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EURICSE – ISTAT * RICERCA: « TRENTINO AL TOP IN ITALIA PER IL CONTRIBUTO DI COOPERATIVE E NONPROFIT ALL’ECONOMIA LOCALE » (FILE AUDIO CARLO BORZAGA)

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09.41 - mercoledì 12 maggio 2021

Presentata la prima ricerca nazionale Euricse-Istat che indaga tutto il comparto dell’economia sociale. Trentino al top in Italia per il contributo di cooperative e nonprofit all’economia locale.

Associazioni, cooperative, mutue, fondazioni e altre istituzioni nonprofit contribuiscono al PIL trentino per il 4,7%, seconde solo a quelle di Emilia-Romagna e Lazio. Inoltre, quasi 22 dipendenti privati su 100 lavorano nelle organizzazioni dell’economia sociale, il dato più alto di tutta Italia. Nell’istruzione, il 16,7% delle scuole è gestito da organizzazioni private, contro una media nazionale del 9,3%. E ancora, dal 2015 al 2017, l’economia sociale ha vissuto un trend positivo: le sue organizzazioni, infatti, sono aumentate di numero (+4,3) e hanno assunto più persone (+6,2%). Sono queste le evidenze principali a livello provinciale del primo rapporto Euricse-Istat sull’economia sociale presentato oggi online con una tavola rotonda alla quale hanno partecipato anche la viceministra dell’Economia e Finanze Laura Castelli e il presidente Cnel Tiziano Treu.

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I dati trentini
Il Trentino è terzo in Italia per il contributo dell’economia sociale al valore aggiunto locale: le 6.700 organizzazioni dell’economia sociale trentine contribuiscono al valore aggiunto provinciale, comprensivo sia della parte pubblica sia di quella privata, con il 4,7%, dietro solo ad Emilia-Romagna e Lazio. A livello nazionale, invece, l’economia sociale trentina “pesa” per l’1,6% mentre in termini occupazionali, in Trentino lavora l’1,7% di tutti gli addetti impiegati in associazioni, cooperative, fondazioni e altre istituzioni nonprofit in Italia.

Se si guarda però al mercato provinciale del lavoro, il contributo del comparto è ancora più ingente: 16,6 dipendenti privati su 100 lavorano in cooperative (la media italiana è 9,6, solo l’Emilia Romagna ha numeri maggiori), generando il 6,8% del valore aggiunto provinciale privato. Il Trentino è anche la realtà locale con il maggior impiego nelle altre organizzazioni dell’economia sociale: associazioni, mutue, fondazioni e altre nonprofit hanno a libro paga il 5,2% dei dipendenti privati. Presa nel suo complesso l’economia sociale trentina si distingue quindi dal resto d’Italia per il contributo più elevato all’occupazione privata con quasi 22 dipendenti su 100, incidenza che supera anche quella emiliano-romagnola (ferma al 20,6%).

Più di quattro su cinque organizzazioni dell’economia sociale trentina sono associazioni, mentre le cooperative rappresentano l’8,2% del totale, tra le tre percentuali più basse di tutta Italia: un valore legato sia alla dimensione più elevata delle coop trentine rispetto alla media nazionale sia a una maggiore presenza di istituzioni nonprofit.
Peculiarità trentina è il contributo dell’economia sociale nel comparto dell’istruzione. Se a livello nazionale, aggregando le scuole di ogni ordine e grado, l’istruzione risulta gestita prevalentemente dal pubblico, la componetene privata risulta invece la più marcata a Trento (16,7%), con un 61,9% delle scuole dell’infanzia gestite dalle organizzazioni dell’economia sociale. Di conseguenza il Trentino è sul podio anche per il valore aggiunto pro capite prodotto dall’economia sociale nell’ambito dell’istruzione con 237,4 euro per abitante.

La Provincia ha una percentuale di organizzazioni non market – ovvero che offrono gratuitamente o vendono ad un prezzo calmierato i beni e servizi prodotti – al di sopra del valore medio nazionale (65% contro 58,7%). Tra il 2015 e il 2017 il comparto dell’economia sociale ha osservato una crescita del 4,3%, passando da 6.403 a 6.682 organizzazioni; allo stesso modo sono aumentati i dipendenti, da 25.540 a 27.113 (+6,2%), mentre la crescita media nazionale è stata del 3,5%.
“I dati locali dimostrano che in Trentino ha ancora più senso ragionare di economia sociale, in quanto asse fondante del suo sviluppo. La nostra è infatti una delle province italiane dove le organizzazioni dell’economia sociale – dal volontariato alla cooperazione – hanno un ruolo rilevante in tutti i settori. È fondamentale tenerlo presente soprattutto in questo momento in cui è necessario alleviare le nuove sofferenze sociali e contestualmente rilanciare l’economia”, ha detto il presidente di Euricse, Carlo Borzaga.

 

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Il percorso di ricerca
La collaborazione tra Istat ed Euricse è nata nel 2019 per ricomporre la frammentazione statistica dei dati sulle organizzazioni dell’economia sociale. Due anni fa è stato pubblicato un primo rapporto che ha riguardato la sola componente delle imprese cooperative. La ricerca “L’economia sociale in Italia. Dimensioni, caratteristiche e settori chiave”, basata su dati 2015-2017, riguarda invece tutto il comparto delle organizzazioni nelle quali l’obiettivo è diverso dal profitto, la gestione è affidata a coloro che sono in genere i beneficiari dell’attività e il capitale ha una funzione puramente strumentale.

 

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I dati nazionali
Entro i confini dell’economia sociale in Italia si muovono quasi 380 mila organizzazioni per un valore aggiunto complessivo di oltre 49 miliardi di euro, 1,52 milioni di addetti (che salgono rispettivamente a 51,8 miliardi di euro e a 1,58 milioni includendo anche le controllate dei gruppi cooperativi) e più di 5,5 milioni di volontari. Tre su quattro delle organizzazioni sono costituite in forma di associazione, ma sono le cooperative a impiegare oltre i tre quarti degli addetti e a contribuire maggiormente al valore aggiunto, con una quota vicina al 60%.

Le organizzazioni dell’economia sociale operano maggiormente negli ambiti delle attività artistiche, sportive e di intrattenimento (37%), ma i settori più rilevanti dal punto di vista economico e dell’occupazione sono quelli dell’istruzione – con una quota in termini sia di valore aggiunto che di addetti che nel comparto privato supera il 60% – e della sanità e dell’assistenza sociale (35,9% del valore aggiunto, 45,1% degli addetti sempre del settore privato).
A livello geografico, è la Lombardia ad avere una maggiore concentrazione di organizzazioni dell’economia sociale, oltre il 15% di tutto il Paese con il 22% del valore aggiunto. Se si guarda al contributo economico, in seconda posizione c’è l’Emilia-Romagna, con l’8% delle organizzazioni e il 15% del valore aggiunto.
L’85,5% delle istituzioni dell’economia sociale è finanziata da fonti private: in controtendenza le organizzazioni della sanità che si appoggiano invece per la metà dei loro introiti alla pubblica amministrazione.

I dipendenti di associazioni, cooperative, mutue, fondazioni e altre istituzioni nonprofit sono in maggioranza donne (57,2%) e in media con un livello di istruzione superiore dei colleghi che lavorano nelle altre imprese: la percentuale di laureati è infatti del 21,4% contro il 14,6% di chi lavora nelle imprese tradizionali. Molto diffuso è il part-time: il 45,9% dei dipendenti delle organizzazioni di economia sociale è a tempo parziale contro il 26,8% delle altre imprese: un’incidenza che può essere spiegata con il maggior peso della componente femminile e la concentrazione in determinate categorie economiche.

Se si guarda all’evoluzione del comparto negli anni esaminati dal rapporto (2015-2017), il numero di organizzazioni dell’economia sociale è aumentato del 4,2%, così come è cresciuto il numero di dipendenti (+3,5%). La crescita numerica maggiore si è registrata nel Sud, con in testa il Molise (+14,1%) mentre, guardando ai settori di attività, l’aumento più sensibile è nell’ambito dell’istruzione (+16,2%) e della cultura e sport (+13,6%).

L’ultima parte del rapporto è dedicata a focus settoriali su sanità e assistenza sociale, istruzione e formazione, cultura, sport e ricreazione: l’analisi evidenzia che il processo di policy making a livello degli enti territoriali e locali ha prodotto un welfare a geometria variabile in cui cambia l’apporto di amministrazioni locali, mercato ed economia sociale e che restituisce una rappresentazione di quest’ultima che va oltre la tradizionale separazione tra Nord e Sud del Paese.

 

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