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LANCIO D'AGENZIA

CONSIGLIO PAT * QUARTA COMMISSIONE: « SOSPESO IL DDL 9 FERRARI PER LA GRATUITÀ DEI NIDI, SÌ ALLA DELIBERA DELLA GIUNTA DI 48,5 MLN PER LE OLIMPIADI 2026 »

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19.05 - martedì 18 maggio 2021

Sospeso il ddl 91 di Ferrari per la gratuità dei nidi. Concordato con l’assessore Bisesti l’avvio di un tavolo di confronto su questo tema in IV Commissione. Sì alla delibera della Giunta sui criteri di finanziamento con 48,5 milioni di euro degli impianti e delle strutture per le Olimpiadi 2026.

Dopo le valutazioni emerse dai primi soggetti ascoltati il 5 maggio scorso, si sono concluse oggi in IV Commissione – presidente Claudio Cia (FdI) – le audizioni sul disegno di legge 91 proposto dalla capogruppo del Pd Sara Ferrari per rendere gratuiti gli asili nido del Trentino. Titolo del provvedimento: “Modificazioni della legge provinciale sul benessere familiare 2011 in materia di promozione del diritto di tutti di godere dei servizi socio-educativi per la prima infanzia”. Dopo le consultazioni l’assessore Bisesti ha motivato il no della Giunta al testo del provvedimento ma, apprezzando l’intento di fondo del ddl, ha accolto insieme al presidente Cia la proposta di Ferrari – che ha deciso di sospendere l’esame del ddl, di creare un gruppo di lavoro interno alla Commissione per approfondire il tema, anche considerata la complessità delle questioni emerse. A seguire l’organismo si è espresso con tre sì e tre voti di astensione a favore della delibera proposta dalla Giunta sui criteri di finanziamento delle strutture e degli impianti di competenza comunale da realizzare in vista delle Olimpiadi invernali in programma nel 2026 anche a Baselga di Pinè, a Predazzo e a Tesero. La spesa già accantonata dalla Provincia per queste opere con l’assestamento di bilancio dello scorso anno, ammonta a 48 milioni e mezzo di euro.

 

Commissione provinciale per le pari opportunità: serve un tavolo.

Per la Cpo tra donna e uomo è intervenuta la presidente Paola Maria Taufer, ha giudicato positivamente il ddl perché – ha spiegato – va incontro alle esigenza di conciliazione tra vita e lavoro delle donne che oggi sono ancora molto più gravate degli uomini dal lavoro fuori casa e dagli impegni di cura. Il ddl è per la Cpo necessario per supportare le famiglie e non aumentare le disuguaglianze di genere nei contesti lavorativi e familiari. Taufer ha suggerito di istituire un tavolo di lavoro tra tutti i soggetti coinvolti per coordinare modalità e tipologie di intervento in rapporto alle diverse situazioni territoriali, ad esempio per le aree dove maggiore è l’incidenza del turismo. La Cpo chiede anche attenzione alle esigenze delle tante lavoratrici atipiche come ad esempio le collaboratrici domestiche o le donne con impieghi stagionali.

Sara Ferrari ha apprezzato la sottolineatura delle tante tipologie di lavoro diverse che esistono e pongono esigenze diverse da conciliare con i servizi educativi come i nidi, per garantire l’obiettivo del ddl, che è l’università del servizio a prescindere dalla località del Trentino in cui un bambino abita. Per assicurare a tutti gli stessi diritti.

Paola Demagri (Patt) ha condiviso la richiesta della Cpo di tutelare le necessità del bambino e dell’intera famiglia.

 

Centro studi interdisciplinari di genere dell’Università: ripensare il modello.

Il Centro studi interdisciplinari di genere dell’Università degli studi di Trento, rappresentata dalla coordinatrice Barbara Poggio, ha manifestato un sostanziale accordo sul ddl. E questo sia per l’importanza del nido nello sviluppo psicologico e pedagogico dei bambini, sia per promuovere il lavoro femminile e contrastare i processi di denatalità legati alle difficoltà delle giovani coppie. Difficoltà dovute anche al carico di cura che pesa soprattutto sulle madri: non a caso in Italia è pari a circa il 25% il numero delle donne che abbandonano il lavoro dopo aver avuto il primo figlio. La media dei figli per donna è oggi di 1,24 ed è la più bassa dal 2003. Poggio ha ricordato che il territorio più virtuoso per tasso di natalità è la provincia di Bolzano mentre quella di Trento è al di sotto del tasso di sostituzione. In questo contesto il poter accedere ai servizi di prima infanzia costituisce potrebbe influenzare positivamente la scelta dei genitori di avere dei figli. In Italia i bambini che frequentano i servizi di prima infanzia sono circa il 30% del totale. Il Trentino è particolarmente virtuoso in questo campo, ma è in quarta posizione per la frequenza dei nidi (meno del 40%). La percentuale è più rilevante in città, mentre cala nei comuni di minori dimensioni. La studiosa ha segnalato che una parte importante di famiglie non presenta nemmeno la domanda di accesso al nido. La provincia di Trento nel settore servizi per l’infanzia sta meglio rispetto al tresto d’Italia grazie anche agli investimenti realizzati in passato a sostegno della conciliazione famiglia-lavoro. In questa prospettiva rendere del tutto gratuito l’accesso ai servizi educativi per l’infanzia includendoli nella filiera dell’istruzione si pone in linea con lo sforzo compiuto dalla Provincia nelle precedenti legislature. Tuttavia per Poggio in questo momento varrebbe la pena di avviare una riflessione più ampia sul tema, perché non è solo questo il passaggio su cui riflettere considerati i molti cambiamenti in atto non dovuti solo all’emergenza Covid: si tratta di tener conto ad esempio anche della precarizzazione dei contratti di lavoro, delle diverse tipologie di impiego. E questo si può fare solo con un’analisi accurata dei dati che consideri anche la crescente differenziazione dei bisogni delle famiglie e delle giovani coppie, le cui esigenze sono molto diverse rispetto ad alcuni anni fa. Pur virtuoso, insomma, il modello del Trentino va ripensato. Sapendo che lavorare per ridurre il sovraccarico di cura delle donne all’interno delle famiglie faciliterebbe il loro ingresso nel mondo del lavoro e aumenterebbe anche il livello di benessere personale e dei nuclei.

La discussione.
Ferrari ha chiesto in che senso andrebbe ripensato questo modello.
Poggio ha risposto che a questo scopo serve un’analisi di tutti i dati per capire bene qual è la risposta data dai servizi attuali ai bisogni cangianti nella società trentina. Non esistono soluzioni già pronte. In ogni caso occorrerà andare verso un sistema integrato che utilizzi tutte le risorse disponibili per migliorare la qualità della spesa e dei servizi.

Dipartimento istruzione e cultura: il calo dei nati induce a valutare se vale la pena investire sulla costruzione di nuovi nidi.

Per il Dipartimento istruzione e cultura della Provincia, il sostituto dirigente del Servizio attività educative per l’infanzia Livio Degasperi ha ricordato che la legge provinciale 4 del 2002 che disciplina nidi, nidi aziendali e Tagesmutter prevede che i Comuni differenzino le tariffe in rapporto alla condizione economica delle famiglie. Stabilendo una compartecipazione al costo da parte della Provincia nella misura del 71,2%, dei Comuni pari al 2% e a carico delle famiglie per il 26,9%, tenendo conto dell’Icef. Il principio dell’attuale sistema è il diritto di accesso di tutti al nido ma non c’è una copertura generalizzata dell’offerta. Laddove fosse avviata occorrerebbe un piano di edilizia per la costruzione di nuovi nidi che oggi coprono il 30% dell’utenza potenziale considerando anche i bambini dai 3 mesi a 1 anno, dei quali oggi si occupano in gran parte le mamme. Non sono mappati i servizi nido privati-privati, il cui sistema di autorizzazione non è mai entrato in vigore. La domanda potenziale potrebbe rendere necessario rendere disponibili nei nidi 4-5000 posti all’anno. Tuttavia il trend demografico che dimostra l’aumento della denatalità costringe a riflettere su questa possibilità. Basti considerare che nell’anno pre-Covid a Rovereto non vi erano liste di attesa per i nidi. In altri casi il calo dei bambini iscritti è stato tale da ridurre i costi. Per Livio Degasperi occorre quindi valutare sia i costi correnti sia la spesa di investimento per l’eventuale costruzione di altri nidi.

 

Servizio pianificazione strategica e programmazione europea: per la gratuità la Provincia dovrebbe coprire la spesa del 10 e del 15% oggi a carico delle famiglie.

Francesco Pancheri, del Servizio pianificazione strategica e programmazione europea, ha spiegato lo scopo e l’utilizzo dei buoni di servizio, erogati nell’ambito del Fondo sociale europeo per mantenere l’occupazione delle madri o dei padri in caso di nucleo monoparentali. I buoni agiscono nel sistema della Provincia per attuare interventi complementari laddove i servizi pubblici non sono disponibili. La condizione per l’utilizzo dei buoni servizio è quindi che vi sia una lavoratrice madre o un lavoratore padre e che non vi siano servizi sul territorio, o che ve ne siano di non adeguati. I buoni servizio devono essere chiesti e poi spesi presso enti che si occupano di bambini e ragazzi e che siano accreditati dalla Provincia. L’erogazione del buono determina per l’ente la richiesta di una quota a carico della famiglia. Il resto è coperto dal Fondo sociale europeo. Vi è un importo orario in base al quale una quota è a carico della famiglia e un’altra a carico della Provincia. Alla famiglia rimane incarico una compartecipazione o del 10% o del 15% a seconda della fascia di età del figlio che per rendere gratuito il servizio la Provincia dovrebbe quindi coprire con una spesa aggiuntiva. Quanto al ddl, Pancheri ha ricordato che i buoni servizi non prevedono differenze a seconda dei territori. L’erogazione è uguale per tutti, ovunque. Per l’utilizzo dei buoni servizio negli asili nido aziendali vi è stata una sperimentazione che ha mostrato come la richiesta sia stata quasi nulla. I richiedenti oscillano tra i 6.000 e i 6.300 tutti gli anni. I figli che hanno utilizzato i buoni vanno tra i 7.500 e gli 8.300. In totale la spesa per l’utilizzo dei buoni servizio ammonta a 6 milioni di euro annui.

La discussione.
Ferrari ha sottolineato che il problema non è costruire nuovi asili nido pubblici ma di tener conto della diversità dei bisogni attivando una risposta integrata, flessibile e individualizzata. Allora occorre superare la dicotomia tra sistema di istruzione così come strutturato fino ad oggi, e sistema di conciliazione, perché la Provincia non può certo rinunciare alle risorse del Fondo sociale europeo. Per la consigliera si tratta di fare salve tutte le fonti di finanziamento dei servizi aggiuntive rispetto alle risorse messe a disposizione dalla Provincia, dando però alle famiglie una risposta certa e gratuita. Se la soluzione prevista da questo ddl non sta in piedi – ha concluso – occorrerà una riflessione sulle migliori modalità di intervento da mettere in campo a questo scopo.
Pancheri ha risposto che nell’ambito del programma operativo del FSE si potrà prevede la richiesta di un aumento delle risorse da mettere a disposizione purché l’obiettivo resti la conciliazione famiglia-lavoro. Per il resto la copertura richiederebbe l’intervento della Provincia con lo strumento dei buoni di servizio, anche avvalendosi del sistema privato il cui valore economico di costo è inferiore a quello pubblico. Il finanziamento FSE va sempre considerato come complementare, altrimenti si avrebbero dei costi nettamente maggiori e ammissibili.
Luciano Malfer, dirigente dell’Agenzia della famiglia, ha richiamato il piano strategico approvato dalla Giunta nel novembre 2019 con 5 macro-ambiti di intervento a sostegno del benessere della famiglia e della natalità. Il secondo macro-ambito riguarda la conciliazione vita-lavoro e una misura richiede proprio la revisione del sistema combinando servizi conciliativi e servizi socio-educativi attraverso l’aggiornamento delle leggi provinciali.
Livio Degasperi ha osservato che sui servizi per la fascia 0-6 anni c’è bisogno di una riflessione approfondita perché vi sono Comuni in cui gli iscritti alla scuola dell’infanzia sono vicini allo zero e si rende quindi opportuno un accorpamento con i nidi. L’obiettivo è creare un servizio 0-6 anni. Una legge nazionale del 2017 obbliga a questa revisione del sistema.
Ferrari ha osservato che il primo scoglio da superare per arrivare a costruite un sistema di servizi 0-6 anni, è rendere gratuiti anche i servizi per la fascia 0-3 anni. E ha chiesto il parere della Giunta sul ddl per capire se vi è la possibilità di integrare le iniziative.

 

Il parere della Giunta: no al ddl, sì ad un tavolo di confronto sul tema.

L’assessore Bisesti in sostituzione dell’assessore Segnana, sulla proposta del ddl 91 ha apprezzato l’esigenza di approfondire il testo espressa dalla consigliera Ferrari e accolto quindi la proposta di un gruppo di lavoro interno alla Commissione. La proposta di rendere gratuiti i servizi dei nidi non è condivisibile perché – ha proseguito Bisesti – la totale gratuità porta con sé elementi problematici rilevanti. “Il fatto che si vada a un 10% a un 90% di compartecipazione a seconda del reddito mostra per l’assessore che l’attuale sistema è strutturato bene”. Obbligatorio per l’assessore è evitare che la Provincia perda finanziamenti nazionali ed europei con interventi diretti che non siano complementari. La Giunta è interessata comunque ad impegnarsi per migliorare l’attuale sistema trentino dei servizi per questa fascia di età.

Mara Dalzocchio (Lega) ha osservato che la retta dei nidi andrebbe ridotta per contrastare l’inverno demografico che stiamo attraversando. Tuttavia secondo la capogruppo della Lega occorre ricordare che già oggi in Trentino le donne con figli sono maggiormente occupate rispetto alla media nazionale. Quindi se se si vuole aumentare la natalità non è solo sulla conciliazione con il lavoro femminile che occorre puntare. L’esperienza di welfare molto evoluta dei Paesi nordici (Svezia, Finlandia, Norvegia, Olanda) negli ultimi 12 anni, dove si è verificato un pesante calo delle nascite, dimostra che l’enfasi posta sul lavoro femminile non va di pari passo con la crescita della natalità. La conciliazione famiglia-lavoro non è sicuramente la chiave di volta per la ripresa della natalità: per Dalzocchio serve piuttosto un cambio di mentalità culturale. L’unico Paese in Europa, l’Ungheria, ha aumentato del 28% il tasso di natalità non con le politiche di conciliazione ma sostenendo di più la famiglia. L’aiuto alle famiglie è quindi il vero rimedio alla denalità, ma questo ddl – ha osservato – non va in questa direzione, anche se le finalità della proposta sono apprezzabili. Dalzocchio ha ricordato che la Giunta sta lavorando a questo obiettivo a partire dal suo insediamento, ma il problema numero 1 è culturale e riguarda l’inverno demografico. Per questo Dalzocchio ha espresso riserve nel votare a favore di questo ddl.

Paolo Zanella ha apprezzato le audizioni su questo ddl che punta a rendere i servizi per l’infanzia 0-3 anni universalistici. Il problema di questo testo va risolto – ha sottolineato – cercando di recuperare risorse non solo dalla Provincia. Il ddl ha una valenza pedagogica e un’altra valenza conciliativa per evitare che le donne rinuncino al lavoro con l’arrivo del primo o del secondo figlio. Servono quindi servizi di conciliazione vita-lavoro per le donne. Per Zanella il giudizio di Dalzocchio è contraddittorio e confuso. Per favorire il lavoro femminile e superare l’inverno demografico, occorre infatti puntare sui servizi di conciliazione sostenendo le donne che vogliono fare figli. Il ddl va nel senso di aiutare chi vuole fare figli a poterli fare.

Dalzocchio ha precisato di non avere le idee confuse e di condividere la finalità del ddl che punta alla gratuità dei servizi educativi. Il problema è che il provvedimento associa all’obiettivo della crescita della natalità la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Invece la famiglia va aiutata ad avere più figli non mirando solo all’obiettivo di dare alle donne le stesse opportunità di lavoro date agli uomini.

Ferrari ha ricordato, in disaccordo con Dalzocchio, che non a caso il Next Generation Eu finanzierà progetti per lo sviluppo dei servizi di conciliazione.

Cia ha osservato che in questi anni i servizi di conciliazione vita-lavoro a sostegno delle famiglie sono aumentati, eppure la natalità è in calo. Il binomio più servizi più natalità non sta quindi in piedi, come dimostrano i Paesi scandinavi. Allora continuare a puntare sui servizi di conciliazione non è ciò di cui le famiglie hanno bisogno per mettere al mondo dei figli. Dalle famiglie emerge piuttosto il bisogno di avere più tempo a disposizione per loro. Se la Provincia investisse quindi sulla famiglia per creare condizioni favorevoli alla possibilità che un padre e una madre possano dedicare più tempo ai figli soprattutto nei loro primi anni di vita, secondo Cia si eviterebbe lo sforzo improbo di conciliare vita e lavoro. Si potrebbe pensare di concedere due anni consecutivi a un genitore perché si dedichi ai neonati senza perdere stipendio e contributi, analogamente a quanto già previsto per legge (la 104) nei confronti dei genitori anziani che hanno bisogno dell’assistenza dei figli. Se perfino gli animali non si separano dai cuccioli nei primi anni di vita – ha osservato – non si capisce perché questo non debba avvenire per gli esseri umani, dal momento che il nucleo primario della società rimane la famiglia. Cia ha concluso accogliendo la richiesta della consigliera di sospendere l’esame del ddl 91 e condividendo d’intesa con Ferrari la proposta accettata anche dall’assessore Bisesti, di istituire un gruppo di lavoro interno alla Commissione che coinvolga tutti i soggetti interessati ad approfondire il tema.

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Sì ai criteri per il finanziamento degli impianti in vista delle Olimpiadi 2026.

Con tre voti favorevoli e 3 di astensione, la IV Commissione ha poi condiviso la deliberazione della Giunta proposta dall’assessore Failoni, rappresentato dal dirigente Sergio Bettotti, che detta i “Criteri per il finanziamento di strutture sportive e di altre opere, attrezzature e impianti di competenza dei comuni connessi allo svolgimento delle Olimpiadi invernali 2006”. Bettotti ha spiegato che questa delibera è la prima declinazione degli interventi riguardanti le sedi olimpiche di Tesero, Predazzo e Baselga di Pinè. Si tratta di avviare subito il processo di adattamento degli impianti anche se le Olimpiadi invernali sono attese nel 2026, perché occorre permettere agli atleti di effettuare i test event nelle sedi dei giochi. La misura riguarda le autonomie locali (Comuni) prevedendo per ciascuno dei tre interventi i costi ammissibili a finanziamento. La dimensione totale del finanziamento è stata stimata in 48 milioni e mezzo di euro. Cifra già accantonata con il bilancio di assestamento del 2020. I Comuni saranno finanziati al 100% da Cassa del Trentino e il Consiglio delle autonomie locali ha espresso il 13 maggio il proprio parere favorevole.

 

La discussione.

Demagri ha chiesto e ottenuto chiarimenti in merito ai criteri.

Ferrari ha chiesto se le opere realizzate per le Universiadi in Trentino del 2013 siano utili anche per le Olimpiadi del 2026 e se sono previsti oneri di manutenzione ordinaria degli impianti negli anni successivi ai Giochi.

Bettotti ha confermato che gli interventi per le Universiadi del 2013 tornano utili anche in vista delle Olimpiadi del 2006 anche se nel caso dell’impianto di salto di Predazzo la manutenzione riguarda oggi il rifacimento dei trampolini che da due anni non sono più agibili per rischio di cedimento. Inoltre le Olimpiadi richiedono interventi molto particolari per la specificità di queste gare. Ad esempio la pista di velocità sul ghiaccio richiede obbligatoriamente la realizzazione di sottopassi per gli atleti. Quanto agli oneri di manutenzione post-Olimpiadi, Bettotti ha precisato che nel caso di Predazzo ammontano a circa 180-200mila euro all’anno, mentre a Baselga di Pinè se viene confermato l’oval all’aperto l’intervento previsto è di circa 180-190mila euro all’anno. Se si dovesse optare invece per una copertura, le proiezioni prevedono anche l’adeguamento dei costi gestionali di cui si sta discutendo con il Comitato olimpico.

 

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