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ARCIDIOCESI TRENTO * DOMENICA PALME: ARCIVESCOVO LAURO, « L’UNICA POSSIBILITÀ DI SALVEZZA PASSA DALL’AMORE CHE SI FA PROSSIMITÀ, SERVIZIO E DEDIZIONE »

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11.13 - domenica 28 marzo 2021

“Ringrazio il Signore per avermi fatto ritrovare la salute e con essa la forza per celebrare insieme con voi il sacramento del suo Amore che si rinnova in questa Pasqua”. Così l’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, nel suo saluto al termine della Messa in cattedrale nella Domenica delle Palme (ore 10, diretta Tv e streaming), giorno del rientro all’attività pastorale dopo aver superato il Covid.

“Ho conosciuto di persona – sottolinea monsignor Tisi – la durezza di un virus che da più di un anno sta segnando in modo indelebile le nostre vite. Penso a quanti non ce l’hanno fatta. E alle famiglie che li hanno pianti da lontano. Oggi riprendo a camminare tra voi e condivido il passo un po’ più rallentato di chi sta uscendo dai postumi di una malattia che lascia profondamente il segno, a cominciare dalla solitudine dell’isolamento che essa comporta”.

Don Lauro, come già nei giorni della malattia, esprime il proprio grazie per la vicinanza di tutta la comunità trentina e ricorda quanti si spendono per l’assistenza evocando l’immagine della carezza dell’”infermiera che in questi ultimi giorni si è sostituita alla mamma di un neonato ricoverato per Covid, divenendo l’ennesima icona della professionalità mai separata dall’umanità. Sono questi gesti – aggiunge l’Arcivescovo –, è il dono di compassione che questa emergenza ci ha svelato, ad aiutarci ad avanzare in un percorso dove la luce appare ancora molto lontana. Oggi e in questa Settimana Santa celebriamo il trionfo della passione del Dio di Nazareth per l’uomo. Egli soffre e piange con noi e per noi. Egli ci porterà a rivedere la luce.”

Nell’omelia, monsignor Tisi si sofferma sul significato della paura e della solitudine provate da Gesù sul Calvario: esse “hanno le loro radici – spiega – nella sua volontà di non abdicare in alcun modo all’amore e all’appassionata ricerca del volto dell’uomo; nascono dal suo non voler mai rinunciare a chiamarlo fratello e sorella”. “L’unica possibilità di salvezza, in quest’ora tanto difficile, passa ancora una volta solo dall’amore che si fa prossimità, servizio, dedizione, presenza amica e solidale. La medicina per le nostre paure, allora, è il percepirci fratelli e sorelle, come continua a ricordarci papa Francesco”.

 

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Domenica delle Palme
(Cattedrale 28 marzo 2021)

Cominciò a sentire paura e angoscia. E disse: “L’anima mia è triste fino alla morte”. (Mc 14 33-34)
I frequentatori del mondo della religione, e perfino i teologi, faticano a mettere sulle labbra di Dio simili affermazioni.

I Vangeli, invece, senza alcun imbarazzo ed esitazione mostrano la paura di Gesù, la sua solitudine, il suo bisogno di compagnia.
In quest’ora così carica di tristezza, di smarrimento e di angoscia, l’identificazione con i sentimenti di Gesù risulta facile e naturale. Ma questo non attutisce lo scandalo di fronte alla paura e all’angoscia del Signore.
Come possiamo dare credito alla lettera agli Ebrei che ci invita a tenere lo sguardo fisso su di Lui? Come può trasformarsi in salvezza un uomo solo e impaurito? Come può nascere vita dalla paura e dalla solitudine?

Per trovare le tracce di una possibile risposta dobbiamo andare a cercarne le fonti: paura e solitudine di Gesù hanno le loro radici nella sua volontà di non abdicare in alcun modo all’amore e all’appassionata ricerca del volto dell’uomo; nascono dal suo non voler mai rinunciare a chiamarlo fratello e sorella.
È questa radicale decisione a rendere feconda la Sua paura e regalare vita.
Gesù attraversa la paura non da eroe: se così fosse sarebbe rimasta una vittoria personale. Ma la fa sua, abitandola fino in fondo. Da quel giorno abbiamo la buona notizia che non siamo più soli nel vivere le nostre paure e solitudini; abbiamo la compagnia del Signore della vita, che ne ha fatto fino in fondo l’esperienza.

Tante nostre paure generano panico e disperazione perché, a differenza di Gesù, nascono dalla strenua difesa del nostro ego, delle nostre aspettative e delle posizioni di rendita a cui non siamo in alcun modo disposti a rinunciare. Questo blocca la possibilità di immaginare soluzioni inedite e coraggiose.
Ecco allora che l’unica possibilità di salvezza, in quest’ora tanto difficile, passa ancora una volta solo dall’amore che si fa prossimità, servizio, dedizione, presenza amica e solidale. La medicina per le nostre paure, allora, è il percepirci fratelli e sorelle, come continua a ricordarci papa Francesco.
In questa luce trova risposta e spiegazione l’accorata preghiera di Gesù al Padre: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu.” Mc 14,36

La volontà del Padre non è assolutamente la sofferenza del Figlio – il Padre partecipa fino in fondo con lo Spirito Santo al dolore del Figlio -, ma è il rimanere saldi nell’amore. La volontà del Padre è la scoperta che la vera morte è smettere di amare. Lontano dall’amore non può esserci nessuna vita, ogni volta che l’odio prende il sopravvento si comincia a morire. Nelle parole del centurione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”, (Mc 14,39) abbiamo l’identikit dell’autentico discepolo di Gesù.
I cristiani sono coloro che passano dalla morte alla vita perché amano i fratelli.

+arcivescovo Lauro

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