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AUTONOMISTI POPOLARI * CASO KASWALDER – PRUNER: BALSAMO, « IL PARTITO È COMPATTO ATTORNO AL SUO PRESIDENTE, SE NE FACCIANO UNA RAGIONE LE MINORANZE »

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09.18 - lunedì 22 giugno 2020

Caso Kaswalder – Pruner. Torniamo alla politica alta. Che nella politica trentina regni in questo momento una grande confusione è innegabile. Che la cosa riguardi solo il centrodestra è opinabile. Che i mestatori di professione ne approfittino, è comprensibile. Che ricorrano a mezzi inappropriati per farlo, diffondendo notizie false e destabilizzanti è inaccettabile. E’ stata fatta circolare ad esempio la voce che ci sarebbe stato un vertice per decidere sul candidato sindaco Alessandro Baracetti. Falso.

Non esiste nessun vertice, né è stato programmato, semplicemente perché non c’era nessun bisogno di farlo. Baracetti era, è e rimane il candidato del centrodestra sostenuto con convinzione da Lega, Autonomisti popolari, Forza Italia e da Fratelli d’Italia. Progetto trentino, con l’appoggio di Cia punta sulla Zanetti, mentre i centristi di ispirazione democristiana convergono su Marcello Carli. La situazione di divisione è palese, ma piuttosto chiara.

Altro capitolo: quello del presidente del consiglio provinciale, Walter Kaswalder, sotto attacco delle minoranze sin dall’inizio della legislatura. Si vuol far passare il doveroso riserbo del suo partito, Autonomisti popolari – Fiocco di neve, su una questione istituzionalmente delicata, come una presa di distanza dal suo operato. Nulla di più lontano dalla realtà. Il partito è compatto attorno al suo presidente, se ne facciano una ragione le minoranze e in particolare il suo vecchio partito di appartenenza, il Patt.

Sulla vicenda Walter Pruner, assunto da Kaswalder dopo che lo stesso era stato scaricato proprio dal Patt, abbiamo assistito a una serie davvero imbarazzante di atteggiamenti, proposte e decisioni da parte delle minoranze che hanno messo in campo il peggio che la politica può proporre, tanto da indurre alle dimissioni l’unica loro testa politicamente pensante, il capogruppo del PD, Giorgio Tonini.

E’ un dato di fatto che da oltre un ventennio la sinistra non riesca a sopravvivere senza un nemico da demonizzare. Lo ha fatto con Berlusconi, ha proseguito con Salvini, mentre ora, in sede locale, il suo Belzebù, il nemico da abbattere, lo ha trovato in Walter Kaswalder. Facendosi scudo di una sentenza di primo grado e quindi passibile di essere rivista nei successivi gradi di giudizio (il padre costituente ha ritenuto che anche i giudici sono uomini e che quindi possono sbagliare, prevedendo tre gradi di giudizio) ha ripreso con maggiore veemenza i suoi attacchi iniziati un paio di anni orsono.

Questo accanimento sul caso Pruner ignora che il Presidente Kaswalder, proprio perché la cosa era delicata e riguardava un dipendente del Consiglio, prima di assumere una decisione per lui difficile, sofferta e dolorosa, data la sua storia personale e politica, come quella dello stesso Pruner, ha raccolto i pareri della dirigenza del Consiglio stesso. Ma c’è di più. Le minoranze hanno dimostrato una mancanza di senso delle istituzioni e di ragionevolezza politica nei loro comportamenti successivi davvero inquietante. Hanno cominciato a chiedere le dimissioni di Kaswalder.

Poi hanno chiesto ai loro rappresentanti in ufficio di presidenza di impedire il ricorso contro la sentenza obbligandoli a violare il loro dovere di imparzialità e rendendoli corresponsabili di fronte alla Corte dei Conti dell’eventuale danno erariale arrecato impedendo il ricorso (bel comportamento istituzionale!). Risultata autolesionista questa strada, hanno invitato i membri dell’ufficio di presidenza a dimettersi in blocco. Di fronte al loro nuovo rifiuto, supportato da motivazioni meschine e risibili (“Io mi dimetto solo se si dimettono anche gli altri”) sono arrivate alla fine, per disperazione, a proporre una mozione di sfiducia, firmata, ahi loro, anche dai tre componenti l’ufficio di presidenza. Una firma, quella dei tre, o apposta con leggerezza, o su imposizione delle rispettive forze politiche.

In ogni caso una firma sbagliata e non necessaria. Se infatti volevano prendere le distanze dall’operato del loro presidente avevano solo una strada: quella delle dimissioni. Avendo aderito con la loro firma a un documento di parte, hanno clamorosamente violato proprio quel principio di imparzialità e di obbligo di essere “super partes” nelle vicende riguardanti il Consiglio che riguarda anche loro e non solo il loro presidente. Né possono sottrarsi all’accusa di aver firmato la mozione di sfiducia, rifiutando di dimettersi, proprio perché sanno che la mozione verrà respinta. Ma come faranno a rimanere dignitosamente nell’ufficio di presidenza dopo aver sfiduciato il proprio presidente ed essersi visto respinto dal Consiglio il loro gesto di sfiducia? Dignità personale, prima ancora che politica, imporrebbe loro l’obbligo di dimettersi.

In questo desolante quadro politico noi autonomisti popolari -fiocco di neve, abbiamo scelto la strada di un dignitoso silenzio. Non certo per mancanza di solidarietà nei confronti del nostro presidente, al quale rinnoviamo tutta la nostra fiducia, ma per rispetto delle istituzioni. Quel rispetto che evidentemente non può avere chi è abituato a vedere la pagliuzza nell’occhio altrui, ma non vede mai la trave nel proprio. Se davvero vogliamo bene al Trentino, usciamo dalle meschinità, dalla ricerca di rivincite personali. Ritorniamo, se ne siamo capaci, alla politica alta.

 

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Barbara Balsamo

Per gli autonomisti popolari

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