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LANCIO D'AGENZIA

CATTANEO.ORG * SERVIZI FUNEBRI: « GLI ITALIANI SI LAMENTANO DEI COSTI E DELLA SCARSA EMPATIA, IL 55% DEGLI INTERVISTATI DICHIARA DI PULIRE LA TOMBA »

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08.06 - martedì 20 settembre 2022

 

L’organizzazione del funerale Anche rispetto all’organizzazione dei funerali e al ruolo delle imprese, l’indagine restituisce un quadro che appare lontano rispetto a molte ricostruzioni circolanti nel discorso pubblico. In primo luogo, perché i dati suggeriscono che in Italia i livelli di fidelizzazione dei clienti siano insospettabilmente elevati. In secondo luogo, perché risulta che la soddisfazione nei confronti dei servizi forniti dalle imprese funebri è tutt’altro che modesta. Questi due aspetti sono, come si vedrà tra poco, reciprocamente interconnessi. Consideriamo i risultati dell’indagine. Il primo dato è che le imprese funebri godono di una posizione decisamente solida in questo campo. È a un’impresa funebre che 9 famiglie su 10 si rivolgono per organizzare un funerale. Nel 61% dei casi è all’impresa di fiducia, quella a cui la famiglia si è tradizionalmente affidata, che ci si rivolge. Questo dato rivela che in questo campo il mercato riveste un peso del tutto marginale.

Solo l’1% delle famiglie, per esempio, dichiara di avere scelto l’impresa cercandola su un giornale o su internet. Perfino le “spintarelle” da parte del personale sanitario – molto enfatizzate nel discorso pubblico – sembrano giocare un ruolo tutt’altro che determinante. Solo il 4% degli italiani che hanno organizzato o partecipato all’organizzazione di un funerale dichiara di essersi rivolto a un’impresa su suggerimento del personale sanitario di un ospedale o di un hospice. È possibile naturalmente che i suggerimenti ricevuti siano più diffusi, ma il livello decisamente modesto del loro successo segnala lo scarto che esiste tra la percezione del fenomeno e la sua realtà. È perfettamente plausibile, infatti, che i livelli di diffusione delle pressioni verso i familiari siano superiori al 4%. Tuttavia, perché questi eventuali suggerimenti siano efficaci è necessario, in primo luogo che essi raggiungano le persone che effettivamente prendono le decisioni rispetto all’organizzazione del funerale, e in secondo luogo che tali suggerimenti siano effettivamente ascoltati, presi sul serio e che qualcuno decida di darvi seguito. Evidentemente questo accade meno frequentemente di quanto si pensi. Un po’ più alto appare, invece, il ruolo dei consigli che possono circolare all’interno delle cerchie parentali o amicali.

Un quinto degli intervistati dichiara di rivolgersi a un parente o a un amico per la scelta dell’impresa funebre. A ben vedere, però, anche questa modalità costituisce una variante della fidelizzazione, anziché un segno della presenza del mercato. Quelle consigliate, infatti, sono le imprese di cui parenti e amici, appunto, si fidano e che, per questa ragione appunto, sono oggetto di consigli. La reputazione delle imprese, quindi, circola all’interno delle cerchie di conoscenze personali. In queste svolgono un ruolo rilevante figure in grado di esercitare un’influenza sui comportamenti altrui proprio in virtù della posizione privilegiata di cui godono all’interno dei tali cerchie. La reputazione, qui, appare come una risorsa centrale nella distribuzione delle opportunità a disposizione delle imprese per incrementare la propria posizione.

Il rapporto tra servizi che vengono acquisiti sul mercato da una parte, e servizi che vengono acquisiti in base a relazioni fiduciarie e all’interno di reti sociali personali dall’altra, però, non appare caratterizzato dall’esistenza di una rigida separazione tra i due ambiti. Anzi. Se, infatti, osserviamo la distribuzione dei livelli di soddisfazione espressi dalle famiglie italiane verso i servizi ricevuti a seconda della modalità con cui hanno scelto l’impresa funebre a cui si sono rivolti, osserviamo una relazione interessante. Tanto più si riduce la fidelizzazione, tanto più si riduce la soddisfazione dei clienti. Passando dall’impresa scelta in base alla fiducia (impresa di famiglia o consigliata da amici o parenti), a quella scelta sul mercato, la soddisfazione registra flessioni di dimensioni tutt’altro che trascurabili. Ne consegue che, in questo campo, oggi in Italia il mercato è meno efficiente, dal punto di vista della qualità dei servizi e della soddisfazione dei clienti, del legame familiare, del “passaparola”, del rapporto fiduciario personale intergenerazionale di lungo periodo.

 

 

 

Le cerimonie e riti funebri I dati su cerimonie e riti funebri mostrano livelli insospettabilmente elevati di radicamento della tradizione religiosa in Italia. In un paese in cui, secondo la stessa indagine, solo un italiano su cinque va a messa regolarmente, la quasi totalità delle cerimonie continua a essere religiosa. Nel complesso il 93,4% dei funerali sono celebrati con una cerimonia religiosa. Le cerimonie laiche rimangono, quindi, una esigua minoranza. Solo nelle regioni settentrionali, e nelle grandi città, queste mostrano livelli non del tutto trascurabili, di poco inferiori al 10%. Di conseguenza anche il luogo in cui tali cerimonie si svolgono mostra livelli assai modesti di variabilità. La stragrande maggioranza delle cerimonie funebri avviene in chiesa. Per la precisione si tratta dell’88,8% del totale. Le restanti cerimonie sono celebrate in uno spazio all’interno di un cimitero o in un tempio crematorio (poco più del 6% del totale), oppure nelle case funerarie delle imprese di onoranze funebri (3% dei casi). Quest’ultima modalità cresce con la dimensione demografica dei comuni e passando dalle regioni meridionali e insulari a quelle centro-settentrionali del paese. Nonostante i numeri apparentemente modesti, si tratta di una modalità in forte ascesa. È possibile, infatti, confrontare questo dato con quello rilevato nell’indagine Prin del 2018.

In quell’anno, la quota di intervistati che dichiarava che l’ultima cerimonia funebre a cui aveva assistito si era tenuta in una casa funeraria era dello 0,8%4. Nell’arco dei 3 anni considerati, quindi, le cerimonie funebri celebrate nelle case funerarie sono cresciute con un tasso di incremento pari al 53,6% annuo. La diffusione delle cerimonie religiose suggerisce una certa persistenza della tradizione religiosa. Tuttavia, questo dato può anche nascondere una certa presenza, non misurabile, di cerimonie di confessioni diverse da quella cattolica, riconducibili in larga misura alla crescente presenza straniera. Gli intervistati, infatti, pur essendo tutti cittadini italiani, possono avere partecipato a una cerimonia religiosa di altra confessione di un amico, un collega, o un parente acquisito di origine straniera. I dati mostrano, poi, la persistenza di elementi cerimoniali propri di una lunga tradizione, tra cui spiccano i ricordini, e le processioni.

Poco meno della metà degli intervistati dichiara di avere ricevuto dalle famiglie del defunto un ricordino, sotto forma di foto del defunto stesso, o di immagine sacra. Oltre la metà, poi, ha dichiarato di avere partecipato a una processione – anche solo in forma ridotta e parziale si intende. Si tratta di un dato rilevante, soprattutto stanti i divieti a cui i cortei funebri sono stati sottoposti in misura crescente negli ultimi anni in alcune città. Un ulteriore elemento che segnala una certa persistenza della tradizione riguarda gli attori presenti sulla scena della cerimonia e titolati a prendere la parola. Nel 90% dei casi a parlare durante la cerimonia funebre è un sacerdote, prevalentemente un prete. Sempre più frequentemente al sacerdote si aggiungono – nel 40% dei casi – parenti e amici del defunto e della famiglia, in particolare nelle regioni del centro-nord e nelle grandi città, e colleghi del defunto, in poco meno del 17% dei casi. Non del tutto marginale, però, appare la presenza di un’altra figura che lentamente si affaccia sulla scena. È quella di un cerimoniere dell’impresa funebre, che prende la parola in poco meno del 10% dei casi. Inoltre, più della metà degli intervistati dichiara di avere fatto visita alla salma in occasione dell’ultimo funerale a cui ha partecipato. Nella maggior parte dei casi la visita è avvenuta a casa, meno frequentemente in un obitorio di un ospedale o in una casa funeraria. La quota di chi ha fatto visita a casa, però, cresce passando dalle regioni del Centro-Nord a quelle del Sud, mentre la quota di chi l’ha visitata in un obitorio di un ospedale cresce passando dal Sud al Centro Nord, e quella di chi l’ha visitata in una casa funeraria passando dal Sud e dal Nord-Est, al NordOvest, per raggiungere la quota più alta nelle regioni dell’Italia centrale. La presenza al momento della chiusura della bara resta minoritaria, ed è spesso riservata ai familiari più stretti. Tuttavia questa tradizione sembra crescere passando dalle classi superiori a quelle lavoratrici, e dai ceti più istruiti a quelli meno istruiti. Lo stesso avviene nel caso della presenza al momento della collocazione della bara a terra, o in loculo. È tra gli appartenenti ai ceti relativamente svantaggiati che questi due momenti sono considerati più importanti, e quindi maggiormente frequentati.

 

 

 

 

Le visite al cimitero Incidenza e prevalenza della visita al cimitero Nel corso del 2021 il 64% degli italiani è andato almeno una volta al cimitero. Nella metà dei casi questo è avvenuto in occasione del 2 novembre, giorno della Commemorazione dei defunti. Si tratta di una quota inferiore a quella abituale, e fortemente influenzata dalle restrizioni imposte, in quell’anno, dalla pandemia5. La disponibilità a visitare il cimitero è lievemente più alta tra le donne che tra gli uomini, cresce fortemente con l’età, al diminuire delle dimensioni del comune di residenza e al diminuire del titolo di studio, e in generale passando dagli strati più a quelli meno privilegiati sotto il profilo della posizione sociale ed economica. L’indagine Orme consente anche di valutare le dimensioni della frequenza con cui gli italiani si recano al cimitero. Escludendo il giorno della Commemorazione dei defunti, oltre il 23% degli italiani, quindi quasi uno su quattro, dichiara di essere andato al cimitero più di quattro volte nel corso dell’anno precedente, e oltre il 13% di esserci andato una volta al mese, o anche più. Livelli decisamente elevati di frequenza al cimitero sono osservabili tra la popolazione più anziana. Già oltre i 55 anni la quota di chi va al cimitero almeno una volta al mese supera il 17%, oltre i 70 arriva al 23,5%.

Ma livelli di frequenza elevata si registrano anche nei comuni più piccoli. Nei comuni al di sotto dei 20 mila abitanti una frequenza almeno mensile al cimitero si registra in una quota della popolazione variabile tra il 16% e il 18%. Nelle grandi città questa è inferiore al 9%. Inoltre la frequenza regolare al cimitero appare un tratto che caratterizza lo stile di vita di chi appartiene alle classi lavoratrici o da queste proviene, come mostra la crescita della percentuale di italiani che dichiara di recarsi al cimitero almeno una volta al mese passando dai diplomati a non diplomati, e dai “colletti bianchi” ai “colletti blu”6. L’abitudine a rendere visita ai propri morti sembra quindi persistere nei centri medio-piccoli e piccoli, e nei ranghi delle classi lavoratrici, mentre sembra indebolirsi nelle città medie e grandi, e tra gli appartenenti alle classi medie impiegatizie, alla borghesia urbana media e grande, ai dirigenti e professionisti.

Luca Franceschi

347/8324756

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Testata iscritta al Tribunale di Trento n° 772 del 20/8/1992

 

 

 

 

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