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LANCIO D'AGENZIA

CONSIGLIO PAT * SGARBI / RICHIAMO AI CONSIGLIERI – KASWALDER RISPONDE A ZENI: « PALAZZO TRENTINI POTREBBE ESSERE COINVOLTO IN GIUDIZIO COME CORRESPONSABILE DELLA LESIONE LAMENTATA DALL’OFFESO »

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02.14 - giovedì 22 ottobre 2020

Interrogazione n. 1796 – Su quale giurisprudenza si fonda il richiamo ai consiglieri provinciali su richiesta del presidente del Mart?

Con nota dd. 30 settembre 2020 il Presidente del Consiglio provinciale comunica a tutti i consiglieri che il Presidente del Mart, on. Vittorio Sgarbi, ha richiesto che “la Presidenza del Consiglio si attivi per evitare che negli atti politici dei singoli consiglieri siano perpetrati attacchi personali o riportate affermazioni lesive del suo operato, e ciò anche al fine di scongiurare future possibili iniziative giudiziarie”.

Difficile non rilevare l’ironia della situazione, sia perché l’onorevole Sgarbi è un personaggio pubblico noto sopratutto per esternazioni e toni che non sempre si contraddistinguono per sobrietà, sia perché anche lo stesso Presidente Kaswalder nelle sue funzioni di consigliere ha in passato utilizzato modi che potremmo definire “ruspanti”.

Ma quello che più colpisce nella nota inviata ai consiglieri, sono le argomentazioni addotte. Se un generico invito alla correttezza e al rispetto è sempre politicamente corretto e condivisibile, sostenere che questo sarebbe dovuto per una possibile “responsabilità del Consiglio come istituzione”, paventando quindi, dopo averla negata, una possibile azione censoria da parte dello stesso sugli atti dei consiglieri, risulta affermazione particolarmente grave e rilevante per l’esercizio del mandato consiliare.

Anche perché non vengono esplicitate le conseguenze di una “esigenza di tutelare, in via preventiva e prudenziale, la posizione dell’ente, rispetto ai giudizi formulati dai consiglieri e alle notizie riportate nelle premesse agli atti politici”.

La nota prosegue concentrandosi sulla “tecnica redazionale”, lamentando interrogazioni troppo lunghe e con allegati da parte dei consiglieri, citando il fatto che in altri Stati esistono limiti di lunghezza per determinati atti politici.

Anche in questo caso difficile non rilevare l’ironia: lo stesso giorno nel quale il Presidente del Consiglio decide di violare consapevolmente il Regolamento del Consiglio, non riconoscendo quanto previsto dall’articolo 151 co. 6, in merito alla richiesta dello scrivente consigliere di iscrivere all’ordine del giorno del Consiglio alcune interrogazioni senza risposta, lo stesso Presidente invia una nota di invito alla sintesi, senza che il Regolamento e la consuetudine vietino di presentare atti politici articolati e approfonditi, e citando invece regole di qualche Stato straniero.

Non può che far piacere che il Presidente Kaswalder abbia maturato la decisione di abbandonare un linguaggio non sempre consono alle istituzioni e che inviti tutti a fare lo stesso, ed è ammirevole l’approfondimento giuridico che ha svolto e che lo ha portato a ritenere che la Presidenza del Consiglio possa dover rispondere delle dichiarazioni dei singoli consiglieri, tuttavia sarebbe utile conoscere più nel dettaglio le basi giuridiche delle indicazioni fornite nella nota.

Tutto ciò premesso si interroga il Presidente del Consiglio provinciale per sapere:

– se sia a conoscenza della consolidata giurisprudenza che riconosce ai consiglieri regionali una particolare tutela per le affermazioni riportate e per le fun- zioni ispettive svolte nell’esercizio del mandato;
– quali Consigli regionali sono stati condannati per le dichiarazioni di singoli consiglieri e con quali motivazioni; si chiede di indicare con precisione gli estre- mi delle sentenze di condanna;
– se, con riferimento alla richiesta dell’onorevole Sgarbi, il condivisibile invito rivolto dal Presidente Kaswalder ai consiglieri ad un confronto corretto e rispettoso delle altrui posizioni, sia stato esteso anche al presidente del Mart;
– sulla base di quali criteri intenda procedere a censura rispetto ad eventuali al- legati o rispetto alla lunghezza delle interrogazioni dei consiglieri.

A norma di Regolamento si richiede risposta scritta. Distinti saluti.

 

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Avv. Luca Zeni

 

 

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Risposta all’interrogazione n. 1796/XVI, relativa a un intervento della presidenza in materia di interrogazioni

Rispetto ai quesiti formulati, va innanzitutto premesso che, come del resto esplicitamente evidenziato anche nella nota trasmessa ai consiglieri a cui l’interrogante si riferisce, le considerazioni ivi rappresentate assumono il carattere di inquadramento di una problematica che prescinde dal caso di specie.

L’invito a che il confronto dialettico si svolga sempre in maniera corretta e rispettosa delle altrui posizioni era solo un invito istituzionale (considerato anche dall’interrogante corretto e condivisibile) che allo stesso modo ho rivolto anche all’onorevole Sgarbi e che nulla ha a che vedere con le problematiche giuridiche successivamente evidenziate nella nota. Anche perché, come è ben evidente, le contrapposizioni possono essere svolte con dinamiche scorrette o irrispettose, senza necessariamente comportare questioni di carattere giudiziario.

Il mio non era, né voleva essere in alcun modo, un intervento censorio nei confronti dell’azione dei consiglieri, tantomeno con riguardo al caso di specie rispetto al quale – al di là del predetto auspicio istituzionale – non ho espresso alcun giudizio né considerazione. Anzi, nella risposta all’onorevole Sgarbi ho sottolineato che non spetta al Presidente del Consiglio censurare le azioni dei consiglieri intraprese nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero e di denuncia politica.

La questione posta dalla lettera dell’onorevole Sgarbi è stata solo l’occasione per evidenziare quali possono essere, dal punto di vista giuridico-istituzionale, le interrelazioni che si creano (in relazione a possibili contenziosi) tra il ruolo, l’azione e le responsabilità del singolo consigliere provinciale che presenta l’atto ispettivo da un lato e, dall’altro, l’azione e le responsabilità del Consiglio come istituzione, chiamato a rendere pubblici tali atti ispettivi.

Con riferimento specifico al quesito se il Presidente sia a conoscenza della consolidata giurisprudenza che riconosce ai consiglieri regionali una particolare tutela per le affermazioni riportate e per le funzioni ispettive svolte nell’esercizio del mandato, la nota oggetto dell’interrogazione evidenziava proprio il fatto che, se da un lato il consigliere gode di una particolare forma di tutela, questa non si estende all’istituzione Consiglio nel momento in cui essa rende pubblica la posizione del consigliere mediante l’inserimento delle interrogazioni in banca dati, pubblicazioni cartacee e simili.

E’ certo nota a questa Presidenza la compiuta elaborazione giurisprudenziale e, prima ancora, il solido fondamento costituzionale su cui poggia la garanzia dell’insindacabilità per le opinioni espresse dai consiglieri regionali/provinciali nell’esercizio delle loro funzioni (art. 28 e 48 bis Statuto; art. 122, co. 4, Cost.), garanzia formulata in termini analoghi a quella riconosciuta ai membri del Parlamento.

Come chiarito dalla giurisprudenza, lo spirito e lo scopo di questa garanzia sostanziale (immunità) è quello di evitare che il margine di discrezionalità che sempre è insito, in misura più o meno ampia, nella valutazione dei comportamenti umani e nell’individuazione del limite fra lecito ed illecito – soprattutto in materie largamente affidate alla sensibilità dell’interprete, quali l’espressione delle opinioni, il confine fra diritto di critica e lesione dell’onore o della reputazione altrui, ecc. – possa pregiudicare la libertà di opinione e di voto dell’eletto (cfr. Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2010, n. 6325).

Si introduce in tal modo una evidente ed eccezionale deroga alla parità di trattamento davanti alla giurisdizione, che però, come chiarito da tempo dalla giurisprudenza, non vale ad incidere sull’oggettiva illiceità delle opinioni espresse dall’eletto quando queste si sostanziano in un’offesa che lede la dignità e l’onore altrui, sicchè non ne viene ostacolato l’accertamento della responsabilità del terzo che abbia concorso alla produzione del danno ingiusto, provvedendo alla diffusione del messaggio offensivo (Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 2011, n. 202851; in senso conforme, Cass. civ. 13 luglio 2010 n. 16382; Cass. civ., 16 marzo 2010 n. 6325; App. Milano, 8 luglio 2002; in questi termini anche una nutrita serie di pronunce rese in giudizi penali:

Con la sentenza n. 20285/2011, la Corte di cassazione, nel respingere il ricorso del giornalista, del direttore del giornale e della società editrice (chiamate a rispondere di diffamazione per l’oggettiva illiceità delle dichiarazioni, pur fedelmente riportate, del parlamentare coperto da immunità in forza di apposita delibera della Camera di appartenenza) dà continuità all’orientamento, respingendo la tesi dell’esclusione dell’antigiuridicità — e dunque della liceità — della condotta tenuta dall’onorevole dichiarante, che avrebbe impedito al giudice di darne diversa valutazione, anche in ordine alla responsabilità civile dei terzi.

Cass. pen., 5 marzo 2010 n. 13198; Cass. pen., 15 febbraio 2008 n. 15323; Cass. pen., 19 settembre 2007 n. 43090; Cass. pen., 5 maggio 1995 n. 4871).

Trattasi dunque di prerogativa che non muta l’essenza illecita del fatto e che per questo, sempre stando ai giudici di legittimità, opera come causa soggettiva di esclusione della punibilità, che mette al riparo il parlamentare/consigliere da tutte le azioni civili (oltre che penali), sia dirette che in via di regresso, ma non può essere estesa oltre le persone che tale funzione esercitano (così Cass. civ., 16 marzo 2010 n. 6325 che, in applicazione del suddetto principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l’estensione dell’immunità all’emittente televisiva che aveva mandato in onda le dichiarazioni offensive di un parlamentare).

L’oggettiva illiceità del fatto deriva dalla lesione del diritto inviolabile della dignità della persona, che trova la sua fonte etica e giuridica nell’art. 2 e nell’art. 3 Cost., ed ora anche nell’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza) come valore giuridico europeo, che appartiene alla tradizione costituzionale comune agli Stati membri (cfr. Cass. 13 luglio 2010 n. 16382).

In termini ancora più espliciti Cass., sez. III civile, n. 23144 del 11 ottobre 2013, la cui massima recita in questi termini: “l’immunità di cui beneficia il parlamentare per le opinioni espresse, ai sensi dell’art. 68 Cost., può essere invocata solo dal parlamentare stesso e non dall’editore che ne abbia diffuso le opinioni diffamatorie col mezzo della stampa o della televisione”. Ne consegue che, nel giudizio di risarcimento del danno proposto dal diffamato nei confronti dell’editore civilmente responsabile, l’intervento volontario del deputato diffamatore non può avere né l’effetto di estendere al convenuto l’insindacabilità di cui all’art. 68 Cost., né quello di provocare la sospensione del processo, ex art. 295 cod. proc. civ., in attesa della deliberazione della Camera di appartenenza circa l’insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato.

Il principio espresso dalla citata massima, riferito alla condotta del parlamentare, deve valere anche per le affermazioni del consigliere regionale/provinciale, tanto più che questi – a differenza del componente della Camera – non può contare sulla “pregiudizialità parlamentare” e sul conseguente effetto inibente dell’eventuale delibera consiliare che accerti l’operatività dell’immunità (Corte cost. 17 luglio 2008, n.279).

In termini concreti e con riferimento alla situazione che qui interessa, se il Consiglio provinciale, quale persona giuridica distinta dai singoli consiglieri, diffonde un atto di sindacato ispettivo contenente affermazioni diffamatorie o comunque lesive dell’altrui reputazione – tramite pubblicazione nel sito istituzionale o sul periodico curato dall’ufficio stampa del Consiglio o mediante la trasmissione televisiva in diretta della seduta consiliare in cui sono ripetute le dichiarazioni offensive – l’ente potrebbe essere coinvolto in giudizio come corresponsabile della lesione lamentata e del danno patito dall’offeso, anche qualora il consigliere dovesse risultare coperto dall’immunità.

È in questo senso che nella nota trasmessa ai consiglieri si è fatto riferimento al rischio di “coinvolgere la responsabilità del Consiglio come istituzione”, in correlazione a possibili affermazioni offensive dei consiglieri, a nulla rilevando l’eventuale irresponsabilità di questi ultimi. Ora importa qui sottolineare che responsabilità di questo tipo sono già state fatte valere nei confronti dello stesso Consiglio provinciale trentino, giungendo a una sentenza di condanna (tribunale di Trento, 1 settembre 1998), che è stata sì riformata in appello, con successiva conferma di quest’ultima decisione da parte della corte di cassazione (III sezione civile, sentenza 27 ottobre 2004, n. 20783); ma per questioni di merito, senza che fosse in dubbio, quindi, la responsabilità del Consiglio come editore, per così dire (in solido con un suo dipendente). Anche un più recente provvedimento del giudice delle indagini preliminari di Trento datato 7 novembre 2012, nel riferirsi alla pubblicazione di atti sul sito del Consiglio provinciale, dà palesemente per presupposta questa responsabilità, anche se, di nuovo, questa non viene fatta valere per motivi di merito. Questi precedenti mi paiono bastevoli a giustificare la dovuta cautela nella pubblicazione di atti consiliari come le interrogazioni.

Quanto al quesito relativo alla lunghezza delle interrogazioni e ai relativi allegati faccio presente, anzitutto, che nella lettera inviata ai consiglieri non si parla mai di inammissibilità degli atti, ma solo della loro pubblicazione nel sito del Consiglio provinciale, specialmente in connessione alle responsabilità che possono derivare da questa pubblicazione (sopra diffusamente evidenziate) e, lo ripeto, alla possibilità che allegati molto lunghi e complessi contengano dati riservati o destinati a un regime di pubblicità diverso da quello delle interrogazioni, per ragioni spesso non immediatamente ricostruibili.

La lunghezza come motivo d’inammissibilità è stata bensì introdotta nell’uso del nostro Consiglio dai Presidenti che mi hanno preceduto: ma solo per le interrogazioni a risposta immediata. Anche a prescindere da queste ultime, tuttavia, mi corre l’obbligo di ricordare che presso la Camera dei deputati (cui avevo rinviato anche nella mia lettera del 30 settembre scorso), sulla base di disposizioni regolamentari simili alle nostre, per le altre interrogazioni viene fatto valere un limite di 600 parole. D’altronde limiti di questo tipo non sono estranei alla tradizione del parlamentarismo europeo, che rende spesso paragonabili, qui come in altri casi, le soluzioni normative adottate nell’uno o nell’altro Stato. Tant’è vero che, anche senza riguardarsi quanto è previsto in assemblee substatali di Paesi a noi vicini, limiti ancor più rigorosi, per ragioni di economia e di efficienza, sono fatti valere presso il Parlamento europeo.

Questo va precisato non perché volessi già sostenere, nella mia lettera del 30 settembre scorso, l’introduzione di criteri simili a livello consiliare, sulla scia di quel che hanno fatto i miei predecessori per le interrogazioni a risposta immediata; ma perché si comprenda che la concisione e la prudenza d’espressione cui invitavo i consiglieri non sono cosa sconosciuta alle tradizioni parlamentari che spero siano vive anche nella nostra assemblea. In altri termini, la presenza di allegati anche molto corposi (nelle scorse legislature pressoché assenti) dev’essere valutata sì con particolare attenzione: ma non per censurare i consiglieri; il problema attiene solo la pubblicazione di questi allegati come parte integrante delle interrogazioni (e non materiale messo a disposizione della Giunta provinciale per facilitarne il lavoro), e dev’essere soppesato caso per caso, in relazione al loro contenuto concreto e, in relazione ai rischi di cui ho detto.

 

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Walter Kaswalder

Presidente Consiglio provinciale Trento

 

 

 

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