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LANCIO D'AGENZIA

CONSIGLIO PAT * LAVORI POMERIGGIO: « ASSEGNO NATALITÀ, RESTA IL REQUISITO DEI 10 ANNI DI RESIDENZA IN TRENTINO / RESPINTO DDL OLIVI CHE MIRAVA A RIDURRE GLI ANNI A 2 »

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19.17 - mercoledì 9 novembre 2022

Per beneficiare dell’assegno di natalità resta in Legge il requisito dei 10 anni di residenza in Trentino: respinto dal Consiglio il ddl di Olivi che mirava a ridurre gli anni a due. No anche al ddl di Marini per estendere la difesa civica all’ambito sanitario e a tutela delle persone anziane

Toni piuttosto accesi hanno segnato la parte conclusiva del dibattito pomeridiano del Consiglio provinciale, che prima della sospensione dei lavori (si riprende domani alle 10.00) ha respinto con i 19 voti contrari della maggioranza e 11 sì delle minoranze il disegno di legge 104 proposto da Olivi (Pd) per modificare alcune norme provinciali in con l’obiettivo di ridurre da 10 a 2 anni di residenza in Trentino il requisito richiesto alle famiglie per beneficiare dell’assegno di natalità. Gli esponenti dell’opposizione hanno bollato come razzista e discriminatoria in particolare nei confronti delle persone extracomunitarie – del cui arrivo e della cui permanenza nel nostro territorio il Trentino ha grande bisogno a fronte del calo della natalità e a sostegno dell’economia – la norma provinciale che il ddl mirava a ridimensionare e che la magistratura ha ordinato di rimuovere.

Norma che la Giunta Fugatti ha fin’ora solamente disapplicato con una delibera che ha valore amministrativo, ma resistendo in appello contro la sentenza – come ha ricordato nel suo intervento l’assessore Spinelli –, senza rassegnarsi a modificare la legge. In precedenza, nella prima parte del pomeriggio, il Consiglio aveva respinto anche un disegno di legge proposto da Marini (Misto-5 Stelle) per integrare la legge provinciale sul difensore civico in modo da prevedere la tutela delle persone anziani e fragili come gli ammalati.

 

 

No al ddl di Marini per la difesa civica in ambito sanitario e degli anziani

Nel primo pomeriggio il Consiglio ha esaminato e respinto in aula il disegno di legge 71 presentato da Alex Marini (Misto-5 Stelle), già bocciato dalla Prima Commissione, che prevede di inserire nella normativa provinciale sul difensore civico del 1982 anche la difesa civica in ambito sanitario e la salvaguardia dei diritti degli anziani. Nell’illustrare il provvedimento formato da 7 articoli, Marini ha ricordato che l’obiettivo del ddl è di riprendere la legge della Regione Toscana entrata in vigore prima della legge nazionale Gelli-Bianco per tutelare le persone fragili ed esposte a vulnerabilità sociale attraverso relazioni stringenti con l’azienda sanitaria. Inoltre la volontà è di ridurre il fenomeno della “medicina difensiva” che costa allo Stato circa 10 miliardi l’anno per erogare prestazioni dirette non ad assicurare il benessere del paziente ma a prevenire denunce e ritorsioni nei confronti dell’operato delle aziende sanitarie.

Secondo Marini l’attuale figura del difensore civico nel Trentino rappresenta un potenziale inespresso, non è particolarmente riconosciuta né dalla popolazione né dalle istituzioni e dalle pubbliche amministrazioni. Per questo la normativa provinciale andrebbe a suo avviso migliorata affidando al difensore civico la tutela degli anziani e delle persone più fragili e vulnerabili. Per il consigliere il difensore civico andrebbe inoltre valorizzato anche per la tutela dei disabili. Marini ha poi ricordato i diversi e interessanti pareri acquisiti sul ddl attraverso le audizioni promosse in Commissione, che hanno mostrato come sia opportuno privilegiare l’utilizzo del difensore civico alla strada, più costosa, della tutela in sede giurisdizionale.

 

L’assessora alla salute e al welfare Stefania Segnana ha ricordato il parere negativo espresso dalla Giunta sul ddl in Prima Commissione. Ha citato l’audizione del difensore civico Gianna Morandi che aveva sottolineato come la collaborazione del suo ufficio con l’azienda sanitaria sia stata ottima e abbia prodotto buoni risultati. Quanto agli articoli, Segnana ha spiegato che la figura del difensore civico non va appesantita con altre funzioni anche perché già il lavoro del suo ufficio porta già avanti tutte le pratiche senza difficoltà. La tutela dei diritti degli anziani è inoltre una materia che rientra esclusivamente tra le competenze statali e il ddl, se approvato, rischierebbe quindi di entrare in conflitto con questa prerogativa. In ogni caso Segnana ha riconosciuto che la discussione sul ddl è stata utile perché ha contribuito ad affrontare una questione importante come questa.

 

Marini ha replicato all’assessora contestando l’affermazione che “va tutto vene” e non ci sarebbe quindi bisogno di un ddl come questo. Vi sono invece delle criticità che sono emerse dalle audizioni. E’ vero che il difensore civico è presidente della commissione conciliativa dell’azienda sanitaria ma vi è una disposizione di legge della Provincia sulla sanità che prevede una camera conciliativa che non è mai stata attuata. La camera conciliativa non è mai stata convocata. La Giunta ha la responsabilità di costituire questo organo previsto dalla legge. Occorre assicurare un clima di fiducia come previsto dall’articolo 12 della legge provinciale sulla salute introdotta 12 anni fa e che su questo punto non è mai stata attuata. Il disagio psico-sociale è andato accentuandosi negli ultimi anni anche a causa della pandemia. Pur non approvando questo provvedimento, secondo Marini la Giunta avrebbe almeno potuto assumersi degli impegni sul piano se non legislativo almeno amministrativo.
Sull’articolo 6 (tutela persone anziane), Paolo Zanella di Futura ha ricordato che così come nella nostra provincia esiste un garante per la tutela dei diritti dei minori, un’analoga figura di garanzia dovrebbe essere introdotta anche per gli anziani.

 

Respinto il ddl di Olivi per la riduzione da 10 a 2 anni del requisito della residenza per poter accedere all’assegno di natalità.

L’aula ha poi esaminato e respinto con 19 voti contrari e 11 a favore il disegno di legge 104 proposto da Alessandro Olivi (Pd) per modificare le normative provinciali del 2011 e del 2016 riducendo da 10 a 2 il requisito degli anni di residenza nel Trentino che consentono di beneficiare del sussidio.
Olivi: una brutta pagina per l’autonomia trentina

Il consigliere dei dem ha evidenziato questo secondo obiettivo, vale a dire che il ddl propone di abolire dalla legislazione provinciale e in particolare dalla legge 1 del 2011 il vincolo introdotto di 10 anni di residenza per l’accesso agli incentivi alla natalità. La proposta nasce dalla convinzione che si tratta di un vincolo inutile, sbagliato e gravemente discriminatorio. Questo perché un simile vincolo significa sventolare una bandiera o invocare in modo propagandistico una sorta di primazia di appartenenza alla comunità trentina escludendo delle famiglie e inoltre senza preoccuparsi di contrastare la denatalità con azioni che invertano il trend demografico negativo. IL ddl mira a rendere più armonico e giusto il sistema di accesso ai benefici e alle misure varate dalla Giunta a sostegno delle famiglie con figli, partendo dalla considerazione che i bambini sono tutti uguali a prescindere dal numero dei 10 anni di residenza in un territorio. Per questo anche la quota B dell’assegno unico provinciale per l’educazione dei figli secondo Olivi si deve basare sul requisito dei 2 anni. Questo anche coerentemente con l’assegno universale introdotto dal legislatore nazionale, assegno di cui l’assegno unico provinciale è stata un’anticipazione. Il Trentino era ed è l’unica provincia che ha nella propria legislazione una norma che subordina gli aiuti alle famiglie con figli al requisito della residenza di almeno 10 anni nel proprio territorio.

Questa scelta escludente, quand’era stata introdotta, era stata considerata sanzionabile perché contraria ai principi di uguaglianza di tutti i cittadini rispetto alle misure sociali. E’ accaduto allora che il primo ricorso contro il vincolo dei 10 anni ha ottenuto la censura della norma provinciale e il tribunale di Rovereto ha ordinato all’amministrazione provinciale l’immediata disapplicazione di questo dispositivo. Si è trattato di una brutta pagina per la reputazione dell’autonomia provinciale che dispone di un welfare rigoroso, serio, non assistenzialista che ha fatto della solidarietà e dell’inclusione un elemento distintivo. La Giunta provinciale si è trovata obtorto collo costretta ad adottare una delibera che ha disapplicato in via amministrativo la norma censurata dallo Stato perché discriminatoria. Tuttavia la norma sui 10 anni nella legislazione provinciale c’è ancora. Olivi ha ricordato che in Commissione la maggioranza ha preferito non accogliere la sua richiesta di proporre un atto di coordinamento tra le norme. Sarebbe stato giusto uniformare la legislazione provinciale a quella nazionale riducendo il requisito della residenza da 10 a 2 anni. Dal punto di vista istituzionale è per Olivi necessario che tale decisione sia fatta propria dal Consiglio provinciale che a suo tempo ha approvato la norma che è stata disapplicata e tuttavia ancora esistente. Il carattere discriminatorio di questa norma impone di toglierla dal nostro ordinamento.

Cosa che sarebbe coerente con le scelte compiute nel frattempo dalla Giunta in materia di misure a sostegno delle famiglie. Dopo il bonus bebè infatti la Giunta ha introdotto altre due misure: il prestito alle famiglie che prevede il requisito dei 2 anni di residenza e il contributo una tantum per dotare le famiglie numerose di risorse finanziarie fin dalla nascita del terzo figlio o dei successivi con riferimento al reddito e a coloro che risiedono da almeno 2 anni in Trentino. Sarebbe quindi una brutta pagina per la Provincia se oggi si registrasse la chiusura della maggioranza all’accoglimento di questo ddl che toglie dalla legislazione il vincolo dei 10 anni attualmente disapplicato ma che in presenza della norma potrebbe nuovamente essere applicato. Non è vero insomma che non serve abolire questa norma perché già disapplicata per via amministrativa.

Questa norma infatti è stata dichiarata discriminatoria. Olivi ha informato che questa mattina ai capigruppo è pervenuta una nota da alcune associazioni, dai sindacati, dalle Acli, dal Forum delle famiglie, dalla Commissione pari opportunità e da don Cristiano Bettega, per correggere questa distorsione che non è solo giuridica ma anche culturale. Si tratta di uniformare il bonus bebè alle altre misure a sostegno delle famiglie con figli prevedendo il requisito di 2 anni anche per la quota B dove sono attualmente previsti 3 anni di residenza. Non è politicamente discrezionale non intervenire per rimuovere dall’ordinamento della Provincia una norma incivile, oscurantista e discriminatoria come questa. Non c’era bisogno di attendere il giudizio della magistratura per rimuovere il vincolo irragionevole dei 10 se si vogliono sostenere le politiche di inclusione aiutando le famiglie ad inserirsi nelle comunità. Olivi ha esortato a una corale assunzione di responsabilità nel valutare questo suo ddl. Il nostro Statuto di autonomia è un pezzo di quella Costituzione che censura la legge provinciale.

 

 

 

Dalzocchio: la scelta politica è tutelare chi da più tempo risiede in Trentino

Mara Dalzocchio, capogruppo della Lega, ha letto la relazione di maggioranza sul ddl già esaminato dalla Quarta Commissione. A suo giudizio, visto che da un punto di vista giuridico le disposizioni non implicano alcuna violazione di legge e considerato che la questione consiste prevalentemente negli effetti discriminatori che le stesse determinerebbero, non so capisce perché Olivi consideri discriminatorio un periodo di dieci anni mentre non lo sarebbe quello di due. Ragionando in questi termini, se l’elemento discriminante fosse davvero il riferimento temporale, questo andrebbe del tutto rimosso dalla legge. La previsione del periodo di dieci anni, poco significativa dal punto di vista giuridico, consiste di fatto nel risultato di una scelta politica che vuole meglio tutelare quei cittadini che da più tempo risiedono sul territorio.

 

 

Spinelli: la Giunta ha presentato un ricorso in appello di cui ora attendiamo l’esito

L’assessore Achille Spinelli, (in allegato, il testo del suo intervento), dopo una breve sospensione dei lavori da lui richiesta per fornire chiarimenti alla maggioranza, ha ricordato che la Giunta si è adeguata alle sentenze ma non ha rinunciato a fare appello a difesa della scelta del requisito dei 10 anni. E lo ha fatto ritenendo che sia un suo diritto adottare regole provinciali in quest’ambito. Sul ddl Spinelli è poi entrato dettagliatamente nel merito dei 2 articoli del provvedimento di Olivi spiegando le ragioni del no della Giunta a questa proposta. Ora – ha concluso – la Giunta attende l’esito del contenzioso dovuto al ricorso in appello.

 

 

 

Le minoranze: scelta sbagliata dal punto di vista demografico ed economico.

Ugo Rossi (Misto-Azione) ha giudicato sbagliata la norma sui 10 anni di re
sidenza chiesti per l’accesso all’assegno di natalità innanzitutto dal punto di vista etico. Mettere non 2 o 3 anni ma 10 significa voler marcare una differenza troppo forte dando l’idea che si voglia proprio discriminare. Ma l’errore di questo requisito è anche pratico. Perché se l’obiettivo è aumentare i tassi di natalità in Trentino, il requisito dei 10 anni scoraggia le famiglie straniere che vogliono rimanere e decidono di vivere nella nostra provincia ad avere figli. E questo nonostante nel nostro territorio vi sia un gran bisogno di forza lavoro.
Lucia Coppola (Misto-Europa Verde) ha osservato che 10 anni sono un tempo infinito che sottraggono un diritto importante alle famiglie e ai loro bambini. “Perché – ha chiesto – dare all’esterno l’immagine di un Trentino ostile, chiuso e incapace di riconoscere a tutti i bambini gli stessi diritti? Il punto non è essere di destra o di sinistra ma di considerare le persone senza distinzioni esseri umani. Sono profondamente delusa – ha concluso – e un po’ mi vergogno”.

Alex Marini (Misto-5 Stelle) ha invitato a considerare le dinamiche demografiche che sono le stesse in Trentino come in Italia. Siamo in presenza di una crisi demografica evidenziata con dati precisi dall’ultimo rapporto Istat. Nel 2070 in Italia con il trend demografico attuale la popolazione si ridurrà a 47 milioni di persone. Anche in Trentino il decremento demografico sarà particolarmente spinto. Il numero degli anziani è in rapida crescita. A fronte di questa crisi demografica la Giunta decide di discriminare le famiglie nel momento in cui hanno bisogno di aiuti e sostegni per la natalità. Vi sono molti trentini che se ne vanno dalla nostra provinciale e molti stranieri che arrivano nel nostro territorio. Le famiglie straniere hanno mediamente un titolo di studio e un reddito più basso di quelle italiane. Le donne delle famiglie straniere molto spesso non hanno neanche un’occupazione. A questa situazione la Giunta non risponde.

Paolo Zanella (Futura) ha osservato che la politica oggi dovrebbe basarsi nel prendere decisioni sull’andamento demografico. L’Italia ha dagli anni ‘90 ha un saldo tra nati e morti e solo i migranti hanno evitato una decrescita grave. Dal 2017 in Italia si è registrato un calo della popolazione di 1 milione e 200 mila persone. Far politiche razziste che escludono le persone non invoglia i migranti a venire in Trentino. Ma avere una popolazione attiva è decisivo per lo sviluppo di una società. Porre un discrimine di 10 anni di residenza per poter chiedere la cittadinanza vuol dire essere l’unica realtà del Paese ad aver adottato un criterio di queste dimensioni. Questa norma è razzista e ideologica. Nel Veneto e in Lombardia non esiste un criterio come questo dei 10 anni. Le politiche del governo Meloni e della Giunta Fugatti mostrano che non si vuol capire che al nostro Paese e al Trentino serve una popolazione attiva, occorrono persone che lavorino. Non si può chiedere la patente di trentino doc per poter vivere nel nostro territorio se vogliamo aumentare la popolazione attiva nei prossimi 30 anni. Il Trentino è così poco attrattivo che gli stranieri nel nostro territorio sono calati di oltre 500 unità. La questione non è di umanità ma economica, per avere una popolazione attiva rispondente alla domanda delle imprese e dell’industria.

Lucia Maestri (Pd) ha sottolineato come finalmente l’Italia si sia dotata dell’assegno unico con una legge voluta dal quel governo Draghi che in quest’aula ha avuto anche dei picconatori. L’assegno unico è uno strumento bellissimo e fondamentale per Maestri e in Consiglio è stato con l’assessore Olivi che questa norma è stata introdotta. Una norma che ha per beneficiari i figli e le figlie indipendentemente dalla condizione economica delle famiglie a partire dai due anni di residenza anche non continuativa nel territorio italiano. Se sono i figli i destinatari, come si può discriminare tra figli? Come si fa a mantenere in vita una legge che discrimina tra figli? Questa norma deriva da una precisa scelta politica per meglio tutelare i cittadini trentini che da tempo risiedono nel nostro territorio. La norma sul requisiti 10 anni è una forma di discriminazione istituzionale che distingue tra italiani e stranieri credendo di lisciare il pelo a una parte dell’opinione pubblica. L’assegno unico riconosce pari opportunità di accesso ai progetti di vita che riguardano i figli.

Olivi ha osservato che l’intervento dell’assessore Spinelli è stato “puramente tecnico mentre questa è una questione politica”. A ben guardare però secondo Olivi una risposta politica della Giunta c’è stata, perché ricordare come ha fatto Spinelli di aver presentato appello contro le sentenze vuol dire difendere la scelta dei 10 anni di residenza. Inoltre la Giunta non ha voluto ascoltare gli appelli presentati dalla società civile. Infine Olivi ha rilevato che nella delibera della Giunta che disapplica la norma sui 10 anni sta scritto che si ritiene “opportuno”, mentre recepire una sentenza è un obbligo. Secondo il consigliere dei dem l’esecutivo con questa scelta si assume la responsabilità politica di essere l’unica provincia in Italia, anche tra le regioni amministrate dalla destra, ad avere una norma oscurantista come questa.

Denis Paoli (Lega) ha preso la parola per reagire all’accusa di razzismo che a suo avviso le opposizioni hanno scagliato ingiustamente contro la maggioranza e per la quale ha chiesto delle scuse. “Qui non si tratta di discriminazione – ha aggiunto – ma di distinguere tra chi vive e lavora in Trentino da sempre contribuendo al benessere di questo territorio e chi è invece qui da meno di meno di 10 anni.

Zanella ha precisato che sono stati i tribunali a definire la misura dei 10 anni di residenza discriminatoria nei confronti soprattutto di extracomunitari e in misura minore di stranieri comunitari. E ha ribadito di aver sempre definito razzista solo la norma.

Claudio Cia (FdI) ha sottolineato che la norma sul requisito dei 10 anni non parla di diritto alla cittadinanza ma di residenza. Non c’entrano neanche gli stranieri, perché questa stessa norma viene applicata anche a un lombardo o a un veneto che viene a vivere e a lavorare a Trento. La discriminazione e il razzismo non c’entrano nulla. Per Cia in quest’aula le minoranze fanno un processo alle intenzioni per attribuire alla Giunta e alla maggioranza un intento discriminatorio. La verità è che si vogliono evitare abusi per impedire a chi arriva da fuori trentino di approfittare delle misure di sostegno alle famiglie in vigore nella nostra provincia. Cia ha motivato il suo voto contrario sul ddl di Olivi non perché non condivida le preoccupazioni evidenziati dalle minoranza ma perché fino al terzo grado di giudizio la valutazione su questa norma va sospesa in attesa dell’esito dell’appello e dell’eventuale successivo passaggio finale.

I lavori in aula riprendono domani alle 10.00

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