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LANCIO D'AGENZIA

GIORNATA AUTONOMIA TRENTINO: L’INTERVENTO INTEGRALE DEL PRESIDENTE DORIGATTI

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18.19 - martedì 5 settembre 2017

(Fonte: Consiglio provinciale Pat) – Signor Presidente della Provincia autonoma di Trento; Signor Commissario del Governo. Signor Presidente del Consiglio delle Autonomie locali; Signori Consiglieri; Autorità e gentili Ospiti, spetta tradizionalmente al Presidente del Consiglio provinciale il gradito compito di porgere a tutti Voi il più cordiale benvenuto, in apertura di questa cerimonia per l’annuale ricorrenza della “Giornata dell’Autonomia”.

Assillati dal lungo prolungarsi di una crisi di proporzioni continentali, siamo sempre più costretti a fare i conti con una sensazione diffusa di spaesamento, che incide sul quotidiano rendendoci tutti più incerti del presente ed ansiosi di leggere il futuro.

Si tratta di una sensazione che aggredisce tutti gli spazi del tessuto comunitario e che produce paure, dalle quali si generano reazioni di istintiva chiusura, riflettendo poi tali stati d’animo sul più vasto vivere comunitario, dove il soggetto sociale “noi” diventa sempre più il soggetto singolo “io.

I mutamenti rapidi del mondo, dettati dall’accelerazione dei processi tecnologici che rischiano di sfuggire al controllo democratico, ci impongono una nuova presa di coscienza, capace di spingere le nostre riflessioni ben al di là dei ristretti confini domestici, per ribadire che la nostra realtà provinciale non può essere disgiunta dal procedere della grande storia nazionale, europea e mondiale.

L’ uscita della Gran Bretagna dalle Istituzioni comunitarie; il diffondersi di nuovi nazionalismi segnati dal veto di pochi a danno del diritto di molti; le crescenti incertezze di fronte ai paventati irrigidimenti sulla libera circolazione di persone e merci, nonché la necessità di affrontare il nodo delle velocità alterne e diverse dentro l’Unione europea, costituiscono un’ormai evidente erosione dell’ideale unitario che ha consentito, fino ad oggi, il progresso delle patrie europee.

Se poi a ciò si aggiungono i grandi interrogativi sulla politica mondiale, ne emerge un quadro planetario che non conforta affatto e che deve impensierire anche le responsabilità politiche ed istituzionali di questa terra.

E’ insomma un tempo fragile, segnato anche da una crescita di singoli egoismi; una liquidità sociale che diluisce i valori ed i punti di riferimento; una continua richiesta di ritorno al localismo ed un forte appannamento della memoria storica del passato. Ciò produce, non solo disagio e senso di abbandono, ma anche ricerca di risposte facili ed immediate, come quelle offerte dalle ricette

populistiche e demagogiche che alimentano le paure, appellandosi a soluzioni miracolistiche, con lo scopo di amplificare la dimensione reale dei problemi.

Di fronte a questi scenari complessi e difficili, la politica non può essere chiamata a rivestire il ruolo delle lamentazioni o il più pericoloso compito dell’incendiario del malcontento. Ad essa spetta invece il faticoso dovere della ricomposizione del lacerato tessuto sociale e delle rappresentanze; della ricostruzione delle scale valoriali; del rafforzamento del dovere della memoria e della necessità dell’esempio retto, corretto ed onesto.

Ma per raggiungere tali obiettivi, la politica deve investire molto nella sua cultura, nella sua etica e nella sua capacità di comunicare.

Non la capacità degli slogan di comoda e redditizia presa, né quella della tecnologia che vende prodotti e frantuma le idee, bensì quella paziente del dialogo, del confronto, del valore del reciproco rispetto e dell’assunzione delle responsabilità.

E’ su questo terreno che la costruttiva esperienza dell’autonomia, come forma alta del governo responsabile e solidale di una data comunità, può rappresentare oggi un investimento per questo territorio.

Storie del confine e dell’incontro; mobilità delle persone e delle merci; agilità politica e volontà di sperimentazione fanno delle autonomie speciali uno strumento essenziale per la realizzazione concreta di quel pensiero regionalista, che è uno dei pilastri fondamentali del nostro sistema costituzionale e rappresenta la risposta più immediata di fronte alla lentezza complessiva delle culture burocratiche e stataliste che hanno rallentato le possibilità di crescita del Paese.

Più deleghe alle Regioni ed agli Enti territoriali, maggiore coinvolgimento delle periferie e diffusa cultura della responsabilità sono quindi i requisiti per qualunque dibattito di riforma dello Stato, come quello avviatosi recentemente anche con i referendum dei vicini Amici veneti e lombardi, ai quali guardiamo con positiva attenzione.

E’ in questa dimensione non localistica che si inserisce anche la riflessione aperta e democratica promossa dalla “Consulta per lo Statuto del Trentino Alto Adige/ Südtirol”, riflessione che ha prodotto una approfondita analisi sullo stato dell’attuale fase autonomistica e ha avviato un confronto con la comunità e tutte le forze politiche e sociali, siano esse di maggioranza come di minoranza, presenti in Consiglio provinciale e fuori da esso ed alle quali va un pensiero di sincera gratitudine.

Si tratta di un lungo e paziente lavoro di analisi e di indagine, volto a capire su quali direzioni ed in quali forme può e deve avanzare l’autonomia speciale negli anni che verranno.

Quasi parallelamente a quest’agire, si è sviluppato un percorso nella vicina provincia di Bolzano, che sembra aver trovato taluni ostacoli e difficoltà, originate forse anche da una eccessiva politicizzazione delle contrapposizioni, da una certa ricerca del consenso anche più estremo e da qualche punta di solitudine autoreferenziale, capaci di far prevalere alcune logiche della conservazione, sul più moderno linguaggio del dialogo e dell’incontro e facendo forse più appello agli egoismi che non ad un grande disegno di progresso comune.

La storia ci indica chiaramente come i momenti dello sviluppo maggiore di queste valli, furono e sono quelli della collaborazione, della sinergia e della fiducia, anziché quelli delle chiusure, del rifiuto e delle crescenti lontananze.

E’ la comune forza dell’autonomia che ci ha proiettati verso l’innovativa istituzione euroregionale, mentre il silenzio e la diffidenza reciproca hanno prodotto solo una scia di rancori ed hanno azzoppato il cammino di tutti.

Cinquant’anni fa queste valli erano scosse da fermenti drammatici e violenti, che aprivano stagioni irte di pericoli e di fratture. Solo la caparbia tenacia di veri statisti, come Silvius Magnago da un lato ed Aldo Moro dall’altro, consentirono di arginare ogni deriva nazionalista e di aprire una stagione segnata dalle comprensioni anziché dalle bombe.

E’ questa la lezione della storia che oggi non può e non deve essere dimenticata; una lezione che ci invita, a riannodare i fili di un confronto sereno, iniziando, ad esempio, dall’urgente necessità di stabilire le procedure dell’agire prossimo, per trovare una proficua intesa fra noi; per evitare rigide chiusure e “fughe in avanti”, giungendo, ad una condivisione estesa e moderna.

E’ con questo spirito che si è mossa la “Consulta”, aprendo una fase partecipativa attorno alla quale credo sia opportuno avviare una riflessione sul nostro territorio.

Non si tratta di giudicare alcunché, ma solo di riflettere attorno al comporsi dei processi di partecipazione che, pur essendo molto strutturati sotto il profilo della comunicazione e della conoscenza, non hanno prodotto quei livelli di partecipazione che si attendevano, confermando in ciò una sorta di “trend” della disaffezione all’autonomia, che già avevamo avuto modo di monitorare come carenza di una diffusa coscienza collettiva.

Storicizzare l’autonomia vuol dire renderla statica e ciò spinge anche ad uno smarrimento progressivo del “principio di responsabilità”, sul quale fino ad oggi

si sono fondate le ragioni dello sviluppo e che costituisce patrimonio fondamentale dell’etica dell’autonomia. E’ necessario rammentare come la deroga a quel principio comporta ricadute pesanti, non solo sul sistema valoriale, bensì anche sulla realtà sociale, come già sta avvenendo con segnali che preoccupano sia sul versante del sistema cooperativistico; sia su quello sociale e del Volontariato; sia, infine, su quello economico, finanziario ed imprenditoriale.

Mentre i soggetti paiono insomma più impegnati ad attribuire maggior valore alla sfera della propria indipendenza, che non a contribuire alla costruzione del domani di tutti, le prospettive vengono meno; i destini si fanno via via più opachi; e la coralità di questa terra si spegne, per lasciare il palcoscenico vuoto a qualche solista che prova a narrare la sua storia anziché quella comune.

E’ in questo crepuscolo; in questa sorta di dilagante decadentismo politico e sociale che l’autonomia fatica sempre più a trovare ragioni d’esistere; a marcare differenze; a farsi luogo dell’innovazione ed a recuperare quel suo tessuto morale che vedeva tutti i trentini protagonisti del loro tempo e del domani, senza mai lasciare nessuno un passo indietro.

Sollevare questa patina di apatia e di paure crescenti significa allora riprendere in mano il coraggio che fu dei padri dell’autonomia trentina e sudtirolese e rilanciare in avanti le urgenze del cambiamento, proiettando, in tal modo, l’autonomia e l’unicità dello Statuto sul fondale del futuro. Solo così si potrà potenziare il dialogo reciproco, nella consapevolezza che oggi l’intesa con Bolzano costituisce l’essenza di ogni priorità.

E’ in quest’ottica che si potranno immaginare anche ulteriori mutazioni dell’ente regionale, con il solo vincolo inderogabile dell’unicità dello Statuto d’autonomia, recuperando da un lato lo spirito che animò la nascita del secondo Statuto nei primi anni Settanta e dall’altro accogliendo, come viatico positivo, le recenti parole del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano in tema di autodeterminazione; parole importanti e con le quali si è definitivamente chiusa un’epoca ed aperta, al contempo, la strada per un dialogo fra noi che sarà possibile solo se, con senso di responsabilità, ognuno sarà pronto a fare un piccolo passo indietro, per poterne fare poi di molto grandi in avanti.

E’ in questa dimensione che auspico anche il superamento delle barriere linguistiche che tanto dividono e rendono faticosa la comprensione reciproca. Non è solo un problema di vocaboli, ma soprattutto di idee, di valori e di culture, nel solco di quella tradizione storica consolidata che vedeva nel bilinguismo degli abitanti di queste valli una risorsa collettiva e non un limite nazionalistico.

Ricordo ancora, con tenerezza e grande rispetto, un pensiero ricorrente di mia madre, nata nel 1910 e quindi allora cittadina dell’impero, la quale sosteneva che se qui si fosse continuato ad insegnare e parlare la lingua tedesca, ciò avrebbe rappresentato per ogni trentino una sorta di apertura di un conto in banca.

Oggi, a distanza di oltre un secolo, ritrovo in quelle semplici parole il senso di una verità che non è solo politica, ma anche sociale, culturale ed economica; una verità dalla quale il nostro domani non può prescindere. Grazie!

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