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GIORGIO TONINI * ORSI E LUPI TRENTINO: « SPETTA ALLE DUE PROVINCE GESTIRNE IN AUTONOMIA (CHE NON SIGNIFICA SOLITUDINE) LA PRESENZA, SULLA BASE DEI PRINCÌPI STABILITI DALLA DIRETTIVA HABITAT »

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11.00 - venerdì 31 luglio 2020

Testo fornito dal Consigliere Giorgio Tonini e oggi pubblicato dal “Foglio Quotidiano”.

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Il punto è che ci sono due punti fermi da riconoscere e rispettare, su orsi e lupi in montagna. Almeno se si vuole fermare l’attuale deriva antropomorfa, quella che sta trasformando i grandi carnivori in esseri razionali e moralmente responsabili. Per alcuni, orsi e lupi sarebbero “buoni”, addirittura eroici combattenti per la libertà. Per altri invece, sarebbero “cattivi” e dunque da imprigionare, giustiziare, “sterminare” ha detto qualche giorno fa un esponente della Lega Salvini Trentino, che ha invocato, testuali parole, la “soluzione finale”. Ormai funziona così, il dibattito pubblico, politico e mediatico: si prende un tema, lo si agita bene prima dell’uso e poi lo si serve bollente ad un pubblico indotto a formare sempre e comunque opposte tifoserie, in un trionfo di faziosità tanto più appagante, quanto più irrazionale, se non assurdo. Il dibattito pubblico, politico e mediatico, viene così occupato stabilmente dalla urlata contrapposizione tra opposte opposizioni, in perenne gara di estremismo, perlopiù, per fortuna, solo verbale. Nel frattempo, al governo ci sono i “tecnici”, a presidiare quel po’ che è rimasto del principio di realtà. E della nobile arte, e vitale funzione, del dialogo, della mediazione, in una parola della sintesi tra valori in conflitto e che devono invece incontrarsi, se vogliono intercettare la realtà e non fuggire in un mondo virtuale e immaginario.

Prendiamo allora il caso di orsi e lupi nella nostra montagna. Il punto, dicevo, è che ci sono due punti fermi da riconoscere e rispettare. Il primo, in punto di fatto. Il secondo, in punto di diritto.

In punto di fatto: le Alpi non sono le Montagne rocciose e il Trentino non è il Wyoming. A differenza di quanto avviene in quei paradisi americani, il nostro paradiso è infatti strutturalmente segnato dalla presenza umana. Nella nostra montagna più ammirata, non ci sono solo orsi e lupi, aquile e cervi, scoiattoli e trote. Ci sono anche masi e malghe, rifugi e funivie, sentieri e piste da sci, crocifissi e campanili. E ci sono le mucche, le pecore, le capre, i cavalli e i maiali. Ci sono i pascoli e i campi coltivati. Tante parole diverse, per dire che la nostra montagna è abitata, è frequentata, è plasmata e in definitiva coltivata, dall’uomo. Non solo un fatto, ma anche un valore: la presenza umana in montagna va sostenuta e salvaguardata, promossa e incentivata. Esserci riusciti, almeno in buona misura, è il principale risultato giustamente vantato dalle autonomie speciali di Trento e di Bolzano. Le quali, con crescente attenzione, hanno posto a tema anche la questione della sostenibilità ambientale, e dunque dei limiti, della presenza umana in montagna. Limiti a strade e traffico, a piste e impianti di risalita, all’edilizia e allo stesso turismo. La politica della montagna nostra è dunque una perenne ricerca di un equilibrio sempre precario tra ambiente naturale e paesaggio umano, tra sostenibilità ambientale e sviluppo economico e sociale. È in questo equilibrio, vitale e precario, che va affrontata la questione dei “grandi carnivori”. Se quasi trent’anni fa si è deciso di rimpinguare la presenza degli orsi in Trentino, allora ridotta a pochi esemplari condannati all’estinzione, è stato in nome di questo equilibrio. Che oggi va salvaguardato e coltivato, se vogliamo scongiurare gli opposti mali, da un lato dell’estinzione di specie pregiate, con conseguente impoverimento della biodiversità e dunque della qualità ambientale della nostra montagna; dall’altro di una spinta potente all’esodo dalla montagna, in particolare delle attività agricole e zootecniche, col conseguente spopolamento e snaturamento della montagna stessa.

Ed ecco allora il secondo punto, in punto di diritto: il bene da tutelare sono le specie a rischio, non i singoli individui, che non sono né buoni né cattivi, semmai problematici, magari perché venuti in contatto troppo ravvicinato con la presenza umana. Le comunità autonome di Trento e di Bolzano, da sempre custodi dell’equilibrio tra ambiente naturale e paesaggio umano, hanno rivendicato il diritto-dovere di presidiare in modo diretto la delicata gestione dei grandi carnivori. Lo hanno fatto con due leggi provinciali parallele. Quella trentina, voluta nel 2018 dall’allora presidente, l’autonomista Ugo Rossi, sostenuto da una coalizione di centrosinistra, autorizza il presidente della Provincia autonoma a disporre “il prelievo, la cattura o l’uccisione (di orsi e lupi), a condizione che non esista un’altra soluzione valida e che il prelievo non pregiudichi il mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente della popolazione della specie interessata nella sua area di ripartizione naturale”. L’intervento deve essere motivato “per prevenire danni gravi, specificatamente alle colture, all’allevamento, ai boschi, al patrimonio ittico, alle acque e ad altre forme di proprietà, per garantire l’interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”. La legge trentina si inserisce così nel solco della direttiva europea Habitat del 1992 e rivendica per la Provincia autonoma le funzioni che la direttiva assegna agli Stati. Il governo giallo-verde Conte1 impugnò la legge, ma la Corte costituzionale, con la sentenza 215 del 2019, ha dato ragione in pieno a Trento e Bolzano.

Dunque spetta alle due province gestire, in autonomia che non significa solitudine, la presenza di orsi e lupi. Sulla base dei principi stabiliti dalla direttiva Habitat: salvaguardia delle specie e dell’equilibrato rapporto con la presenza umana. Un compito non facile, che per essere assolto richiede a tutti serietà e senso della misura. E un dibattito pubblico degno di un paese maturo.

 

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Giorgio Tonini, consigliere regionale e provinciale del Pd in Trentino

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