultimo decile nella distribuzione delle retribuzioni dipendenti (full-time e full-month per operai e impiegati, escludendo dirigenti, quadri e apprendisti) si ottiene un valore di 1.495 euro per il decimo percentile (cioè il 10% dei dipendenti a tempo pieno guadagna meno di questa cifra), di 2.058 euro per il cinquantesimo percentile (questo è il valore mediano al di sotto/sopra del quale si trovano il 50% degli addetti) e di 3.399 euro per il novantesimo percentile (ovvero si registra un 10% di operai o impiegati con livelli retributivi superiori). Ma il livello del decimo percentile effettivo risulta inferiore a 1.100 euro nel caso di 8 CCNL (4 con meno di 100 dipendenti) con in totale 12.000 dipendenti sotto tale soglia; per altri 8 CCNL il decimo percentile si colloca sotto i 1.200 euro.

La pandemia ha lasciato come eredità una situazione retributiva ancor più frastagliata, come testimoniato dall’innalzamento verso l’alto dell’indice di concentrazione di Gini calcolato sulle retribuzioni dipendenti, che passa da 44 nel 2019 a 46 nel 2021. La distribuzione dei redditi all’interno del lavoro dipendente si è ulteriormente polarizzata, con una quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza. Per contro l’1% dei lavoratori meglio retribuiti ha visto un ulteriore aumento di un punto percentuale della loro quota sulla massa retributiva complessiva.

A queste disparità ha ovviamente contribuito la messa in Cassa Integrazione di una massa enorme di lavoratori. Complessivamente nel triennio 2019-2021 il ricorso alla Cig (in una delle sue varie forme) ha interessato 6.9 milioni di lavoratori: circa 700.000 ne avevano usufruito prima del COVID-19 (tra gennaio 2019 e febbraio 2020), 5.5 milioni sono entrati nel corso del lock-down di marzo-maggio 2020 e, infine, altri 750.000 lavoratori si sono aggiunti successivamente. A distanza di due anni il 64% dei cassintegrati risulta ancora occupato presso la medesima azienda (4.4 milioni di dipendenti, di cui una quota modesta pari a 194.000 è ancora in Cig), il 21% dei beneficiari risulta occupato presso altra azienda, il 5% è in NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) e il residuo è in altra condizione (inattivo, disoccupato, emigrato, transitato al lavoro indipendente, pensionato).

Il “congelamento” del mercato del lavoro causato dalla pandemia (con il blocco dei licenziamenti e la diffusione della CIG in deroga) ha ridotto il numero di beneficiari della NASpI, passati da 2.754 milioni nel 2019 a 2.440 milioni nel 2021. In particolare sono stati ridotti i beneficiari a seguito di interruzioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato: da 811.000 nel 2019 si è scesi a 612.000 nel 2021. L’incidenza dei beneficiari di NASPI sul totale dei dipendenti assicurati risulta pari al 15%. Lo sbilancio tra entrate e uscite si è ridimensionato nel 2021 pur rimanendo assai elevato (-7,3 miliardi).

Stabile risulta il numero di beneficiari della disoccupazione agricola (544.000 nel 2021) come pure la relativa spesa complessiva (4 miliardi) nonché il valore dello sbilancio con le entrate (2 miliardi) L’incidenza sulla platea, composta da circa un milione di lavoratori, supera il 50%. I beneficiari della Dis-Coll (Indennità di disoccupazione per collaboratori, assegnisti e dottorandi) sono stati 21.000; l’incidenza sulla relativa platea, composta da meno di 400.000 lavoratori, è stimabile attorno al 5%; resta sempre positivo il saldo tra entrate e uscite. Nel 2021 è stata anche avviata l’applicazione dell’ISCRO, l’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa per i professionisti titolari di partita IVA iscritti alla Gestione separata: sono state accolte 3.654 domande; l’incidenza dei sussidiati sul totale degli assicurati è pari all’1,5%.

Il capitolo contiene inoltre ulteriori approfondimenti, sulla distribuzione delle ore di cassa integrazione tra i dipendenti all’interno delle aziende colpite (dove si mostra che i datori di lavoro hanno adottato comportamenti più equi laddove le conseguenze della pandemia in termini di mortalità sono state più intense), sulla riforma degli ammortizzatori sociali a seguito della legge di bilancio per il 2022 (da cui si evince un aumento del grado di copertura universalistica – seppur ancora differenziato – offerta oggi al lavoro dipendente e autonomo dal welfare nazionale) e sui lavoratori della GIG economy (da cui si evidenzia che nonostante l’azione ispettiva svolta dalla magistratura nel caso di importanti imprese di food delivery, rimane aperto il problema della classificazione contrattuale di lavoratori gestiti da piattaforme e algoritmi).

 

*

Il secondo capitolo si occupa della dinamica pensionistica. Su un totale di 16 milioni di pensionati, al 31 dicembre 2021 l’Istituto corrispondeva una pensione a 15.5 milioni di pensionati, di cui 7.4 uomini e 8.1 donne (pari al 52%) per un totale di 305 miliardi di euro di pensioni erogate, di cui solo 44% corrisposto alle donne. Dal momento che il totale delle prestazioni era pari a 20.8 milioni, vi è una quota di pensionati che riceve più di una prestazione (20% degli uomini e 33% delle donne). Il tema del divario di genere scaturisce dall’osservazione che, nel 2021, la differenza tra uomini e donne nel reddito pensionistico è stato di oltre 6.000 euro. Tale divario si ricollega al fatto che gli uomini prevalgono nettamente nelle pensioni anticipate, ovvero quelle di importo più elevato, mentre le donne hanno una netta prevalenza nelle pensioni ai superstiti e in quelle di vecchiaia. Scomponendo il divario pensionistico nelle sue componenti, emerge che esso è riconducibile a retribuzione oraria (differenza del 17% nel settore privato), tempi di lavoro (part-time) e anzianità contributiva (differenza del 40% nel 2001 scesa al 25% nel 2021).

Da un confronto per età dei pensionati, emerge però che i divari in termini di frequenza delle anticipate decresce con l’età, per cui, in futuro, una quota crescente di pensionate potrebbe avere pensioni dirette di livello comparabile a quello dei pensionati. Tuttavia, notevoli differenze di genere si registrano anche negli importi delle singole tipologie di pensioni. Per le prestazioni più strettamente legate all’attività lavorativa, ovvero le anticipate e la vecchiaia, il divario è in parte riconducibile alle ben note differenze in termini di continuità lavorativa, anche se il divario in termini di anzianità contributiva si è visibilmente ridotto nel tempo. Le settimane di contribuzione delle pensionate più giovani, infatti, superano dell’80% le settimane delle più anziane, ma la differenza rispetto agli uomini resta significativa. Dall’analisi dei dati emerge, inoltre, che il rapporto tra pensione lorda e settimane di contribuzione è significativamente maggiore per i maschi e questo suggerisce che il contributo alla pensione di una settimana di lavoro è maggiore per i maschi che per le femmine.

Allo scopo di misurare il potere d’acquisto dei pensionati e l’efficacia del sistema di previdenza nel fornire un reddito pensionistico in sostituzione di quello da lavoro, si è poi stimato il tasso di sostituzione delle pensioni. Tra coloro che si sono ritirati dal mercato del lavoro dopo il 2017, il tasso di sostituzione risulta pari, in media, al 75% della retribuzione massima ricevuta negli ultimi 10 anni di attività, con una differenza di 2 punti percentuali tra maschi e femmine. Rispetto agli altri paesi dell’UE, si tratta di un valore relativamente elevato. Infatti, nel confronto internazionale tra i paesi dell’UE 27, si tratta di un valore elevato, inferiore solo a Grecia, Spagna e Portogallo. La dispersione del tasso di sostituzione è però notevole, ed è in larga misura riconducibile alle differenze nell’anzianità contributiva dei pensionati.

Il capitolo approfondisce poi il tema della disuguaglianza in termini di reddito pensionistico e la questione delle pensioni “povere”. Nel 2021, il 40% dei pensionati ha percepito un reddito pensionistico lordo inferiore ai 12.000 euro. Da un’analisi del ventesimo percentile di reddito pensionistico (fino a 10.000 euro nel 2021) emerge che solo il 15% dei pensionati in questa fascia riceve un assegno sociale e il 26% una pensione al superstite. Quasi il 60% percepisce una pensione di vecchiaia o anticipata dal Fondo pensione dei lavoratori dipendenti, il che riflette l’ampiamente discusso fenomeno della cosiddetta povertà lavorativa.

Per quanto riguarda la disuguaglianza di reddito pensionistico, nel periodo 1995-2021, l’indice di concentrazione di Gini dei redditi pensionistici è cresciuto di circa il 10%, attestandosi a 0.35 nel 2021, un valore inferiore a quello delle retribuzioni che è superiore a 0.46. La disuguaglianza è massima tra le pensioni di vecchiaia dei lavoratori dipendenti del privato (soprattutto maschi), presumibilmente per la grande variabilità della loro anzianità contributiva.

Nel capitolo viene poi effettuato un confronto tra paesi per quanto riguarda la spesa pensionistica utilizzando dati Eurostat sulla base dei quali, nel 2019, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati riclassificati, la spesa pensionistica dell’UE 27 è stata il 12,7% del PIL. In Italia e Grecia il rapporto è stato pari al 16%, in Francia al 15%, in Germania al 12% e al 5% in Irlanda. Come prevedibile, la spesa in rapporto al PIL risulta crescente nel tasso di sostituzione della pensione rispetto all’ultimo salario, per cui nei paesi meno generosi, laddove la pensione è una frazione contenuta del salario, la spesa in rapporto al PIL è più bassa. Non emerge invece una correlazione tra la spesa media per beneficiario e il regime di calcolo della pensione.

Il capitolo si chiude con diversi approfondimenti in cui vengono trattate una serie di tematiche specifiche. Il primo riguarda la confluenza in INPS del Fondo di previdenza dei giornalisti INPGI/1 a partire dal 1° luglio 2022 e si propone un confronto tra le pensioni dei giornalisti con quelle dei lavoratori dipendenti del settore privato e del settore pubblico. Nel secondo approfondimento viene effettuato un bilancio sui pensionamenti attraverso “Quota 100”, strumento d’anticipo pensionistico, introdotto col DL 4/2019 (convertito con legge 26/2019), a carattere temporaneo, valido per chi ha maturato i requisiti d’età e anzianità entro il 31 dicembre 2021. Nel terzo, viene affrontato il tema della sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo e viene stimato il risultato di esercizio del conto economico generale per tutto il periodo 2020-2029 sulla base delle previsioni dei flussi contabili di entrata e uscita di tutte le gestioni amministrate dall’Istituto. Nel quarto, vengono stimati i costi di tre possibili canali di pensionamento che aumenterebbero la flessibilità del sistema. Le proposte valutate sono l’opzione al calcolo contributivo, il calcolo della pensione con una penalizzazione, che tiene conto della differenza tra età di uscita e età per la pensione di vecchiaia, e l’anticipo della quota contributiva della pensione. Nel quinto approfondimento, si affronta il tema dell’impatto della revisione dell’Irpef e dell’introduzione dell’Assegno Unico Universale (AUU) sui redditi dei pensionati italiani. Nel sesto, viene stimata la copertura assicurativa della “generazione X” (i nati tra il 1965 e il 1980), e viene valutato l’impatto di un’ipotesi di salario minimo a 9 euro sul montante contributivo di questi lavoratori. Nell’ultimo contributo, si affronta la questione della separazione fra spesa previdenziale e assistenziale, un tema ricorrente nel dibattito italiano in materia di welfare. L’incidenza sul PIL della spesa previdenziale italiana è pari a 16.9% nel 2020, scende al 15.8% se si sottraggono dalla spesa pensionistica i trattamenti strettamente assistenziali in GIAS (tra cui assegni sociali e invalidità civili), al 16% se si sottraggono dalla spesa pensionistica tutte le prestazioni means-tested e al 13.4% se si considera la spesa pensionistica al netto delle ritenute fiscali.

*

Il terzo capitolo si occupa delle imprese per come appaiono dalle fonti amministrative dell’Istituto, di cui esse rappresentano uno dei principali contribuenti. Attraverso le dichiarazioni mensili UniEmens è possibile derivare i livelli e la composizione della dinamica occupazionale, nonché le associate dinamiche retributive, mentre attraverso le comunicazioni obbligatorie è possibile avere contezza in tempo reale delle attivazioni e separazioni delle posizioni lavorative individuali, che permettono all’Istituto di gestire, ad esempio, politiche quali i sussidi di disoccupazione. È anche attraverso l’interlocuzione con le imprese che viene gestita la totalità degli incentivi all’occupazione (incentivi all’occupazione femminile e giovanile, al mezzogiorno e così via). Questo capitolo cerca di indagare quali cambiamenti strutturali siano connessi a miglioramenti in termini di dinamiche di produttività e salariali: a maggiori salari corrisponde una più elevata massa contributiva, elemento cruciale per la sostenibilità del sistema pensionistico.

Il capitolo si occupa innanzitutto di approfondire tematiche legate alle dinamiche di impresa, descrivendo in primo luogo la loro evoluzione negli ultimi 15 anni: fra il 2007 e il 2021 la quota dell’industria in senso stretto diminuisce (-23% nel periodo), con il solo settore delle “costruzioni” a registrare una caduta decisamente superiore (-38%). In netto aumento il settore dei “servizi alla persona” (+20%) e dei “servizi di mercato”, cioè rivolti alle imprese e al mondo produttivo (quasi +10%). Per contro negli ultimi due anni (2020-21 le quote settoriali tendano a rimanere costanti, a causa del “congelamento” (freezing) determinato dalle misure di contrasto alla crisi pandemica (dal blocco dei licenziamenti alla CIG in deroga). In secondo luogo, si pone attenzione al contributo occupazionale legato alla dinamica di impresa, coerentemente con la letteratura su creazione e distruzione del lavoro (Job Creation e Job Destruction). Su un arco di 40 anni, il mercato del lavoro italiano si caratterizza per un grado di mobilità e dinamismo, misurato dagli indicatori di riallocazione, in linea con le altre economie avanzate (inclusi gli Stati Uniti), anche se in leggera decrescita a partire dalla crisi finanziaria globale.

Se si considerano come posizioni lavorative quelle in cui vi è prestazione lavorativa (escludendo le posizioni in cassa a zero ore), durante la pandemia è fortemente cresciuta la distruzione di posti di lavoro. Se invece si includono tutti i rapporti di lavoro, la distruzione di posizioni lavorative durante la crisi pandemica si riduce drasticamente. La cassa integrazione ha quindi svolto a pieno il suo compito di contenere la riduzione occupazionale durante la pandemia. L’uscita delle imprese dal mercato ha contribuito in misura largamente inferiore al calo occupazionale rispetto ai precedenti episodi recessivi, in connessione con il blocco delle procedure concorsuali in vigore nei primi mesi della pandemia e con le misure di sostegno alle imprese introdotte in risposta alla stessa.

La riallocazione dei posti di lavoro, indicatore del dinamismo di un sistema economico, è diminuita molto più rapidamente di quanto si osservi nelle recessioni precedenti, principalmente a causa della sospensione di alcune attività produttive e dell’attivazione delle suddette misure di sostegno alle imprese. Questo riscontra con quanto riportato nel primo capitolo, relativo al “rimbalzo” nei tassi di turnover dei lavoratori, ad indicazione dei riaggiustamenti posposti a causa del congelamento delle posizioni.

La crisi pandemica ha altresì determinato uno spostamento dei flussi dei posti di lavoro verso i servizi di informazione e comunicazione ma anche verso le costruzioni. Mentre nel primo caso i flussi hanno risposto ai cambiamenti strutturali indotti dalla transizione digitale, nel secondo sono stati influenzati soprattutto dagli incentivi fiscali. Le imprese con una più alta propensione al digitale e al lavoro da casa hanno subito gli effetti della crisi pandemica in maniera minore rispetto alle altre.

Il capitolo passa poi ad analizzare le politiche di incentivazione di cui hanno beneficiato le imprese nell’ultimo decennio. Dopo aver presentato l’andamento delle tipologie e degli ammontari di risorse pubbliche associate per gli incentivi gestiti dall’Istituto, ci si sofferma sulla valutazione di impatto di alcune politiche di incentivi alle imprese, in due diverse categorie: da una parte alcune politiche di incentivi all’occupazione, gestite direttamente dall’Istituto; dall’altra, incentivi al cambiamento tecnologico e organizzativo che, anche se non gestiti direttamente dall’Istituto, possono aver determinato effetti occupazionali e contributivi.

Le valutazioni di impatto, che utilizzano sia un’analisi descrittiva che approcci di tipo ‘controfattuale’, si focalizzano su variazioni delle politiche dovute ad alcune riforme. Per l’esonero giovani si utilizza la legge 178/2020 che prevedeva l’aumento dell’aliquota di decontribuzione dal 50 al 100%, per l’incentivo donne si considera la legge che introduce l’esonero del 50% (legge n.92/2012), e per l’apprendistato si analizza la riforma della legge 296/2006 che riduceva le aliquote contributive per le imprese sotto i 10 dipendenti. Per queste tre politiche di incentivi si determina una valutazione di impatto decisamente positiva (ad esempio del 20% nel caso dell’esonero giovani). Per contro, per l’incentivo “Decontribuzione Sud”, di cui si valuta l’introduzione predisposta dalla legge 178/2020, si determina un impatto occupazionale molto contenuto attraverso l’analisi descrittiva, impatto che tuttavia non viene confermato utilizzando un approccio quantitativo più rigoroso. L’analisi sembra pertanto suggerire una regolarità: quando la politica è caratterizzata da uno sgravio sostanziale, ed è disegnata in modo rigoroso e mirato su target di gruppi di individui specifici, l’impatto della policy è positivo e statisticamente significativo. Per contro, politiche con minori aliquote di agevolazione e non rivolte a target specifici sembrano non produrre impatti occupazionali.

Passando agli incentivi al cambiamento tecnologico offerti alle imprese dal Ministero dello Sviluppo Economico, che fino al 2019 raggiungevano un ammontare di 8 miliardi di euro, ci si concentra sulla “Nuova Sabatini”, una politica che incentiva l’acquisto di beni strumentali tecnologici e digitali. La valutazione di impatto mostra un effetto positivo sull’occupazione in imprese di media dimensione nel settore manifatturiero (+0,48 dipendenti in media a seguito del finanziamento, in imprese con una dimensione media di 19 addetti per azienda). Tali effetti sono particolarmente evidenti nella manifattura nelle le imprese più grandi. Per l’analisi del cambiamento organizzativo, ci si concentra sull’introduzione dei “voucher per l’internazionalizzazione”, politica che mirava a promuovere l’acquisto di servizi di consulenza su attività di export, e si determina un effetto positivo sull’occupazione di circa il 14% della loro forza lavoro delle imprese che hanno ottenuto il bonus.

Nell’ultimo paragrafo ci si sofferma sulle politiche di contrasto al sommerso, un tema di grande interesse per il paese e per l’Istituto, in quanto influenza direttamente l’ammontare della massa contributiva dovuta dalle imprese e, attraverso questo canale, rappresenta una delle sfide alla sostenibilità del sistema di welfare nazionale.

Il lavoro sommerso in Italia è circa il 12.5% del lavoro totale (ultima rilevazione del 2019). I lavoratori sommersi sono circa 3 milioni. I lavoratori temporanei sono praticamente lo stesso numero. IL PNRR richiede un rientro del 2% sul tasso di lavoro non regolare all’Italia, un ammontare sperimentato in Italia solo una volta negli ultimi 25 anni, a seguito della massiva regolarizzazione del 2001. Al contrasto del sommerso è dedicata l’attività di vigilanza ispettiva, che purtroppo ha ridotto negli ultimi anni la sua attività a causa della graduale riduzione del personale ispettivo. Alcune sperimentazioni condotte dall’Istituto in collaborazione con altre Amministrazioni Pubbliche dimostrano che l’incrocio di banche dati amministrative del lavoro (UniEmens) con banca dati sulle imprese (Modelli dichiarativi ISA) permette di stimare indicatori di affidabilità contributiva (ISAC) in modo del tutto analogo agli indicatori di affidabilità fiscale (ISA) prodotti per l’Agenzia delle Entrate. L’approccio di soft compliance può caratterizzare l’introduzione di ulteriori strumenti che vengono passati in rassegna alla fine del capitolo: la Piattaforma MOCOA, già implementata di Inps e ora accessibile su base volontaria, permette ai committenti degli appalti di disporre di strumenti che consentono di monitorare l’adempimento degli obblighi da parte dei soggetti affidatari.

*

Il quarto capitolo si occupa di politiche di sostegno alla famiglia e di sostegno ai redditi. Nella prima parte, alla luce dell’importanza assunta dal tema della denatalità per il nostro paese, si vanno ad esaminare una serie di strumenti messi a disposizione dal legislatore, ed erogati dall’INPS, per supportare le famiglie nella cura dei figli e dei familiari con lo scopo di favorire le nascite e di colmare il divario di genere nelle responsabilità domestiche e nel mercato del lavoro. L’Italia si caratterizza, infatti, per un tasso di natalità tra i più bassi al mondo e per una scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro; situazione che la contraddistingue da paesi europei come Francia, Danimarca e Svezia in cui alti tassi di fecondità sono accompagnati da alti tassi di occupazione femminile. D’altra parte, nei paesi sviluppati la tradizionale relazione negativa tra fecondità e partecipazione al mercato del lavoro si è invertita e adesso i dati mostrano una correlazione positiva.

Diversi studi mostrano come un ruolo chiave sia giocato da fattori che facilitano la conciliazione della famiglia e della carriera: quando essi non entrano in campo o sono insufficienti meno donne lavorano e meno bambini nascono. Nel nostro paese, caratterizzato da scarsi servizi all’infanzia e agli anziani e da norme sociali che non ripartiscono equamente il lavoro domestico e di cura all’interno delle famiglie, le donne si trovano a dover gestire un equilibrio complesso in cui si intersecano impegni familiari e professionali. Spesso, specialmente a seguito della nascita di un figlio, non riuscendo a conciliare le due sfere, molte donne abbandonano il mercato del lavoro, oppure sono costrette ad accontentarsi di un ruolo marginale, con contratti part-time e con scarse prospettive di carriera.

Recentemente il legislatore ha fatto notevoli passi tesi sia a favorire la natalità che a rendere la conciliazione tra vita lavorativa e familiare più semplice, anche attraverso l’uso di strumenti che incentivano il sostegno dei padri nella cura dei figli e di misure volte a chiudere il divario di genere (gender gap) nel mercato del lavoro. Si tratta di un sistema articolato che include le politiche per le pari opportunità, quelle per le famiglie, spesso volte a favorire la natalità attraverso una riduzione degli oneri associati ai figli, e un insieme di strumenti tesi a semplificare la gestione dei tempi di vita e lavoro. Tra gli strumenti messi in campo un ruolo preminente è rivestito dall’Assegno Unico Universale. A sei mesi dalla sua entrata in vigore, sono pervenute all’istituto circa 7.8 milioni di domande per assegni, rispetto ad una popolazione di circa 10 milioni di minorenni (dati al 19/5/22). Aggregando per provincia di residenza del minore le richieste di Assegno Unico e rapportandole al numero di individui di età compresa tra 0 e 21 anni non compiuti ivi residenti riusciamo ad avere un’idea della distribuzione geografica del take-up. Le provincie con un take-up più basso sono localizzate prevalentemente al Nord. Dalle analisi che abbiamo svolto sembrerebbe che alcuni fattori socio-economici, quali il grado di istruzione della popolazione e la percentuale di contribuenti poveri, siano rilevanti nello spiegare la distribuzione territoriale del take-up.

Si passa poi ad esaminare l’utilizzo delle diverse forme di congedo da parte di madri e padri, cercando di evidenziare le risposte delle famiglie ad alcuni cambiamenti normativi. Per quel che riguarda il congedo di paternità, introdotto in via sperimentale per gli anni 2013-2015 e la cui durata è aumentata nel corso del tempo per assestarsi ai 10 giorni attuali, si evidenzia che il numero di padri richiedenti è in continuo aumento, tuttavia, il take-up è ancora piuttosto basso (intorno al 50%) e presenta una notevole eterogeneità tra aree geografiche e a seconda delle caratteristiche delle imprese.

Relativamente invece all’uso dei congedi parentali si nota, nel periodo che va dal 2012 al 2021, un’estensione della platea dei genitori beneficiari e una riduzione del numero di giorni fruiti all’anno per figlio. Si evidenzia, inoltre, una distribuzione fortemente diseguale del congedo parentale all’interno della coppia, con i padri che rappresentano solo circa il 19% dei richiedenti. Le nostre analisi mostrano anche che l’allocazione dei compiti di cura all’interno delle coppie reagisce molto lentamente e di poco alle variazioni nelle condizioni economiche dei congedi parentali.

A chiusura di questa parte del capitolo si trovano due approfondimenti, che a partire dalle statistiche sul gender gap nel mercato del lavoro presentano due recenti interventi legislativi (la Legge “Gribaudo” e il cosiddetto “Reddito di libertà”) tesi a favorire la parità di genere.

Nella seconda parte del capitolo si offrono una serie di analisi relative ai fruitori del Reddito di Cittadinanza (RdC), la misura di contrasto alla povertà più rilevante degli ultimi anni sia per la platea dei beneficiari (nuclei familiari in condizioni di bisogno), sia per gli importi erogati. Nei primi tre mesi del 2022 i nuclei familiari beneficiari sono stati pari a circa 1.5 milioni, con circa 3.3 milioni individui coinvolti. L’importo medio mensile erogato (a Marzo 2022) è stato di 548 euro. Le caratteristiche dei nuclei beneficiari si sono ormai stabilizzate nel tempo (nonostante un graduale declino nella dimensione media dei nuclei familiari, passati da 2.45 componenti nel 2019 a 2.23 nel 2021), confermando che un terzo dei percettori è costituito da minori e anziani (over 65) e che, come evidenziato dal precedente rapporto annuale INPS, solo il 33% dei percettori in età lavorativa ha un riscontro amministrativo di partecipazione al mercato del lavoro negli anni 2018 o 2019. Nonostante i percettori di RdC siano per la maggior parte assenti dal mercato del lavoro rimane di estrema attualità l’analisi del comportamento di coloro che svolgono o hanno svolto qualche attività lavorativa. Dall’esame dei dati relativi ai percettori in età lavorativa con undici o dodici mensilità percepite nell’anno 2021 risulta occupato il 20% degli individui con il 40% di nuclei familiari coinvolti. I nuclei con lavoratori hanno una dimensione media maggiore, ma un importo medio mensile minore. Rispetto alla collettività di riferimento (2 milioni di persone beneficiarie), emerge che il 26% di coloro che percepisce il beneficio nel Nord dell’Italia risulta essere anche lavoratore (46% se si considera solo il genere maschile); questa percentuale è pari al 36% quando si considera la popolazione degli stranieri extracomunitari percettori di RdC. Emerge anche che i percettori “stabili” di RdC che lavorano sono impiegati in prevalenza (quasi il 60%) con contratti a termine e a tempo parziale.

Nella parte finale del capitolo si è esaminato l’impatto della misura sulla natalità e sul rischio di morte durante la pandemia. Utilizzando una tecnica statistica nota come “Regression Discontinuity Design” si misura un effetto positivo (di circa un 1 punto percentuale) sulla probabilità delle donne beneficiarie di RdC di concepire un figlio nel periodo successivo alla notifica di accettazione/reiezione della domanda rispetto alle donne richiedenti che sono state escluse dal beneficio. È possibile che l’effetto positivo sulla fecondità dipenda non tanto dall’integrazione di reddito quanto piuttosto ad un miglioramento nella fiducia verso il futuro e alla percezione di una minore insicurezza. Questo appare coerente con i risultati di una indagine svolta dall’Istituto sui dichiaranti ISEE che conteneva una sezione di approfondimento sui beneficiari di RdC.

La stessa tecnica viene impiegata per esaminare l’impatto del RdC sul rischio di morte durante la pandemia. In questo caso ci si focalizza sulle domande accolte o respinte prima dell’avvento della pandemia (entro giugno 2019) e si mostra che i beneficiari di RdC hanno una minore probabilità di morte rispetto ai non beneficiari nel periodo successivo. Considerato che il periodo considerato è caratterizzato dalla crisi pandemica, l’effetto individuato, che riguarda gli uomini e soprattutto quelli in età lavorativa residenti nelle città più grandi, potrebbe dipendere dal fatto che questi individui, grazie all’aiuto economico ricevuto, hanno potuto esporsi meno al rischio di contagio. Conclude il capitolo un approfondimento sulle prestazioni a carattere mutualistico erogate dal Fondo Gestione Unitaria delle prestazioni creditizie e sociali a beneficio dei dipendenti pubblici.

*

Il quinto ed ultimo capitolo dà conto del rinnovato impegno dell’Istituto nel miglioramento del rapporto con gli assicurati. Nel corso del 2021 l’INPS ha consolidato il percorso di trasformazione digitale dei propri servizi, nell’ottica di un costante allineamento delle diverse prestazioni alle esigenze in divenire dei cittadini e delle imprese. Pur nello scenario pandemico l’Istituto ha infatti avviato un processo di evoluzione del proprio modello di servizio per far fronte alle sfide derivanti dall’ampliamento delle proprie competenze e dalle missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), attraverso la realizzazione di numerosi progetti finalizzati ad accrescere trasparenza, tempestività, personalizzazione ed efficienza dei propri servizi.

In questo capitolo, dopo una breve descrizione del rendiconto generale, si illustrano le politiche per il personale e gli sforzi compiuti dall’Ente per poter contare su risorse interne in grado di sostenere le innovazioni delle politiche di servizio (ad esempio, le misure adottate in materia di conciliazione vita – lavoro, con un focus sull’attuazione e l’utilizzo dello smart working). A tal fine attraverso il programma assunzionale sarà possibile incrementare la consistenza del personale INPS:
• sono recentemente stati assunti 372 unità di informatici, cui potrebbero aggiungersi ulteriori 185 unità;
• entro il mese di luglio 2022 verranno assunti n. 363 medici della prima fascia funzionale;
• nello stesso mese di 2022 luglio sarà avviato il concorso a 1.858 consulenti di protezione sociale; l’Istituto dispone già delle autorizzazioni per assumere da subito, ulteriori 2.224 idonei, per un totale di 4.082 unità, ulteriormente estendibili per 719 unità previa autorizzazione
• è infine in corso di svolgimento il concorso per l’assunzione di n. 15 legali di primo livello.

Vengono poi presentati alcuni dei progetti legati al PNRR sulla digitalizzazione dei servizi e dei contenuti secondo il principio del “One click by design”, l’adozione di un nuovo Design System “Sirio” per la progettazione dei servizi digitali nonché le iniziative dell’Istituto volte a favorire l’interoperabilità dei sistemi informativi pubblici (Piattaforma Digitale Nazionale Dati).

Il contatto omnicanale è la modalità con cui l’Istituto ha organizzato l’interazione con i cittadini/aziende per fornire il miglior servizio possibile rispetto ai volumi delle richieste, sfruttando anche le potenzialità e i benefici derivanti dalla completa telematizzazione della presentazione delle domande di servizio. L’istituto interagisce attraverso una molteplicità di canali di contatto: fisici (sedi territoriali), digitali (sito web, App MOBILE e social media) e telefonici (CCM). I volumi delle interazioni nel triennio 2019-2021 evidenziano come la relazione con l’utenza si sia spostata verso i canali telematici: la pandemia da COVID-19, paradossalmente, ha offerto una straordinaria occasione per sviluppare forme di erogazione dei servizi a distanza.

La valutazione di gradimento espressa dai cittadini/utenti nelle numerose indagini di customer experience condotte nel corso del 2021 ha evidenziato giudizi soddisfacenti, seppur migliorabili, sui servizi erogati. Per rispondere a tali esigenze, l’INPS ha realizzato nuovi servizi digitali per instaurare con i cittadini un rapporto partecipativo e di lungo periodo. Un ruolo importante assumono in questa prospettiva gli intermediari, con i quali l’Istituto ha attuato una positiva collaborazione, anche attraverso la predisposizione di piattaforme condivise che facilitano la qualificazione dell’attività consulenziale. Con la partecipazione, l’ascolto e il coinvolgimento dei cittadini, degli stakeholder e degli intermediari, l’INPS lavora quotidianamente sugli sviluppi per offrire più servizi, sempre più semplici nelle modalità di erogazione, nei processi di lavoro, nella comunicazione e per rispondere a 360° alle esigenze e delle aspettative delle persone. Tali servizi sono rivolti a diverse platee di utenti:
• cittadini digitali (deleghe identità digitale cittadino, integrazione delle notifiche e dei servizi INPS su App IO, piattaforma notifiche digitali);
• persone con disabilità (disability card, semplificazione del processo di riconoscimento dell’ invalidità civile e definizione agli atti della stessa);
• pensionati (domanda di reversibilità precompilata e automatizzata, consulente virtuale delle pensioni, PensAMi – servizio di informazione personalizzata per i pensionati, consulenza virtuale scenari pensionistici futuri);
• famiglie (portale delle famiglie, assegno unico);
• intermediari (COMBIPAT – servizi di comunicazione innovativa con gli Enti di Patronato, piattaforme uniche di comunicazione e condivisione per aziende e intermediari, HUB aziende);
• lavoratori (piattaforma unica CIG – servizi integrati e proattivi per l’accesso alle integrazioni salariali, reingegnerizzazione della NASpI e DIS-COLL, HUB occupabilità).

Tutto questo viene supportato da un rinnovato sforzo comunicativo, inteso a garantire un’informazione costante e aggiornata all’utenza su servizi e prestazioni. L’Istituto è intervenuto sia nella dimensione online sia in quella analogica, con ridenominazione dei servizi, aggiornamento del sito INPS, multilinguismo, campagne di comunicazione, ampiamento del bacino di utenza dei profili social istituzionali, nuove modalità di interazione diretta con l’utenza e monitoraggio del sentiment e della reputazione dell’Istituto nel web.

Sul fronte interno, il 2021 ha visto la valorizzazione della componente dell’ascolto delle sedi territoriali dell’Istituto, attraverso l’attivazione di un sistema strutturato di ascolto del Territorio che risponde all’esigenza di garantire il coinvolgimento mediante un’attività permanente, pianificata e governata con metodi oggettivi, generatrice di valore aggiunto, e di assicurare in concreto quel ruolo di raccordo tra le funzioni di indirizzo delle Direzioni centrali e le strutture del Territorio.

Infine, muovendo dalla consapevolezza che le tecnologie digitali stanno cambiando la vita delle persone, il loro modo di dialogare e di lavorare, l’INPS ha avviato il processo di Change management per accompagnare lo sviluppo delle risorse umane nella conoscenza degli strumenti e delle metodologie poste alla base della trasformazione digitale. Inoltre, negli ultimi due anni l’INPS ha ravvisato la necessità di arricchire il profilo professionale dei propri dipendenti e ha attivato diverse convenzioni con diverse Università Italiane per l’attivazione e/o la partecipazione dei propri funzionari a corsi di Master o Corsi di specializzazione in diverse aree disciplinari: Master di II livello “Esperto in mercato del lavoro e welfare” con l’Università di Roma Tre; Master di II livello “Management delle politiche sociali e previdenziali” con l’Università degli Studi di Milano; Master di II livello “Data Intelligence e Strategie Decisionali” con l’Università di Roma “Sapienza”; “Executive Master in Management delle Amministrazioni Pubbliche (EMMAP)” con l’Università Bocconi – SDA Bocconi School of Management; Master in “Trasformazione digitale” e in “Management of Research, Innovation and Technology (MIT)” con il Politecnico di Milano; Master in “Management e Politiche delle Pubbliche Amministrazioni (MAMA)” e corso di perfezionamento universitario in “Governo, Amministrazione Pubblica e Sviluppo delle competenze digitali” con la School of Government Luiss Guido Carli. Infine, sono in corso di definizione le convenzioni per la attivazione di un master in “Welfare: Fondamenti Teorici e Data Analysis” con l’Università degli Studi di Torino, e di un master in “Trasformazione digitale della pubblica amministrazione” e “Pratica manageriale pubblica” con l’Università di Napoli Federico II.

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Scarica PDF

Categoria news:
LANCIO D'AGENZIA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DELLA FONTE TITOLARE DELLA NOTIZIA E/O COMUNICATO STAMPA

È consentito a terzi (ed a testate giornalistiche) l’utilizzo integrale o parziale del presente contenuto, ma con l’obbligo di Legge di citare la fonte: “Agenzia giornalistica Opinione”.
È comunque sempre vietata la riproduzione delle immagini.

I commenti sono chiusi.