Con la messa in liquidazione alle elezioni di Trento del polo chimico in provetta di Patt, Civica Gottardi, Lista Fugatti presidente, va in archivio anche il triciclo politico di ultima generazione. Di questa esperienza rimangono tre ruote forate a bordo strada e le contumelie degli automobilisti elettori che lamentano un insopportabile ed incoerente gesto politico di cui apparentemente non si è capito il senso, comunque lo si osservi.
Con le tre forze politiche in oggetto che cubano a Trento il 4,99% ed uno dei livelli elettorali più bui dell’autonomismo nostrano, alcune considerazioni nascono spontanee.
Non è tanto e solo il dato contabile a rilevare. Esso dice di una sconfitta rovinosa come in politica può capitare. Ad essere decisiva è invece la mercimonica irrilevanza politica in cui oggi gli Autonomisti storici si sono infilati. Proprio quando maggiore è la crisi partecipativa in terra di autogoverno, la forza che più di altre avrebbe dovuto suonare la carica, ponendo in campo un richiamo forte ai valori fondanti della coerenza, coesione e responsabilità, proprio questa forza abdica al ruolo.
Una rinuncia che affonda le proprie ragioni nella volontà di mettere a mercato il proprio patrimonio valoriale, a favore di rendite di posizioni riferite ad un ristrettissimo quanto bulimico gruppo dirigente. È chiaro che la destrutturazione di un’organizzazione, qui di un partito, appartiene al ciclo naturale delle cose. Non ce ne meravigliamo. Altro è però quando ciò avviene dall’interno, sotto i colpi del fuoco amico.
Numerosi furono, nella storia, i tentativi esterni di sfarinamento del movimento autonomista, dai tempi dell’ Asar passando agli anni ‘80 in cui una parte della Democrazia Cristiana cavalcò ed appoggiò poi la divisione tra l’area popolare del Pptt-Ue e quella movimentista di un rampante autonomismo sedotto da solido pragmatismo.
Ma non è, quello attuale, il caso. Con l’artificio del citato “polo chimico in provetta” si sono svolte a Trento le prove di terzo polo civico autonomista, con l’obiettivo di una futura marginalizzazione politica di Fratelli d’Italia, con bersaglio provinciali 2028.
Intanto la marginalità è assicurata al sodalizio autonomista bistellato che, oltre al capoluogo, frana al minimo storico del 4,77% addirittura nella roccaforte simbolo di Pergine Valsugana.
Il capolavoro politico trova nell’ avvedutezza “democristiana” dell’attuale Presidente leghista il suo apogeo. Egli è riuscito laddove neanche la Dc degli anni ‘70/80 osò, allorquando una parte della corazzata scudocrociata individuò nella componente autonomista una concorrente collateralità politica da depotenziare.
Rispetto a quel tentato processo di sterile infiltrazione valoriale, quello odierno ha trovato invece feconda permeabilità e condivisione di intenti da parte dell’attuale dirigenza autonomista.
La stessa permeabilità che si traduce in un disinvolto, continuo funambolismo politico sulla diga di valori dimenticati, per i quali tra interesse pubblico ed utilità di parte la scelta finale ricade sempre sulla seconda. Quella diga valoriale oggi è stata rasa al suolo dalla scelta nazional sovranista del 2023 e conseguenti evoluzioni.
Quella svolta contro natura che rimarrà quale marchio a fuoco nel segnalibro della storia autonomista, ha escluso dalla realtà politica autonomista trentina non solo una percentuale elettorale: sarebbe il meno.
Il punto decisivo è che quella svolta politica di approccio mercantile presenta oggi un totale conto in rosso. Un conto salato che vede l’abbandono dell’ asset identitario e territoriale, la sudditanza politica in un’area intasata e priva di prospettiva, la irrilevanza non solo politica ma anche ideale, in un caravanserraglio sovranista che può, con questi esiti elettorali, prescindere addirittura dagli autonomisti.
Fare a meno cioè anche di quell’autonomismo sano, le cui tracce elettorali sono ridotte ormai a carattere testimoniale: quello zoccolo duro, vittima inerme, parte lesa di una spericolata guida contromano anagraficamente destinato a naturale consunzione.
Rimane ora, e spero non definitiva, la triste attualità di una memoria tradita, di un travaglio politico che ha resistito alle ingiurie del tempo per quasi ottant’anni, imbullonato a principi etico politici innegoziabili, di autogoverno ed identitari.
Essi furono capaci di mediare anche all’interno di panorami fatti di confronti aspri ed errori, dove era però chiaro il valore della peculiarità, della diversità, della solidarietà, del rispetto, del istituzionale e dell’avversario, della condotta coerente, in un alveo di totale buonafede.
Adesso, per gli Autonomisti, è il momento della elaborazione del lutto. Si dischiudono percorsi di letizia comprimaria, in cui l’incasso del dividendo ego rivolto è l’unica ragione di vita anche a rischio di scodinzolante sudditanza politica: la cedola della irrilevanza è pagata in cambio di apparenti, ingannevoli riconoscenze.
Come lo fu l’utilizzo improprio dello strumento dell’Assessorato tecnico al Segretario di partito per inchiavardare quest’ultimo a vassallo coalizionale per il resto di Legislatura e forse oltre.
Se dunque nemmeno su detti minimi valori innegoziabili, una forza politica decide di non porre discriminanti, preferendo blindarsi all’interno di derive sovrano nazionaliste irricevibili, la postura piu ottimistica che per essa si prospetta preconizza un totale assorbimento o la sua scomparsa.
Il fatto è che in questo caso non si tratterebbe di un affare di famiglia interno agli Autonomisti, ma di un lutto politico che la nostra Terra non merita a prescindere.
Il software autonomista è infatti da sempre parte integrante di un più complesso hardware politico, che non può prescindere dal primo.
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Walter Pruner
Trento