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LANCIO D'AGENZIA

FORUM DELLA MERITOCRAZIA * PREMIO VALERIA SOLESIN: « SONO 3 I RAGAZZI PREMIATI DELL’UNIVERSITÀ DI TRENTO, SERENA VITALE / ANNA ZAMBERLAN / EDOARDO SICILIANO »

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10.24 - giovedì 28 novembre 2019

La Microsoft House, sede milanese di Microsoft Italia, ha ospitato stamane l’evento conclusivo della terza edizione del Premio Valeria Solesin, concorso rivolto a studentesse e studenti di 35 tra le più prestigiose Università italiane, pubbliche e private, ispirato agli studi della giovane ricercatrice veneziana, tragicamente scomparsa nell’attentato al teatro Bataclan di Parigi del 13 novembre 2015.

3°edizione del Premio Solesin. Sono 3 i ragazzi premiati dell’Università di Trento (Facoltà di Sociologia ed Economia).

Serena Vitale con una tesi comparativa sui modelli di congedo parentale Italia/Germania
Anna Zamberlan con una tesi sulle disuguaglianze di genere e classe sociale nei contesti istituzionali
Edoardo Siciliano con una tesi sulla presenza femminile nelle aziende familiari

Presente Luciana Milani, mamma di Valeria Solesin

Il premio, promosso da Forum della Meritocrazia e Allianz Partners, e realizzato con il Patrocinio del Comune e della Citta Metropolitana di Milano, è un riconoscimento alle tesi che hanno saputo indagare con sguardo originale e innovativo al tema de “Il talento femminile come fattore determinante per lo sviluppo dell’economia, dell’etica e della meritocrazia nel nostro paese”.

Dodici i vincitori di questa edizione, i cui lavori sono stati selezionati dal Comitato Scientifico su 46 candidature pervenute da tutta Italia. Otto le tesi vincitrici che hanno affrontato argomenti di natura sociale, di politica pubblica e istituzionale, focalizzando l’attenzione su temi come stereotipi di genere, diseguaglianze nella rappresentanza e confrontando diversi modelli di empowerment femminile nei paesi europei. I restanti quattro vincitori hanno invece analizzato l’impatto del talento femminile nel mondo dell’imprenditoria e nelle performance aziendali, con uno sguardo anche al doppio ruolo delle donne, divise fra famiglia e lavoro.

“Ancora una volta l’entusiasmo, l’impegno e la passione di tante ragazze e ragazzi ha fatto del Premio Valeria Solesin un successo. Leggere nei loro lavori non solo la speranza, ma la visione e il progetto di un futuro libero da pregiudizi e diseguaglianze, dove il talento femminile trova modo di esprimersi in ogni campo, a vantaggio di tutti, è un’incredibile iniezione di fiducia e una formidabile spinta ad andare avanti su questo percorso”, ha dichiarato Paola Corna Pellegrini, Amministratore Delegato di Allianz Partners, Vice Presidente del Forum della Meritocrazia e ideatrice del Premio. “L’impatto di iniziative come questa, che mettono a fattor comune le energie di istituzioni, aziende, associazioni e mondo accademico, costituisce linfa vitale per quel profondo cambiamento culturale necessario per la valorizzazione dei talenti e l’affermazione del merito al di là di ogni stereotipo o pregiudizio. “ Un grazie particolare va oggi a Luciana Milani, madre di Valeria, che ancora una volta ci onora della sua presenza, della sua testimonianza e del suo sostegno, così come ai tanti protagonisti, pubblici e privati, che anche in questa terza edizione non hanno fatto mancare il loro impegno sincero”.

La terza edizione del Premio Valeria Solesin è sostenuta da Allianz Partners, promotrice dell’iniziativa, insieme a MM, Sanofi, Pomellato, SAS, Suzuki, Boscolo, EY, Lablaw, A&A Studio Legale, Associazione Italiana per gli Studi di Popolazione (AISP) della Società Italiana di Statistica (SIS) e TRT Trasporti e Territorio.

La Cerimonia di Premiazione è stata organizzata in collaborazione con Microsoft e sponsorizzata da Fondazione Cariplo, 30% Club e Winning Women Institute..

Forum della Meritocrazia
Il Forum della Meritocrazia è un’associazione no-profit fondata nel 2011, che ha l’ambizione di rendere l’Italia una comunità meritocratica in cui i valori del merito, distinguibili nell’eguaglianza delle opportunità e nel riconoscimento dei meriti individuali, siano pienamente condivisi e praticati www.forumdellameritocrazia.it

Allianz Partners
Allianz Partners è leader mondiale nell’assicurazione e assistenza B2B2C, specializzata in assicurazione Viaggio, International health & Life, Automotive e Assistance. Allianz Partners offre soluzioni globali in oltre 76 Paesi, ridefinendo il significato di aiuto e andando oltre l’assicurazione tradizionale, aiutando e proteggendo i clienti ovunque si trovino e nel momento in cui hanno bisogno. Per farlo ci avvaliamo dei nostri esperti, con prodotti e servizi innovativi, con soluzioni High-Tech e High-Touch pronte per il futuro. I nostri 21.500 dipendenti parlano 70 lingue e gestiscono oltre 65 milioni di casi ogni anno, motivati ad andare oltre ogni limite per aiutare e proteggere i clienti e i dipendenti in tutto il mondo.
In Italia Allianz Partners opera con il marchio commerciale Allianz Global Assistance ed è presente con le due sedi di Milano e Casarano, con oltre 750 collaboratori, di cui oltre 220 nel Contact Center e 260 nella Centrale Operativa, che supportano quotidianamente i nostri clienti, 24h/24 per 365 giorni l’anno, gestendo complessivamente più di 5,6 milioni di chiamate e circa 600 mila casi all’anno.

 

 

 

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MATILDE CRISI
Università La Sapienza – Roma
Corso di Laurea in Sociologia
Tesi: Donne e rappresentanza politica . Una ricerca valutativa sull’efficacia e l’impatto delle normative introdotte per l’equilibrio di genere nei comuni italiani

Il tema della parità tra donne e uomini, centrale nel dibattito pubblico globale da più di un secolo, rivela ancora oggi forti disparità che vedono le donne sottorappresentate, soprattutto nei ruoli apicali. L’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) ha elaborato un indice che misura, attraverso la combinazione di domini diversi, il divario tra donne e uomini nei singoli paesi europei. I risultati mostrano una netta disparità quasi ovunque e l’Italia si colloca al di sotto della media, nonostante i progressi compiuti negli ultimi 10 anni.

Le quote di genere sono lo strumento più diffuso globalmente per ridurre la disparità tra donne e uomini, ma sono spesso oggetto di critiche. Pur agendo con efficacia sul numero di donne e uomini che ricoprono determinati ruoli, non garantiscono un equilibrio reale.
Partendo da questo argomento controverso, la tesi si configura come ricerca valutativa che integra tecniche quantitative e qualitative, volte a indagare gli effetti diretti e indiretti, attesi e inattesi, delle leggi n. 215/2012 e n. 56/2014, introdotte in Italia con lo scopo di aumentare la presenza femminile all’interno degli organi collegiali di governo locale, attraverso l’adozione di quote di genere nella composizione delle liste elettorali e delle giunte comunali.

Gli obiettivi della ricerca oggetto di questa tesi comprendono: valutare l’efficacia e l’impatto delle normative; individuare i contesti in cui risultano maggiormente efficaci; comprendere i meccanismi che si attivano parallelamente all’aumento della presenza femminile nella rappresentanza politica; individuare gli elementi che ostacolano o favoriscono la presenza femminile nelle cariche apicali; elaborare suggerimenti utili a raggiungere un maggiore e migliore equilibrio di genere. La ricerca è stata sviluppata attraverso 3 fasi:

1. una ricerca di sfondo che, attraverso lo studio e l’analisi di fonti di informazione secondaria, ha permesso di delineare il quadro contestuale e normativo;
2. un’analisi quantitativa di dati secondari, finalizzata a ricostruire l’andamento della distribuzione di genere tra le candidature, tra le cariche elettive e all’interno delle giunte prima e dopo l’introduzione delle normative;
3. una fase qualitativa realizzata attraverso interviste focalizzate a testimoni privilegiati, ovvero donne che ricoprono le cariche di Sindaco, Vicesindaco o Assessore in alcuni comuni selezionati, che hanno consentito di arricchire e completare i dati emersi durante le fasi precedenti.
Le esperienze delle amministratrici locali, emerse nella fase finale, aiutano a comprendere i passi compiuti e quelli da compiere affinché nel nostro Paese ci sia più equilibrio tra donne e uomini. L’individuazione di buone prassi, intese come esperienze innovative ripetibili, si configura come attività intrinseca della valutazione stessa e permette di esprimere raccomandazioni finalizzate a implementare e affinare le azioni orientate all’equilibrio di genere.
Le normative introdotte sono state quantitativamente efficaci: è aumentato il numero di candidature femminili, così come la presenza di donne sia nei consigli che nelle giunte comunali.

Lo stesso non si può dire dal punto di vista sostanziale, a tal proposito le interviste hanno evidenziato come ci sia ancora molta strada da compiere. La conciliazione tra vita politica, familiare e lavorativa è l’impedimento più duro che quasi tutte le donne incontrano ed è spesso dovuto alla carenza o assenza o eccesiva dispendiosità dei servizi a supporto di madri e famiglie. Inoltre, la componente del pregiudizio e della discriminazione risulta molto consistente, soprattutto laddove la cultura è più tradizionalista. Le donne faticano a emergere, non si sentono ascoltate a sufficienza e devono fare i conti con deleghe di basso rilievo o alle quali è stato assegnato un budget particolarmente ristretto. Al contrario, nei contesti più virtuosi, l’ingresso di un maggior numero di donne in politica ha favorito il riconoscimento di singole specificità e la valorizzazione di caratteristiche eterogenee e complementari, utili a garantire un miglior sviluppo della comunità.
Perché si facciano altri passi avanti è importante sfruttare al meglio le risorse disponibili, cercando di puntare di più sulla formazione e la sensibilizzazione relativamente a questo tema delicato.
Inoltre, e questo vale per le donne in politica che per le donne lavoratrici, è necessario garantire servizi più efficienti e accessibili, che consentano a tutte di conciliare la vita privata con quella pubblica e quindi di avere realmente le stesse opportunità dei colleghi uomini di essere parte attiva di una società in continua evoluzione. Non può esserci equità finché i ruoli di rappresentanza non sono parimenti accessibili.

 

 

 

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SERENA VITALE
Università degli Studi di Trento
Corso di Laurea in Sociologia
Tesi: Family and Leave Policy Models in a European Comparative Perspective: Converging and Diverging Paths in the Italian and German contexts

In diversi Paesi del contesto europeo profonde disparità permangono tra donne e uomini nella suddivisione del lavoro retribuito e non retribuito, poiché alle donne viene ancora tradizionalmente attribuita la totale (o quasi) esclusività delle responsabilità di lavoro familiare. Ciò incide inevitabilmente sia su di una differente partecipazione nel mercato del lavoro, sia sulla qualità stessa delle traiettorie di vita familiari e lavorative che le madri si troveranno ad affrontare durante l’arco della loro vita. È questo il motivo per cui, negli ultimi decenni, sempre più Paesi hanno deciso di implementare e dare rilevanza a tutte quelle politiche orientate alla conciliazione di lavoro e genitorialità, al cosiddetto Work-Life Balance.
Il lavoro della mia tesi magistrale si inserisce in questo contesto, ponendosi come obiettivo principale quello di esaminare una di queste politiche di riconciliazione – i congedi parentali – dapprima da una prospettiva europea, e poi focalizzandosi sulla regolamentazione e utilizzo degli stessi in due Paesi specifici dell’Unione: Italia e Germania. Uno studio comparativo tra questi due Paesi si è reso possibile grazie al fatto che entrambi hanno condiviso, a partire dal II dopoguerra del secolo scorso, evidenti similarità nei rispettivi tradizionali modelli di famiglia – incentrati sul cosiddetto “male-breadwinner/female-carer model” (Crompton, 1999) – e in un welfare state poco attento e poco sostenitore delle esigenze genitoriali.

Dalla metà degli anni 2000, tuttavia, un “paradigmatico cambiamento politico” (Seeleib-Kaiser, 2010) ha investito la politica familiare tedesca, e misure più egalitarie e ispirate al modello dei Paesi scandinavi sono state programmate e avviate. In particolar modo, un’incredibile espansione nei servizi per la prima infanzia (a partire dal 2005) ed una riforma radicale delle politiche di congedo parentale (2007, e 2015) hanno rivoluzionato i tradizionali schemi della politica familiare tedesca. Di contro, la politica familiare italiana continua ad apparire ancora marginale, frammentaria e molto divisiva tra le differenti forze politiche.
La tesi è suddivisa in tre sezioni principali: la prima, più introduttiva, fa riferimento alle più importanti e recenti Direttive europee elaborate sul tema e all’impatto che differenti tipologie di politiche di congedo producono sull’occupazione femminile. La seconda parte esamina, invece, riferimenti storici ed i rispettivi quadri istituzionali e normativi in cui si inseriscono le politiche familiari di Italia e Germania. Infine, nell’ultima parte, la più prettamente empirica, vengono analizzati e rielaborati i dati sull’utilizzo dei congedi estrapolati principalmente dai database INPS per il contesto italiano e DESTATIS per quello tedesco, con specifica attenzione alle differenze di genere e area territoriale. Viene, inoltre, in questa parte considerata la dimensione organizzativa, al fine di comprendere il ruolo che anche le organizzazioni possono avere nell’armonizzazione di vita familiare-lavoro e nella promozione dell’eguaglianza di genere.
L’obiettivo finale è quello di evidenziare i principali limiti a livello legislativo e di welfare aziendale nei due contesti, per delineare infine specifiche proposte che possano rendere più agevole la conciliazione di lavoro e genitorialità, al fine di incoraggiare un maggiore coinvolgimento dei padri, incrementare l’occupazione femminile e un riequilibrio dei compiti di cura tra madri e padri.
Aspetti salienti che emergono dalla comparazione riguardano evidenti differenze di genere e territoriali che continuano a persistere nei due Paesi, seppure con ‘intensità’ differenti, specialmente in relazione all’utilizzo dei congedi tra donne e uomini, ma anche tra donne del nord e del sud Italia e dell’est e ovest in Germania.

In generale le madri continuano ad essere responsabili primarie della cura dei figli, sebbene il numero dei padri che decide di prendere il congedo sia in continuo aumento, specialmente in Germania. Eterogeneità territoriali riguardano anche la disponibilità di servizi per la prima infanzia nella fascia 0-3 anni: mentre i servizi socio-educativi per questa fascia di età appaiono estremamente diffusi nella Germania Est (51,5%), data l’eredità dell’assetto politico socialista, e relativamente diffusi nelle regioni italiane del nord (17,9%), meno diffusi risultano in Germania Ovest (29,4%) e Sud Italia (5,1%), con regioni come la Calabria che ha raggiunto nel 2014 il record negativo di bambini di età inferiore ai 3 anni in servizi socio-educativi pari all’1,2%.
Citando una delle azioni che possono incentivare la tutela delle pari opportunità tra donne e uomini nel contesto italiano, si ricorda la necessità fermare il continuo cambio di regole del congedo di paternità: solo elaborando misure che siano strutturali e di lungo termine sarà possibile ottenere un impatto significativo sul complessivo utilizzo da parte dei padri dei giorni a loro dedicati.

 

 

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CARMELA ACCETTURA
Università Luigi Bocconi – Milano
Corso di Laurea Magistrale in Economia
Tesi: Mayor’s gender and the political business cycle: evidence from Italian municipalities
La tesi di laurea dimostra che una maggiore presenza di sindaci donna nelle amministrazioni italiane si traduce in una minore incidenza del fenomeno dei “political business cycles” (PBC). Tale fenomeno si riferisce ad uno stimolo dell’economia prima delle elezioni, in questo caso operato attraverso un aumento della spesa pubblica, per migliorare le prospettive di rielezione del sindaco in carica o dei candidati da lui favoriti. I PBC possono essere interpretati come politiche di breve termine, con uno stampo chiaramente strategico.

La tesi è rilevante per lo studio dell’impatto socio-economico della presenza femminile nelle istituzioni pubbliche, settore ancora a forte predominio maschile, per le ripercussioni negative che queste tattiche possono avere. Un aumento temporaneo della spesa ai soli fini elettorali può impattare in maniera dannosa sulla potenziale crescita dell’economia nel lungo termine per due motivi principali:
• Per loro stessa natura, i PBC sono circoscritti al periodo che precede le elezioni, e vengono abbandonati dopo la competizione elettorale. Di conseguenza, considerando anche la presenza di regole sulla disciplina fiscale e di bilancio, dopo la competizione elettorale sarà spesso necessario ricorrere a dannosi tagli della spesa e/o ad un aumento delle entrate a carico dei residenti.

• in linea con la notevole letteratura esistente sui PBC, la tesi mostra come la spesa venga strategicamente aumentata per politiche dal forte impatto visivo e che generano un consenso diffuso nell’elettorato. E’ il caso di politiche che aumentano la spesa per la manutenzione del verde pubblico e la valorizzazione dell’ambiente naturale, la pulizia di strade e piazze e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, così come le spese per il turismo e quelle per le infrastrutture stradali. Un aumento della spesa in questa direzione favorisce l’immagine di un paese pulito e ben curato, ma i cui effetti sono limitati al periodo pre-elettorale. Dirottare la spesa su queste voci alla sola vigilia delle elezioni significa sacrificare altre spese che, per loro natura, possono non avere un effetto immediato e/o un forte impatto visivo, ma che migliorano il benessere collettivo in una prospettiva più a lungo termine. Tra queste, si pensi alle spese per l’istruzione e per la cultura, alle spese sociali per famiglie, minori, anziani e per il sostegno ai soggetti a rischio esclusione sociale, e alle spese per lo sviluppo delle attività produttive cittadine, per promuovere l’occupazione e la formazione professionale.

 

 

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ELISA ROMITO
Università degli Studi di Padova
Corso di Laurea in Statistica
Tesi: Familism, gender ideology, women’s education and fertility: a multilevel approach
The theme low fertility in industrialized countries is a complex issue that is attracting increasing interest from scholars. This problem is linked to the issue of female increase of education and labor market participation. Children-work reconciliation is not always easy or possible and for this reason there has been a sharp decline in births in recent decades.

For a long time the correlation between fertility and female education (and female participation in labor market) has been negative. In recent years we are witnessing an inversion of this trend. In countries with higher rates of female employment there is also greater fertility, while in countries where women work less, fertility rates are also low (Engelhardt, Prskawetz, 2002): trying to understand the reasons of fertility trends, we should consider female education and the participation of labor markers, along with other macro factors.
In particular, we have shown that gender equality and familism are two key ingredients to explain divergences in fertility trends in industrialized societies. Our hypotheses are:
Hyp 1: high levels of gender equality moderate the decline in fertility when women’s education increases

Hyp 2: high levels of familism emphasize the decline in fertility when women’s education increases.
They are based on the idea that the specific cultural traits are important for explaining the different fertility trends as female education expands. The first hypothesis means that as, female education increases, the decline in complete fertility is more precipitous in contexts characterized by low levels of gender equality (ie where men are not very involved in taking care of children and household chores), while the decline in fertility due to the increase in female education is more moderate in contexts with high levels of gender equality: thanks to the greater involvement of men in family life, it is easier for women to be working mothers.
In the analysis of the relationship between familism and completed fertility, we expect that high levels of familism are associated with greater fertility where the level of women’s education is low, since in these societies women are more likely to not work and they can spend all their time on unpaid household work and on family-related activities “in the best way”. At the same time, we expect that the decline in fertility when the level of women’s education increases is accentuated where the level of familism is higher: in these societies there is a greater number of working women, but high levels of familism are associated with a high parenting ideal and with a difficulty in outsourcing traditional care activities, so reconciling work and family life becomes problematic.
We test our hypothesis using the World Values Survey and the European Values Study. We carry out a 3-level (country, birth cohort and individual) Poisson regression model, which take in account the nested structure of these data. With a multilevel approach we are able to get with the micro-macro nature of our research and to capture how the variation in contextual measures of women’s cohort education, gender equality and familism may be associated to individual-level fertility.

Trying to measure the level of familism and gender equality within the countries, we rely on a series of questions on values: we selected questions that can be suitable to measure familism and gender equality and, after calculating the scores of the various countries in these single dimensions (using respondents of all ages), we have built our factors using factor analysis.
As control variables at the individual level we have considered variables that could provide alternative explanations for fertility: sex, age, religiosity and a set of dichotomous variables for survey waves.

Our empirical analysis provides support to our theories, and we have find that our key results are robust even after considering a narrower age range (individuals aged 50 or more). In particular, we found a positive and statistically significant cross-level interaction between the degree of expansion of women’s education and the contextual level of gender equality, and we found a negative and statistically significant cross-level interaction between the degree of expansion of women’s education and the contextual level of familism.
Despite our work has some limitations, the novelty of this thesis is that is the first time that change of women’s education on fertility has been studied in connection with gender equality and familism, and this must be considered an innovative contribute to explain fertility divergences in industrialized countries. Moreover, we have considered questions related to values, not to behaviors, since our interest lies in studying how different cultural traits (familism and gender equality) within countries influence fertility in relation to structural changes (degree of female education), and we discovered that values matter and they influence the structural changes.

 

 

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ANNA ZAMBERLAN
Università degli studi di Trento
Corso di Laurea in Sociologia
Tesi: A way out of the gender-class inequality trade-off? A longitudinal analysis of gender and class income inequality in different institutional contexts.

Nowadays, it is widely accepted that social inequalities, especially if gender-related, must be fought. There also exists extensive evidence that individuals, families, and the whole society would benefit from higher levels of equality (see, e.g., Dotti Sani & Scherer, 2018; Korpi et al., 2013). Not surprisingly, in the last decades, we assisted to a growing attention to the concept of gender inequality, its consequences, and the debate about possible tools to decrease it. In most national contexts, this has led to the proliferation of policy measures with the specific aim to enhance gender equality.
However, a more recent development in the inequality literature concerns the interplay between gender and class within various contexts. Economists have underlined the positive impact exerted by policies reducing class inequality on gender equality (Blau & Kahn, 2003). On the other hand, some sociologists have argued in favour of a trade-off between gender and class inequality (Cooke, 2011). Still other scholars have focused on the stratified effects of gender egalitarian trends (Esping-Andersen, 2016; Grotti & Scherer, 2016).

The relevance of the relationship between gender, class, and other dimensions of stratification, as well as the still inconclusive results of the relatively few works on the topic, motivate different research questions. Since income still represents a strong precondition to access wealth and a spectrum of different opportunities (Grusky & Weisshaar, 2018), the analysis is focused on income inequality. At the macro-level of investigation, the aim is that of understanding if there is evidence of a trade-off between gender and class income inequality, and whether it depends on the macro-institutional context. In order to take into account the changes contemporary societies are witnessing, the aim is also that of analysing what are the consequences of increases in macro-level gender equality and whether they are stratified, specifically by educational level.
EU-SILC panel data (2005-2015) are used for the construction of the main individual-level dataset; pooled EVS-WVS, ESS, OECD and aggregate Eurostat data are used for the construction of macro-level indexes of gender equality. The analysed countries are Austria, France, Greece, Ireland, Italy, Spain, Sweden, and United Kingdom.

The first step of the analytical strategy consists in “mapping” gender and class wage inequality, operationalized by means of gender and class coefficients saved from OLS regression analyses predicting personal wage. Regressions are weighted by the inverse probability of being employed, in order to control for possible selection bias. Then, a confirmatory factor analysis is conducted in order to build separate indexes of macro-level gender equality, capturing the structural, welfare spending, and attitudinal dimensions of the concept. Finally, two-step multilevel analyses and hybrid panel regression models predicting gender and class wage inequality are performed to test the effects of gender egalitarian trends, also in interaction with level of education.

At the macro-level of investigation, no unambiguous empirical evidence is found in favour of a trade-off between gender and class income inequality in European societies. Indeed, countries seem to be either equal or unequal in both the considered dimensions. Results also suggest that increases in structural gender equality are effective in reducing gender wage inequality. However, this seemingly linear and optimistic scenario (from a policy perspective) turns out to be more articulated and contradictory at a more detailed level of analysis. In fact, the positive impact exerted by increases in structural gender equality appears to be solely driven by highly-educated respondents, while the lower-educated ones experience a worsening of gender wage inequality as structural macro-level gender equality increases. The same bi-directional effect is also found to be exerted by increases in macro-level attitudinal gender equality. To put it differently, a trade-off between different types of inequality, not emerging at the macro-level of investigation, clearly appears when looking at the interaction between inequalities. In particular, educational level emerges as a crucial stratification variable for what the impact of gender egalitarian trends is concerned: not all educational groups (of women) benefit from more gender equality. These results raise concern as to whether gender egalitarian trends might hide a perverse effect for the more disadvantaged social categories. Therefore, it is crucial to more explicitly investigate which policies and changes affect what types of women, thus taking into account the interaction (i.e. the intersection) between different dimensions of stratification, in order to avoid enhancing social polarizations.

 

 

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ESTER FANELLI
Università Luigi Bocconi – Milano
Corso di Laurea in Economia
Tesi: The Second Half of the Gender Revolution: Equality at Home and Reversal in Fertility Decline

As the population entered the twenty-first century, the well-established negative relation between fertility and development reversed: indeed, countries at very high levels of development are now experiencing a renewed increase in fertility. Recently, attention has been given to the ongoing process of the Gender Revolution to understand this previously unexpected demographic pattern. During the last century, advanced societies have achieved higher levels of gender equality in the public sphere, with women entering the worlds of education and job market: this first half of the Gender Revolution can be reasonably considered to have stressed family life and caused a decline in fertility, since women found themselves bearing the double burden of work and family. At more advanced levels of development, the Gender Revolution is reaching its second half, with the entrance of men into the private sphere: men’s involvement in family life can help women to reconcile work and family, allowing couples to have more children.

Using the two-waves panel data of the Generations and Gender Survey, I perform logistic regressions to analyse the effect of man’s involvement in both housework and childcare activities on the likelihood of a new birth within a couple, considering individuals coming from six European countries (Bulgaria, Czech Republic, France, Hungary, Poland and Russia). Controlling for the partners’ fertility intentions and other socio-economic characteristics, I find that father’s participation in childcare during the first wave significantly increases the likelihood of a couple having a child between the two waves, for both female and male respondents. I find instead that man’s involvement in housework tasks significantly increases the likelihood of a new child only when the female respondent has already two or more children or when she works more than 30 hours per week. I find no significant effect of man’s involvement in housework for the subsample of male respondents. This gender differentiated result may be explained by the fact that men and women have a different perception about their contribution to domestic activities and

the increase involvement of the man in housework activities may be seen as an additional cost by the man and as a benefit by the woman.
Then, I analyse two further mechanisms that could be important in determining the relation between father’s participation in family life and fertility: unfulfilled expectations and partnership quality. Unfulfilled expectations about gender roles may arise from the inconsistency between the gender attitude of the respondent and the actual behaviour of the couple. Results show that couples with both an egalitarian attitude and behaviour in housework tasks are more likely to transition to a new child with respect to both traditional couples and couples which present an inconsistency between attitude and behaviour. This effect is particularly strong for the transition to a second child. However, the effect of couple typologies disappears when controlling for the respondent’s fertility intentions, showing that unfulfilled expectations mainly influence the individual’s intention to have children. Finally, I find evidence of a positive relation between father’s involvement in family life and partnership quality, the effect being stronger and more significant for man’s participation in childcare with respect to housework activities. Since couples need to reach a certain level of partnership satisfaction in order to decide to have a child, I assume that this is a further channel through which gender equality at home may positively impact fertility.

The transition towards the “double earner – double homemaker” family model must be sustained by a cultural and institutional renovation, which is favoured by the adoption of policies that encourage men’s participation in family life (such as exclusive paternity leaves) and that help reconciling work and family (such as flexible work arrangements for both women and men). This new family equilibrium could reverse the decline in fertility and bring happier family and individual lives, by relieving women from the double burden of work and family and by improving partnership satisfaction.

 

 

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EDOARDO SICILIANO
Università degli Studi di Trento
Corso di Laurea in Economia

Tesi: DONNE E PERFORMANCE: LA LEADERSHIP FEMMINILE NELLE FAMILY BUSINESS
Il “gap” letterario e la domanda di ricerca.
Nel processo di revisione della letteratura relativa al rapporto tra figure femminili e mondo aziendale è emersa un’evidente lacuna per quanto riguarda uno specifico tema che si inserisce nell’ambito delle principali analisi di performance aziendali: il legame tra figure femminili in posizioni di vertice aziendale (CEO e CdA) e la performance aziendale delle Family Business.
L’obiettivo del presente lavoro di ricerca può essere sintetizzato come segue: «analizzare l’esistenza o meno di una relazione lineare tra la redditività delle imprese e la presenza delle figure femminili nelle posizioni apicali aziendali (CEO e CdA), distinguendo tra Family Business e Non Family Business».

Metodo e risultati
Per studiare questo fenomeno, viene utilizzata una metodologia di ricerca mista, basata su un’analisi quantitativa di un campione di riferimento e su un’analisi qualitativa con interviste ad esperti del settore. La combinazione di tendenze statistiche quantitative generalizzabili, e la profondità di comprensione disponibile per le tecniche di ricerca qualitativa, crea uno strumento di ricerca più forte rispetto a quello che può fornire un singolo tipo di dati (Bryman, 2006).
Output dell’analisi quantitativa
L’output dell’analisi statistica sul campione di riferimento ha evidenziato una generale assenza di correlazione lineare nelle Family Business tra i risultati di performance aziendali, espressi tramite gli indicatori economici ROI, ROS e ROE, e la presenza di donne in ruoli di leadership (CEO e CdA).
La tabella sottostante riassume i risultati di correlazione lineare, espressa con il calcolo dell’indice di correlazione R tra la performance (ROI, ROS e ROE) e la presenza di donne in posizioni apicali aziendali (CEO e CdA).

Il grafico sottostante, invece, riporta a titolo di esempio, le rette di regressione utilizzando l’indicatore ROI e la percentuale di donne nel CdA, distinguendo le aziende del campione tra Family Business e Non Family Business (tale analisi è ripetuta per gli indicatori ROS e ROE).

La tabella evidenzia una correlazione molto debole (0,140) ma, tracciando le due rette di regressione lineare separatamente tra Family e Non Family Business, si può notare una retta piuttosto flat nel primo caso e una inclinata positivamente nel secondo. Quindi sembra che la presenza femminile nel CdA non abbia una relazione diretta con la performance nelle Family Business.
Output dell’analisi qualitativa
Si è ritenuto opportuno completare lo studio con una breve intervista a due imprenditrici italiane che rivestono ruoli di rilievo in associazioni per la difesa dell’imprenditoria femminile: Daniela Bandera, Presidentessa Nazionale di EWMD e Valeria Giaccari, Presidentessa del Comitato per la promozione dell’Imprenditorialità femminile dell’istituzione camerale di Roma.
Emerge la difficoltà per le donne di accedere a posizioni di vertice, anche nelle Family Business: spesso le scelte della proprietà sono guidate dal pregiudizio, o dalla consuetudine, e si privilegiano i figli maschi. Ma se questo è da una parte vero, risulta altresì che, “nel fare business, le aziende scelgono in base alle competenze, all’efficienza e all’efficacia dei servizi offerti”. Nel lungo termine, dunque, avere le giuste competenze e la giusta professionalità permette comunque di emergere, prescindendo dal genere.

Conclusioni
L’interpretazione dei risultati non è immediata, né scontata. In molti casi la letteratura accademica sostiene che alcune attribuzioni tipicamente femminili fungano da ostacolo per la redditività delle aziende: tale aspetto, calato nel contesto delle Family Business, pare essere parzialmente smentito dagli esiti del presente lavoro di ricerca. Risulta infatti un “effetto mitigatore” della presenza femminile nella performance delle Family Business: dove la performance è positiva, sembra essere meno positiva e dove è negativa, sembra essere meno negativa.

 

 

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MARGHERITA ROBBIANO
Università Luigi Bocconi – Milano
Corso di Laurea in Economia
Tesi: Different approaches toward gender diversity in European boards
Many European countries have been introducing different measures to improve gender diversity at companies’ top levels. Using a sample of Italian, English and German listed companies, we present which impact different approaches toward gender diversity in boards of directors have on companies’ performance. In 2011 Italy introduced mandatory gender quotas. Only in 2015, Germany followed this example. In United Kingdom, non-mandatory recommendations were announced in 2011. Comparing firms before and after the reform, we demonstrate that quotas are linked with a greater share of women. We then assess whether the share of women instrumented by the reform has an influence on our performance measures. We are able to state that quotas are a valid instrument to predict the share of women in the board and we find a significant and positive impact on firms’ results when considering both profit margin and ROE as measures of performance. In order to have more robust results, we also use a difference-in-difference estimation and a semi-parametric analysis. Not only our results let us exclude the existence of a negative correlation between the presence of women in boards and companies’ performance, but we can also say that the increase of the share of women in boards leads to improved firms’ outcomes for certain performance measures. Therefore, our results are consistent with gender quotas leading to a beneficial effect for companies.

 

 

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ALESSANDRA DIANI
Università La Sapienza – Roma
Corso di Laurea in Scienze Politiche
Tesi: Le donne nelle istituzioni repubblicane: dalla Costituente agli anni Settanta.
L’elaborato si articola in tre capitoli e si concentra sulle donne e sul loro ruolo nel processo repubblicano italiano. Le poche donne all’interno delle istituzioni che hanno partecipato al processo di democratizzazione del nostro Paese si sono spese al fine del raggiungimento della parità tra i sessi, parità di diritti e di opportunità. Il lasso di tempo esaminato va dall’acquisizione del diritto di voto femminile, che cambia profondamente la condizione delle donne, alla fine degli anni Settanta, un periodo storico molto significativo, dove si combattono le più grandi battaglie delle donne per l’emancipazione e la meritocrazia.

Partendo dall’analisi del lungo e faticoso iter che ha contraddistinto la richiesta del diritto di voto delle donne, il primo capitolo dell’elaborato descrive le tappe principali che hanno caratterizzato questo traguardo storico e le principali protagoniste. Questo percorso interrotto dalla dittatura fascista, ritrova nuova linfa nella partecipazione attiva delle donne alla Resistenza al nazifascismo, fatto essenziale per il successivo riconoscimento del diritto al voto. La data epocale dell’ingresso delle donne in politica è universalmente riconosciuta nel 2 giugno 1946, giorno dello storico referendum tra Monarchia e Repubblica. La responsabilità e l’euforia che le donne italiane provarono nell’esercitare i loro diritti di cittadinanza per la prima volta è espressa in tutte le testimonianze di quel giorno che segnò un cambiamento irreversibile. Si descrivono le reazioni dei principali partiti di massa e della Chiesa Cattolica, che ha da sempre un forte ascendente sul popolo italiano, alla novità delle donne come soggetti politici attivi.
L’ingresso delle donne nelle sale del potere politico avvenne con l’elezione delle 21 madri costituenti, le quali si unirono nella responsabilità di combattere a nome di tutte le donne italiane per ideali universali come l’uguaglianza e la parità di diritti tra i sessi, al di là dell’appartenenza a diversi partiti politici e dalle loro differenti provenienze ed esperienze.

Il lungimirante testo costituzionale che nasce durante i dibattiti in Assemblea Costituente esaminati in questo lavoro dedica molto spazio alle donne; infatti diversi sono gli articoli della nostra Costituzione frutto del dibattito delle poche donne presenti nella “Commissione dei 75” che si sono battute soprattutto su alcuni temi caldi. Leggendo i dibattiti in Assemblea si ravvisa la loro determinazione su temi come la famiglia, i figli illegittimi, la scuola, la funzione sociale della maternità, l’accesso delle donne a tutte le scuole e cariche istituzionali. E’ esplicita la volontà di creare una Repubblica democratica che garantisca uguali diritti e doveri a tutti i cittadini, evitando qualunque genere di discriminazione. In questo processo il ruolo delle costituenti fu essenziale, esse pesarono ogni parola di ogni articolo della Carta costituzionale affinché non ci fossero fraintendimenti o interpretazioni ambigue. Raggiunsero lo scopo in nome di tutte le donne e per il benessere della neonata società democratica italiana.

Il secondo capitolo dell’elaborato si occupa delle leggi successive, degli anni Cinquanta e Sessanta, mirate all’effettiva attuazione della Costituzione e dei diritti ivi sanciti e all’abrogazione di leggi retrograde che ledevano la dignità femminile. Si analizza la presenza delle donne all’interno dei vari partiti e nelle associazioni, il loro grande contributo alla società in quegli anni di mutamento culturale, grazie anche al boom economico che l’Italia visse negli anni Sessanta. Il capitolo si conclude con un tributo ad alcune donne, figure simbolo di questo periodo storico, molto spesso lasciate nell’ombra dalla storiografia. Tra loro la prima repubblicana in Parlamento, la prima senatrice a vita della Repubblica e le prime sindache dell’Italia repubblicana.
Nel terzo capitolo si racconta il femminismo, l’evoluzione del pensiero femminile e le importanti battaglie che le donne hanno portato avanti nei difficili “anni di piombo” del nostro Paese. Le leggi principali di questi anni, come l’introduzione del divorzio, la riforma del diritto di famiglia, l’istituzione dei consultori, degli asili nido e la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, hanno cambiato profondamente la mentalità e la cultura. Le protagoniste di questo periodo sono le donne nelle piazze e in Parlamento che rivendicano il diritto di lavorare ed emanciparsi dalla condizione casalinga d’inferiorità. La narrazione di questi eventi di grande importanza si conclude con l’abolizione del delitto d’onore. Nelle conclusioni si narra brevemente dei progressi raggiunti negli ultimi anni e soprattutto si sottolinea la grande piaga della violenza di genere.

 

 

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SARA TREVISIOL
Università Ca’ Foscari di Venezia
Corso di Laurea in Economia
Tesi: Più donne al vertice. Una valutazione dell’impatto delle quote di genere nei cda delle società quotate italiane
La presente tesi ha lo scopo di indagare gli effetti delle quote di genere negli organi di direzione e controllo delle società quotate italiane, introdotte al fine di combattere le disuguaglianze presenti nel mercato del lavoro. L’elaborato é suddiviso in tre capitoli.
Il primo Capitolo presenta gli interventi dell’Unione Europea al fine di favorire l’uguaglianza di genere nel mercato economico e del lavoro. Successivamente, l’attenzione è focalizzata sulle misure legislative e di auto-regolamentazione a favore della parità di genere nelle cariche dirigenziali promosse da alcuni Stati, quali Norvegia, Spagna, Francia e Italia.
Il secondo Capitolo indaga gli effetti della diversità di genere negli organi di direzione e controllo attraverso una rassegna della letteratura esistente sull’argomento. L’impatto dell’ingresso delle donne in tali organi viene esaminato rispetto ad una serie di aspetti, quali l’efficacia e la qualità degli stessi, la firm performance e la Corporate Social Responsibility.

Il terzo Capitolo ha lo scopo di presentare un’analisi empirica effettuata su un campione di 20 società quotate italiane, all’interno del quale sono ricomprese società del settore financials e società la cui sede legale è collocata in Veneto. Lo studio è condotto per il periodo 2010-2016. Esso ha l’obiettivo di indagare gli effetti della legge Golfo-Mosca e delle quote di genere sulla qualità dei Consigli di Amministrazione, attraverso l’analisi dei cambiamenti intervenuti in alcune variabili, quali l’età, la nazionalità, l’istruzione, la tipologia dell’incarico e la carica ricoperta. Sono prese in considerazione, inoltre, due caratteristiche peculiari dei membri dei Consigli di Amministrazione, ovvero i fenomeni dell’influencer e dei family members. I risultati ottenuti vengono presentati sia analizzando il campione nella sua totalità, sia suddividendo lo stesso tra società financials e venete.
Dall’analisi effettuata emerge che le donne possono influire positivamente sulla qualità dei Consigli di Amministrazione. Non si osserva un ringiovanimento dei Consigli di Amministrazione, per cui vengono elette le donne che possiedono la giusta maturità per ricoprire l’incarico. Quasi la totalità di esse possiede un titolo di istruzione superiore (laurea e master), e la maggior parte è laureate in ambito economico e giuridico, che rappresentano gli ambiti discplinari che meglio possono fornire le competenze richieste dalla natura dell’incarico.

D’altra parte, però le quote di genere non hanno associato ad un esponenziale aumento delle donne elette nei Consigli di Amministrazione una maggior rappresentanza femminile nelle cariche dirigenziali, quali quelle di Presidente e Amministratore Delegato. Dallo studio condotto nel terzo Capitolo, infatti, è emerso che, mentre la percentuale di donne che rivestono la carica di consigliere è aumentata significativamente nel periodo di osservazione, quella delle donne che ricoprono l’incarico di Presidente e Amministratore Delegato non ha subito un incremento altrettanto rilevante; solo poche riescono ad arrivare ai vertici veri e propri, e molto spesso queste possiedono legami di parentela con la proprietà, come evidenziato nel corso dell’indagine svolta. Esiste, dunque, un forte problema di empowerment femminile, per cui le donne sono visibilmente ostacolate nella scalata verso il potere e verso i vertici. Per questo motivo, si può affermare che il soffitto di cristallo che le donne incontrano nell’accesso alle cariche dirigenziali non è ancora stato del tutto abbattuto, ma sicuramente è stato irrimediabilmente scalfito con l’introduzione delle quote di genere.

 

 

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SARA GOVONI
Università degli Studi di Bologna
Corso di Laurea in Scienze Politiche
Tesi: Dal Gender Digital Divide a Girlboss: la figura dell’imprenditrice digitale tra opportunità e pregiudizi
Parlare di “imprenditoria digitale femminile” significa spaziare in un panorama davvero vasto, nello specifico della tesi, si affronta un particolare tipo di imprenditoria digitale, incentrato su quelle professioniste tra cui social media manager, consulenti, assistenti virtuali, grafiche, web strategist, web designer quelle figure, che possiamo anche in parte definire nuove figure professionali, tutte quelle donne che hanno trasformato queste competenze comunicative e tecnologiche in un business e in una professione a tutti gli effetti.
L’intento della tesi è di far parlare quelle professioniste che hanno aperto un blog scrivendo il codice di proprio pugno, che hanno affrontato carriere precedenti ben diverse prima di arrivare al digitale, poter capire i percorsi intrapresi, le opportunità e gli ostacoli di questa professione, capire se ci sono ostacoli maggiori se si è donna: quali erano gli obiettivi fissati?

– Capire se il digitale potesse essere un modo effettivo per rilanciarsi per le donne.
– Comprendere l’entità dei pregiudizi di genere nel digitale all’interno di queste nuove professioni.
– Capire il ruolo giocato dalle professioniste per vincere o portare avanti questi pregiudizi.
Per rispondere a queste domande, ho avviato il discorso partendo dall’analisi della situazione tecnologica italiana ed europea, rilevando come ancora oggi esista un gap di genere per quanto riguarda l’utilizzo e la conoscenza della tecnologia e dell’informatica da parte delle donne. Stiamo parlando di dati ITU del 2017 che mostrano una maggiore padronanza della tecnologia e della rete da parte degli uomini rispetto alle donne, anzi, le donne con accesso alle tecnologie sarebbero 250 milioni in meno, un divario di genere che si allarga allo specializzarsi delle competenze.
Allo stesso tempo, le ricerche di questi ultimi anni, hanno rilevato come ancora oggi ci siano pochissime donne a ricoprire ruoli tecnici ed informatici come digital information officer o più tecnici come sviluppatori di app e esperti di robotica e AI. Un divario che non rimane fermo al solo mondo del lavoro ma che si ricollega a determinate scelte di studio ed interessi che vedono un divario da ragazzi e ragazze.
Arrivati a questo punto, serviva andare all’interno di queste professioni, ecco nata la ricerca: 23 interviste, semistrutturate, guidate dall’ausilio di una traccia per poi lasciare la conversazione in completa libertà.

Le risposte sono state elaborate nel terzo capitolo della tesi i cui temi più importanti sono:
– Come vengono percepite le professioni digitali da chi è al di fuori? Dal pubblico nella sua complessità? Dai ragazzi?
Se da un lato parliamo di gap di genere e di pregiudizio verso l’immagine della donna imprenditrice, dall’altro si rileva anche un pregiudizio verso queste nuove professioni digitali viste con poca consapevolezza e definite anche non lavori.
– Gli stereotipi di genere nella loro complessità.
Parliamo del digitale in termini di stereotipi di genere quando, dalle interviste fatte, ci sono risposte come: “Se sei bella non puoi essere anche brava”, oppure “Ho subito stereotipi per tutta la mia vita, perché una donna al vertice fa paura”.
Ma si parla di stereotipi anche nella misura in cui alcune dicevano: “È vero che siamo sottorappresentate ma bisogna andare oltre, non sono nemmeno favorevole alle quote rosa”. Oppure risposte del tipo: “Noi donne siamo migliori degli uomini e questo fa paura, spacchiamo di brutto”.
– La presenza online delle professioniste e la loro divisione tra privato e professionalità, il loro stile comunicativo, come si rapportano con il pubblico della rete.
Nello specifico, il progetto si giostra da un lato sulle opportunità che il digitale può offrire oggi in termini lavorativi e soprattutto per le donne, dall’altro su come le professioni digitali siano ancora avvolte da scarsa conoscenza e conseguenti stereotipi, sia perché non si comprendono ancora appieno, sia perché è molto complesso spiegarle.

Soprattutto si vuole riflettere sulla situazione paradossale che si è creata: se il digitale e la tecnologia possono essere un effettivo modo per rilanciarsi per le donne, per conciliare vita privata e lavorativa, per far valere i propri diritti, i dati evidenziano che le professioni digitali hanno un gap salariale uomini-donne inferiore rispetto ad altre professioni, perché si percepisce questa sottorappresentazione? Perché il mondo tecnico-tecnologico sembra più di appartenenza maschile?
Tornando alle domande poste inizialmente: il digitale può essere un vantaggio per le donne? Si. Esistono pregiudizi? Si. Esiste un vantaggio nella misura in cui lo si sa cogliere. Esiste un pregiudizio nella misura in cui si resta inermi davanti al problema.
L’opportunità che il digitale offre alle donne è tale solo se si esce dalle convenzioni e si accetta il cambiamento, un cambiamento di comunicazione, di punti di vista. È difficile, è impegnativo, ma non impossibile.

 

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CLAUDIA SISTI
Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma
Corso di Laurea in Economia
Tesi: Stereopiti e disuguaglianze di genere: l’enrosadire dei Cd’a
Storicamente le donne hanno dovuto lottare per l’acquisizione di diritti di pari dignità sociale.
Nel mondo del lavoro, sebbene l’uguaglianza tra i sessi sia uno dei cardini delle Costituzioni dei paesi democratici, si riscontra la permanenza di una cultura stereotipata che vede le donne come soggetti marginali nella vita economica e politica.
La tesi in esame compie un’analisi economica della disparità di genere nel mercato del lavoro e l’impatto della legge Golfo-Mosca sulla composizione degli organi di governo societario e sulla performance delle imprese coinvolte.
Lo studio è stato condotto attraverso una rassegna della letteratura teorica ed empirica, effettuando infine un’analisi empirica semplice su un aspetto non ancora affrontato in letteratura: l’impatto della riforma sugli stereotipi.

 

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1. Determinanti
La prima parte dell’analisi vuole illustrare le determinanti sociali, culturali ed economiche del gap di genere.
In particolare, si pone l’attenzione su tre possibili veicoli attraverso cui lo stereotipo è trasmesso da una generazione ad un’altra: l’istruzione, la cultura e le istituzioni.
Per quanto concerne l’istruzione sebbene non si parli più di discriminazione partecipativa, si vede un’accentuata segregazione formativa, infatti, sono rare le donne che frequentano corsi di studi STEM, prediligendo invece studi prettamente umanistici.
Questa disparità è alimentata da libri di testo ormai antiquati che veicolano valori sociali errati,
difatti, tale segregazione formativa è sottolineata anche nella dichiarazione di Pechino del 1995, bussola che orienta le politiche pubbliche in materia di parità di genere, che dichiara che l’insegnamento della scienza é particolarmente discriminatorio e che è essenziale che le donne non soltanto possano beneficiare della tecnologia, ma che esse partecipino al processo dalla fase di creazione all’applicazione.
Dal punto di vista culturale la donna viene vista ancora oggi come la principale protagonista della cura della casa e dei figli, vedendosi così costretta a scegliere tra famiglia e carriera.
Le istituzioni, invece, fino ad ora avevano posto in essere misure legislative volte a tutelare la donna quale soggetto debole.
È in atto, però, un cambio di rotta volto ad accelerare il cambiamento culturale promuovendo il congedo parentale paterno, e attuando azioni positive, quali le quote rosa .

Ma come agiscono questi stereotipi?
Per rispondere a questa domanda sono stati analizzati 4 paper.
Troviamo una prima forma di stereotipo nell’istruzione, dove vi è la dicotomia “ materie femminili-materie maschili” che condiziona la scelta del piano formativo, che non viene costruito solo in funzione delle abilità ma anche del condizionamento sociale..
Le donne, infatti, risentono di un condizionamento sociale dovuto ai comportamenti prescritti dal genere che creano una disutilità nello scegliere materie diverse da quelle femminili, sebbene siano più abili in quelle maschili.
Tali affermazioni sono meglio esplicitate nella funzione di utilità di Akerlof e Kranton:
Ui= Ui [(w (yi ; єi) yi (ki));( Ii (yi ; ci ; єi), P)] La seguente funzione indica che l’utilità di un ragazzo è funzione del payoff pecuniario, dato dal salario (w) e dalla scelta delle materie scolastiche (yi ); e del pay off non pecuniario.

Il salario dipende dalla scelta delle materie scolastiche degli studenti (yi) e dalle caratteristiche individuali (єi), a sua volta la scelta delle materie scolastiche è funzione delle skills (ki) possedute da tali soggetti.
Il payoff non pecuniario, invece, è dato dalla scelta delle materie scolastiche degli studenti (yi), dalla categoria di genere (ci) che può essere maschile o femminile, dalle caratteristiche individuali (єi), e dai comportamenti prescritti che si attribuiscono ad un dato genere (P).
Per gli studenti avremo che questa funzione di utilità consente la massimizzazione di entrambi i pay off, in quanto le materie che consentono un ritorno salariale più elevato sono le medesime che consentono l’identificazione di genere (ad esempio, il pay off pecuniario di un ingegnere è maggiore rispetto a quello di un insegnante di letteratura, e al contempo la scelta di uno studente di preferire un percorso di studi in ingegneria è conforme al comportamento prescritto per un ragazzo).

Per le studentesse, per converso, le scelte vengono a collocarsi agli angoli, in quanto non possono avere contestualmente una massimizzazione del pay off pecuniario e una massimizzazione del pay off non pecuniario
Le donne, quindi, nel mercato del lavoro hanno spesso salari inferiori rispetto agli uomini, ciò è dato sia da scelte di carriera che permettono la conciliazione con la vita domestica ma anche da una scarsa competitività delle donne.
Se si assume, infatti, che la propensione alla competizione sia misurabile attraverso la scelta della tipologia di retribuzione, e quindi che chi ama competere scelga il tourmament, viceversa il cottimo, si vede che le donne scelgono maggiormente la retribuzione a cottimo.
Quindi le donne, essendo per loro natura meno disposte a competere, sceglieranno quei percorsi di carriera “meno retribuiti” rispetto agli uomini e avranno meno propensione a negoziare il loro salario.
Le donne, infine, sono relegate ai livelli più bassi della scala gerarchica aziendale, la domanda che ci si pone è “le donne si autodiscriminano o vengono discriminate?”.

Non vi è una risposta univoca, infatti se si tiene assume che la base di valutazione delle performance future sia la valutazione delle performance ricordate, vedremo che le donne tendono a sottostimare le proprie performance rispetto agli uomini e di conseguenza il gruppo preferirà un leader maschio.
Quindi la scarsa presenza delle donne ai vertici è da ricondurre ad una loro minore autostima.
D’altro canto però si dimostra che le donne non si negano la possibilità di diventare leader, ma i seguaci tendono a seguire maggiormente la richiesta di effort se questa viene formulata da leader maschio e non da donne ed, inoltre, che un errore nella leadership condizioni la rielezione maggiormente se è una donna a commetterlo rispetto ad un uomo.
Da quest’analisi quindi, possiamo affermare che gli stereotipi influiscono in due direzioni: da un lato il gruppo preferisce un leader maschio poiché storicamente è a cui che viene data in mano la leadership, dall’altro le donne per la loro bassa autostima e per le loro avversità al rischio tendono a intraprendere percorsi che non le consentono di acquisire posizioni di leadership.
Per questi motivi le quote rosa possono essere un utile strumento per l’abbattimento di questi stereotipi.
L’idea è che imponendo per legge la presenza delle donne ai vertici si smantellino pian piano gli stereotipi.

 

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2. La legge Golfo Mosca e le sue finalità
Nel 2012 è entrata in vigore la legge Golfo Mosca che prevede che il riparto degli amministratori/collegio sindacale da eleggere, delle società quotate nella Borsa di Milano, sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi. Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto si applica per tre mandati consecutivi.
Due sono gli aspetti importanti della legge:
l’obiettivo che è quello di garantire l’equilibrio tra i generi all’interno delle società quotate;
e la durata, difatti, la legge ha una durata di 10 anni, per poi divenire mera facoltà delle aziende il mantenimento delle quote.
Gli oppositori, tuttavia, si chiedono se le quote non siano lesive per la meritocrazia e se non danneggino le performance delle imprese.
Per rispondere a tale critica nel 2014 è stato condotto uno studio dalla Professoressa Paola Profeta che aveva lo scopo di indagare su come cambiassero le caratteristiche dei membri dei Consigli di amministrazione dopo l’introduzione delle quote e come cambiassero le performance aziendali e la variabilità dei prezzi delle azioni.
Ciò che emerge dallo studio è che vi è un incremento delle donne, ma soprattutto una variazione delle caratteristiche dei suoi membri, che diventano più istruiti e più giovani.
Sebbene non si registrino cambiamenti in termini di performance, in quanto lo studio è di breve periodo, si nota che i mercati non reagiscono negativamente all’introduzione delle quote dimostrando così la presenza nel mercato di investitori informati, sensibili alla presenza femminile all’interno dei board societari, che riconoscono alle donne nominate merito, competenza, esperienza, reputazione adeguate al ruolo che si aspettano di ricoprire, e di conseguenza porta a rendimenti più alti.

 

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3. Analisi empirica
3.1. Campione e ipotesi
L’analisi empirica svolta in questa tesi si propone come obiettivo quello di verificare se vi sia stato un cambiamento nei board delle aziende non quotate, motivata dal fatto che la maggior parte delle aziende italiane non sono quotate in Borsa.
Visto che il campione era troppo grande ho limitato l’analisi a due gruppi aventi i parametri dimensionali per essere definite grandi aziende:
Il campione è stato reperito dal sistema informativo AIDA, acquisendo i bilanci dal 2007 al 2017 di due distinti gruppi di aziende.
Gruppo 1: grandi aziende non quotate che sono soggette ad un controllo da parte di altre imprese italiane inferiore al 5%.
Gruppo 2: grandi aziende non quotate che sono soggette ad un controllo maggioritario (>=50%) da parte di società quotate in Borsa.
L’analisi si propone di testare due ipotesi:
1) Se le grandi aziende analizzate, al momento del rinnovo dei board societari dopo l’introduzione delle quote rosa, abbiano aderito volontariamente alla legge, o quantomeno aumentato la percentuale di donne nei CD’A e collegi sindacali;
2) Se le grandi aziende sottoposte al controllo di società quotate abbiano incrementato maggiormente la quota di donne nei board societari rispetto alle grandi aziende controllate con quote inferiori al 5%.
Verificando, così, se l’obbligo legislativo operato sulla holding quotata, abbia avuto delle ripercussioni “a cascata” sulle società controllate dalla holding stessa.

 

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3.2. Conclusioni
Ciò che mostrano i risultati medi delle aziende del primo gruppo è un’ oscillazione della percentuale di donne nei consigli di amministrazione tra il 15% e il 18% negli anni considerati.
Per quanto riguarda, invece, i collegi sindacali vi è un piccolo incremento pari al 2% nel 2012.
Viene, inoltre, ad evidenziarsi che circa il 40% delle aziende presenta una percentuale di donne pari
allo 0% nell’organico societario.

Ciò significa che non vi è stata alcuna modifica nella mentalità degli organici societari sebbene molte aziende abbiano rinnovato il loro board almeno due volte dall’entrata in vigore della legge.
Nel secondo gruppo, ossia grandi aziende sottoposte al controllo di holding sottoposte al vincolo legislativo, l’analisi ha evidenziato un aumento del 12% dal 2007 al 2017 in quanto la percentuale di donne nei consigli di amministrazione di questo gruppo è passata dal 6% al 18%.
Al contempo la percentuale di donne nei collegi sindacali è passata dal 3% del 2007 al 19% del 2017.
Ciò che è visibile dall’ analisi è che tale incremento si è registrato in modo significativo nel 2012 e nel 2013, anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della legge.

Quindi sebbene non si possa affermare con assoluta certezza che l’incremento delle donne negli organici societari di queste aziende sia determinato dall’introduzione delle quote rosa, si può affermare che vi sia una crescita positiva proprio dagli anni immediatamente successivi all’introduzione della legge Golfo Mosca.
Si può desumere che le società sottoposte ad un controllo maggioritario da parte di aziende quotate possano aver subito un’influenza dalla holding per l’incremento delle donne nei board.

Dal confronto tra i due gruppi di aziende si può intuire che laddove la holding sia una società quotata in borsa, e quindi soggetta alla legge, vi sia stata una “diffusione” della legge anche in quelle controllate che non ne erano sottoposte all’obbligo.
L’importanza di questo evento non è tanto da considerarsi nell’aumento della percentuale di donne all’interno dei board, quanto piuttosto nella volontà di adeguarsi alla normativa, anche ove non richiesto, proprio in virtù del fatto che la legge diventerà facoltativa, quindi in assenza di proroghe o di estensione della legge ad altre tipologie aziendali, al termine della coercizione, se non vi è un adozione volontaria si tornerà agli stessa situazione del 2010.
In altre parole le donne che ricoprono le posizioni apicali nelle società quotate non sono viste come soggetti che ledono il principio meritocratico, e che danneggino l’azienda, anzi, così si potrebbe dare ragione alla letteratura che vede l’eterogeneità dei board come uno degli elementi propulsori di prestazioni.

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