(Il testo seguente è tratto integralmente dal documento inviato all’Agenzia Opinione) –
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TRIBUNALE DI TRENTO RICORSO EX ART. 281 DECIES E SS. C.P.C.
per l’instaurazione di un procedimento semplificato di cognizione promosso da:
i sig.ri XXXX XXXX (C.F.: XXXX ), nato a XXXX (XX), il XXXX , residente in XXXX (XX ), alla XXXX , e XXXX XXXX (C.F.: XXXX ), nato a XXXX (XX ), il XXXX 0, residente in XXXX (XX), alla XXXX, rappresentati e difesi dall’avv. XXXX XXXX (C.F. XXXX) del Foro di Trento, ed elettivamente domiciliati presso il medesimo difensore con indirizzo p.e.c. @pectrentoavvocati.it, tratto da XXXX , e studio in XXXX (XX), al XXXX n. XXXX , giuste procure speciali, da considerarsi apposte in calce ed in ogni caso firmate digitalmente ed inserite nella busta telematica contenente il presente ricorso ai sensi dell’art. 83, co. 3, c.p.c.; si autorizza la Spett.le Cancelleria ad inviare le comunicazioni e notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo p.e.c. @pectrentoavvocati.it
– ricorrenti/attori –
contro
la Regione Autonoma Trentino – Alto Adige/Südtirol (C.F. 80003690221), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, con sede legale in Trento, alla via Gazzoletti, n. 2
e, per quanto occorrer possa, contro
- la Provincia Autonoma di Trento (C.F. e P.IVA 00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro tempore, con sede legale in Trento, alla piazza Dante, n. 15;
- la Provincia Autonoma di Bolzano (C.F. 00390090215), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro tempore, con sede in Bolzano, alla piazza Silvius Magnago, 1;
- il Commissario del Governo per la Provincia di Trento (C.F. 80016550222), con sede in Trento, al corso III Novembre, n. 11, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato in Trento al Largo Porta Nuova 9;
- il Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano (C.F. 80004460210), con sede in Bolzano, al viale Principe Eugenio di Savoia,
- 11, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato in Trento al Largo Porta Nuova 9;
- il Presidente della Corte d’Appello di Trento (C.F. 80016940225), Trento, Largo Pigarelli, n. 1, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato in Trento al Largo Porta Nuova 9
– resistenti/convenuti –
FATTO
- Gli odierni Ricorrenti XXXX XXXX , residente nel Comune di XXXX , e XXXX XXXX , residente nel Comune di XXXX , sono entrambi cittadini residenti in Comuni della Regione Trentino-Alto Adige, ed hanno esercitato il proprio diritto di voto, nei rispettivi Comuni di residenza (XXXX e XXXX ), in occasione del turno elettorale generale dell’anno 2020 per l’elezione dei Sindaci e Consigli comunali; entrambi saranno altresì chiamati ad esprimere, nuovamente, il proprio voto a seguito della scadenza naturale dei predetti organi elettivi ( nn. 1, 2, 3, e 4).
- Come è noto, il turno elettorale generale dell’anno 2020 era stato svolto nei giorni del 20/21 settembre 2020, diversi mesi dopo la scadenza del mandato quinquennale, in conseguenza delle inevitabili misure legislative che avevano disposto lo slittamento della data elettorale a causa delle vicende epidemiologiche del Covid-19.
L’art. 1, comma 1, della L.R. T.A.A. aveva infatti disposto che “Il turno elettorale generale dell’anno 2020 per l’elezione del Sindaco e dei consigli comunali, in deroga a quanto stabilito dall’art 217, comma 1, della legge regionale 3 maggio 2018 n. 2, si svolge in una domenica compresa tra il 1° settembre e il 15 dicembre 2020”; così incrementando
la durata degli organi uscenti (“I consigli comunali e i sindaci soggetti a rinnovo nel turno elettorale generale dell’anno 2020 restano in carica fino all’elezione dei nuovi, in deroga alla durata quinquennale stabilita dall’articolo 46, comma 1, e dall’articolo 58, comma 1, della legge
regionale n. 2 del 2018” – cfr. l’art. 1 co. 3 L.R. n. del 2020).
Cionondimeno, gli stessi erano stati convocati per esercitare il diritto di voto nel turno elettorale generale così differito per eleggere nuovi organi ordinari, senza che fosse stato divulgato, in occasione delle votazioni, che il turno elettorale, appunto generale del 2020, avrebbe gemmato organi di durata diversa e minore di quella quinquennale.
- Senonché, gli odierni Ricorrenti hanno avuto di recente notizia dalla stampa locale dell’approvazione del decreto del Presidente della Regione autonoma Trentino-Alto Adige Südtirol del 19 dicembre 2024, 21, avente ad oggetto “Convocazione dei comizi elettorali per l’elezione del sindaco e dei consigli comunali in 157 comuni della provincia di Trento e in 111 comuni della provincia di Bolzano nonché per l’elezione diretta dei consigli circoscrizionali in un comune della provincia di Trento e in un comune della provincia di Bolzano” (doc. n. 5).
Con detto provvedimento, sarebbe stata fissata al 4 maggio 2025 la data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione diretta del Sindaco e dei Consigli comunali della Regione T.A.A., disponendo così l’abbreviazione della durata del mandato quinquennale ex lege degli organi elettivi in carica.
E tale provvedimento è stato poi confermato dalla Circolare 23 dicembre 2024, n. 4/EL/2024 della Dirigente della Ripartizione II – Enti locali, previdenza e competenza ordinamentali – Ufficio Enti locali, elettorale e competenze ordinamentali della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, avente ad oggetto “Turno elettorale generale 2025. Articolo 217-bis del CEL (“Disposizioni particolari per il turno generale”). Portata e ambito applicativo. Cronoprogramma del turno elettorale generale” (doc. n. 6).
- Tale abbreviazione della durata degli organi eletti vulnera gravemente – oltre allo jus in officio degli eletti – il diritto di voto espresso dai Ricorrenti, che a giusto titolo pretendono che gli effetti del proprio voto perdurino per la durata quinquennale prevista dai principi generali e dalle norme fondamentali di cui alla disciplina vigente in modo eguale su tutto il territorio nazionale. Tanto ciò è vero che in tutte le altre Regioni, vuoi per l’applicazione diretta della disciplina statale1, vuoi per l’applicazione della disciplina di conio regionale (Regioni speciali)2 il prossimo turno elettorale si svolgerà nel primo semestre del 2026, proprio per non decurtare inammissibilmente la durata degli organi in carica, portandola al di sotto dei cinque anni.
- Per il vero, la sopra citata legge regionale n. 1 del 2020 aveva anche previsto che “I consigli comunali e i sindaci eletti nel turno elettorale generale dell’anno 2020 restano in carica fino al turno elettorale generale dell’anno 2025, in deroga alla durata quinquennale stabilita dall’articolo 46, comma 1, e dall’articolo 58, comma 1, della legge regionale 2 del
2018” (art. 1, comma 4, della medesima legge reg. 23 giugno 2020, n. 1), ossia nel turno elettorale che si tiene “in una domenica compresa tra il 1 maggio e il 15 giugno” (art. 217, comma 1, L.R. 3 maggio 2018, n. 2 e ss.mm.). Con ciò stabilendo, senza alcuna ragione, detta illegittima quanto sorprendente decurtazione.
- Per quanto sopra esposto, i sopraindicati Ricorrenti instano con il presente atto per chiedere l’accertamento e la tutela dei propri diritti di
1 A livello nazionale, il principio della durata quinquennale del mandato ha trovato piena conferma, come si dirà più precisamente infra, nel combinato disposto di cui all’art. 1 del D.L. 20 aprile 2020, n. 26, conv. in L. 19 giugno 2020, n. 59, e dell’art. 1, comma 2, legge 7 giugno 1991, n. 182. Ai sensi delle citate disposizioni, infatti, il Legislatore statale, da una parte, aveva disposto il differimento delle elezioni amministrative (comunali e provinciali) previste per il turno annuale ordinario “in una domenica compresa tra il 15 settembre e il 15 dicembre 2020”; dall’altra, ha comunque mantenuto la previsione di cui al citato art. 1, comma 2, legge 182/1991, in base alla quale il successivo rinnovo degli Organi elettivi si sarebbe svolto in occasione del primo turno ordinario annuale successivo, appunto, alla scadenza del quinquennio, ossia nella finestra temporale aprile-giugno 2026.
2 cfr. art. 1, legge reg. Sardegna 5 maggio 2020, n. 13; art. 8, legge reg. Friuli Venezia
Giulia 1 aprile 2020, n. 5; art. 48, legge reg. Valle d’Aosta, 13 luglio 2020, n. 8; art. 1,
comma 1, legge reg. Sicilia, 21 maggio 2020, n. 11.
rango costituzionale – ossia del diritto di voto e del diritto di elettorato attivo, sanciti dall’artt. 1, 2, 3, 48, 51, 114, 117 Cost., dello Statuto speciale di Autonomia e dall’art. 73 della Legge reg. 3 maggio 2018 n. 2 che afferma il diritto di elettorato attivo, in combinato con l’art 46, co. 1, Legge reg. n. 2/2018, il quale stabilisce la durata quinquennale degli organi eletti (“I consigli comunali restano in carica cinque anni”), in conformità ai principi generali e alle norme fondamentali nella materia de qua.
Ciò in quanto il Legislatore, con mera legge-provvedimento (o a contenuto singolare), riducendo a quattro anni e mezzo circa la durata del mandato degli Organi di governo eletti direttamente dagli elettori residenti sul territorio regionale, ha, all’evidenza, violato il diritto di voto e il diritto di elettorato attivo degli odierni Ricorrenti:
- sia sotto il profilo della vulnerazione dell’espressione del voto manifestato in occasione del turno elettorale generale del 2020 – quale esternazione della sovranità popolare dei cittadini (tra cui gli odierni Ricorrenti);
- sia sotto il profilo dell’obbligo di esercitarlo nuovamente in modo intempestivo, quando il mandato assegnato dal Corpo elettorale ai Sindaci e ai Consigli comunali, pari a 5 anni, non si è consumato in forza di alcuna plausibile ragione, bensì solo in base ad una legge regionale gravemente incostituzionale.
DIRITTO
Violazione dell’art. 48 della Costituzione e degli artt. 46 e 73 della Legge regionale 3 maggio 2018 n. 2 e ss.mm.
Violazione dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e di norme fondamentali di riforme economico-sociali rinvenibili nell’art. 51 del D.lgs 18 agosto 2000 n.267.
Illegittimità costituzionale per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3, 48, 51, 114 e 117 Cost., e dell’art. 4 dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige.
Violazione dei principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica e di norme fondamentali di riforme economico-sociali. Violazione di obblighi internazionali. Violazione dell’art. 3 Cost. per manifesta irragionevolezza.
Illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge reg. Trentino-Alto Adige 23 giugno 2020, n. 1 unitamente all’art 217,
comma 1, della legge reg. Trentino-Alto Adige 3 maggio 2018 n. 2 per i profili sopra indicati e nei limiti che saranno illustrati.
- Il diritto dei Ricorrenti sussiste ed è affermato nei principi evincibili dalla disciplina statale ed anche dalla disciplina regionale, che fissano in cinque anni la durata degli organi comunali, così come indicati in
- Non vale ad escludere tale diritto, così come non può legittimare la menomazione che si intenderebbe perpetrare, la previsione espressamente derogatoria di cui all’art. 1, comma 4, della R. 23 giugno 2020, n. 1 poiché quest’ultima, unitamente all’art. 217, comma 1, della legge reg. Trentino-Alto Adige 3 maggio 2018 n. 2, si presenta all’evidenza costituzionalmente illegittima, per le seguenti ragioni.
- Sia consentito ricordare, a mo’ di breve richiamo del quadro di riferimento, che la disciplina della materia elettorale impinge sull’esercizio dei diritti politici e, per tale ragione, come è stato autorevolmente affermato, la stessa deve trovare riferimento nella legislazione statale, l’unica che – eguale sull’intero territorio nazionale – può garantire l’equilibrio generale degli interessi e dei diritti dei cittadini a partecipare alla vita pubblica ed alle cariche politiche (cfr. Corte Cost., 8 luglio 1957, n. 105).
Diritti che, sia consentito rilevarlo, si annoverano nella categoria dei diritti fondamentali di cui all’art. 2 della Costituzione.
E’ stato infatti affermato che “…proprio il principio di cui all’art. 51 Cost. svolge «il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione)» (sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990)” (Corte Cost., Sent., 23 aprile 2010, n.
143).
Orbene, sulla base di tale rilievo è stato affermato, sempre dal
Giudice delle Leggi, già nei primi anni di esercizio del suo elevato Magistero, che “le leggi statali in materia di diritti politici, e particolarmente in materia elettorale, sono leggi di attuazione della Costituzione, la quale al riguardo si limita ad enunciare soltanto criteri di massima, non compiutamente definiti; e pertanto non si vede come potrebbe ritenersi salvaguardata l’unità politica dello Stato in presenza di leggi regionali regolanti, in modo diverso da quanto il legislatore statale ha stabilito, una materia che, come si é affermato incide sulla garanzia della libertà democratica del Paese” (Corte Cost., 14 aprile 1965, n. 26).
Tale necessaria unitarietà, intesa come omogeneità di trattamento di siffatti, delicati, diritti politici, ovviamente non preclude l’esistenza di ambiti di regolamentazione spettanti ai legislatori regionali, posto che anche su di essi incombe il medesimo onere di salvaguardare detto obiettivo, che si realizza, appunto, con il rispetto, da parte dei medesimi legislatori regionali, dei principi evincibili dall’ordinamento giuridico e dalle norme fondamentali o di principio generale fissate dal legislatore statale, idonee ad imporsi, rispettivamente, sulla competenza legislativa regionale, primaria o concorrente.
E ciò, quindi, anche per i Legislatori regionali che sono titolari di competenza legislativa primaria, laddove, come nel caso che qui interessa, la disciplina indubbiata, di cui si dirà, costituisce esercizio della potestà primaria, poiché ricompresa nella materia dell’ordinamento degli enti locali (cfr. Corte cost., sentenze n. 168 del 2018, n. 48 del 2003, n. 230 del 2001, n. 84 del 1997, n. 96 del
1968 e n. 105 del 1957).
Difatti, costituisce orientamento granitico della Corte costituzionale – di recente riaffermato nella sentenza 6 aprile 2023, n.
60 – che eventuali deroghe alla disciplina nazionale in punto di istituti che attuino detti diritti e ne esprimano la relativa cifra, devono rinvenire un’espressa giustificazione in condizioni effettivamente
differenziate nell’ordinamento regionale rispetto al resto del territorio nazionale (Corte Cost., Sent., 6 dicembre 2004, n. 376; Sent., 20 giugno 1984, n. 171; confr. Sent., 26 giugno 1969, n. 108; cfr. altresì, Sent., 30 novembre 1971, n. 189), non potendo invece legittimarsi esclusivamente nell’esistenza del potere di assumere una qualsivoglia scelta politica in sede legislativa.
È stato infatti affermato, ad esempio, che “deroghe ai principi e ai criteri adottati nella legislazione statale sul diritto fondamentale di elettorato passivo sono ammissibili soltanto in presenza di condizioni del tutto peculiari alla regione interessata e, in ogni caso, per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati comunque alla tutela di un interesse generale” (Corte Cost., Sent., 3 marzo 1988, n. 235). Ciò in quanto il riconoscimento di tali limiti al Legislatore regionale “non vuol dire disconoscere la potestà legislativa primaria di cui è titolare la Regione, ma significa tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi “di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza” (cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988)» (sentenza n. 143 del 2010; in termini, sentenze n. 288 del 2007, n. 539 del 1990 e n.
189 del 1971)” (Corte Cost., Sent., 6 aprile 2023, n. 60).
E ciò vale in modo particolare per la legislazione regionale (elettorale) sugli Enti locali dove, di norma, la “esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale ben può discendere dall’identità di interessi che comuni e provincie rappresentano nei confronti delle rispettive comunità locali, quale che sia la regione di appartenenza” (Corte Cost., Sent., 30 gennaio 1985, n. 20, cfr. Sent., 3 marzo 1988, n. 235 e
Sent., 23 luglio 2010, n. 283).
E che la durata fissata dal Legislatore statale assuma un valore di principio generale risulta altresì dall’art 122 della
Costituzione, laddove, seppur con riferimento alle elezioni dei consigli regionali delle regioni ordinarie, il testo costituzionale, assegna in via esclusiva alla legge dello Stato il compito di stabilirne la durata (“Il sistema d’elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”).
Ed in base al chiaro tenore della disciplina costituzionale, emerge che la prescrizione sulla durata omogenea per tutto il territorio nazionale ha portata generale, che si impone per forza di norma costituzionale, e che va anche oltre il (mero) principio fondamentale in materia di potestà concorrente. Così come gli statuti speciali approvati con legge costituzionale contengono, essi, la determinazione della durata degli organi delle Regioni e delle Province autonome, sottraendola così anche alla determinazione da parte della cd. legge statutaria, che pure assume forza di fonte interposta.
- Orbene, venendo alla questione che qui interessa, ossia alla prescrizione concernente la durata (ridotta) degli Organi elettivi e la determinazione del nuovo turno elettorale per l’anno 2025, va tenuto presente che la determinazione della durata, quale che sia la fonte normativa in cui è contenuta la previsione (costituzionale o di fonte primaria), esprime la calibratura del valore del voto dell’elettore nel tempo, e, insieme, la ponderazione nel tempo della legittimazione assegnata attraverso le elezioni, la quale sorregge il mandato degli eletti, e quindi il relativo jus in officio.
Sicché, la determinazione della durata del mandato, tutt’altro che integrante un mero aspetto organizzativo e secondario concernente il sistema elettorale, contribuisce direttamente ad esplicare e determinare la cifra, ovvero la misura, dei diritti elettorali coinvolti (sul versante sia del diritto elettorale attivo, sia del diritto elettorale passivo), e dello jus in officio.
Ed infatti, come è stato affermato dal Giudice delle Leggi proprio in occasione del sindacato di una legge regionale, espressione di competenza legislativa primaria, di una Regione a Statuto speciale, “Tra i principi che si ricavano dalla stessa Costituzione vi è certamente quello per cui la durata in carica degli organi elettivi locali, fissata dalla legge, non è liberamente disponibile da parte della Regione nei casi concreti. Vi è un diritto degli enti elettivi e dei loro rappresentanti eletti al compimento del mandato conferito nelle elezioni, come aspetto essenziale della stessa struttura rappresentativa degli enti, che coinvolge anche i rispettivi corpi elettorali” (Corte Cost., Sent., 13 febbraio 2003, n. 48).
- Alla luce del quadro consolidato, così richiamato, risultano evidenti i plurimi profili di illegittimità costituzionale della disciplina legislativa regionale contestata, che sono stati indicati in epigrafe. Profili che, sia consentito rilevare, non possono in alcun modo essere attenuati o, peggio, obliati, rifugiandosi dietro la pretesa che la durata della consiliatura locale possa dipendere dal libero, quanto arbitrario, potere dispositivo del legislatore regionale, tantomeno nelle forme con cui, nel caso di specie, detto potere è stato esercitato, mercé una disposizione di legge singolare, a contenuto di legge provvedimento che, in via anticipata, ha ritenuto di poter ridurre la durata di una sola consiliatura.
- Ora, venendo alla disciplina in esame, come si è visto, l’art. 1 della legge reg. 23 giugno 2020, n. 1 ha disposto, al comma 1, che “Il turno elettorale generale dell’anno 2020 per l’elezione del sindaco e dei consigli comunali, in deroga a quanto stabilito dall’articolo 217, comma 1, della legge regionale 3 maggio 2018, n. 2, si svolge in una domenica compresa tra il 1°settembre 2020 e il 15 dicembre 2020”; e contestualmente, al comma 4, ha stabilito che “I consigli comunali e i sindaci eletti nel turno elettorale generale dell’anno 2020 restano in carica fino al turno elettorale generale dell’anno 2025, in deroga alla durata quinquennale stabilita
dall’articolo 46, comma 1, e dall’articolo 58, comma 1, della legge
regionale n. 2 del 2018”.
In tal modo (e precisamente con il comma 4) il Legislatore ha ritenuto di poter confermare (provando a renderla immune da macroscopici vizi) l’applicazione della disciplina generale sui turni elettorali, in particolare quella sul turno elettorale generale che prevede, come visto, che “Le elezioni del sindaco e dei consigli comunali di tutti i comuni della regione si svolgono in una domenica compresa tra il 1 maggio e il 15 giugno dell’anno di scadenza del mandato” (art 217, 1 comma, della L.R. n. 2 del 2018). Un’applicazione che, se intervenuta automaticamente e solitariamente nel caso di specie, avrebbe rivelato la macroscopica erroneità ed illogicità della disciplina sul turno elettorale, per contrasto con la regola sulla durata quinquennale degli organi comunali, visto che nel caso, in via eccezionale, gli organi che andavano rinnovati erano stati eletti, invece, nel secondo semestre dell’anno 2020 (l’art 217, comma 1, difatti, a regime, presuppone la circostanza di fatto che gli organi rinnovandi nel turno elettorale generale abbiano consumato sempre l’intero mandato quinquennale – posto che si rinnovano sempre a quella data, salvo i casi di cui all’art 217 comma 2 della L.R. n. 2 del 2018 per i quali sussiste un’autonoma previsione sulla decurtazione del mandato, che si fonda su peculiari ed obiettive ragioni).
Ora a prescindere dalla “ratio” resta il fatto che la disciplina richiamata ha decurtato, amputandolo, il mandato elettorale degli Organi eletti in occasione del turno generale autunnale dell’anno 2020.
Essa, pertanto, si è posta e si pone in diametrale contrasto con gli artt. 1, 2, 3, 48, 51 e 114 Cost., posto che essa, vieppiù in difetto di qualsivoglia ragione giustificatrice e legittimante, produce un’ingiustificata menomazione dei diritti degli elettori, oltre che degli eletti, garantiti e tutelati dalle sopra richiamate disposizioni costituzionali, in conseguenza solo dell’appartenenza ad una comunità
locale (Comuni della Regione Trentino-Alto Adige); generando così pure un palese effetto discriminatorio, che rende ancor più intollerabile ed illegittima la compressione e il pregiudizio del diritto degli elettori e degli eletti. Mentre come si sa la mera appartenenza ad una comunità locale, da sola, non può legittimare in alcun modo una disciplina differenziata dei diritti politici, tantomeno una disciplina in peius.
Sicché, le disposizioni indubbiate, e in particolare l’art 1 comma 4 della L.R. 1/2020, violano i sopra richiamati parametri costituzionali, ed in particolare vulnerano irrimediabilmente l’eguaglianza nelle condizioni di esercizio del diritto elettorale, attivo e passivo, e di accesso alle cariche pubbliche, garantita proprio dall’omogeneità del periodo di durata del mandato degli Organi eletti – che non può di certo essere decurtata ad libitum dal Legislatore regionale.
- Sotto altro profilo, la disciplina regionale indubbiata viola l’art. 4 dello Statuto speciale di Autonomia, poiché si pone in radicale contrasto con il principio evincibile dalla legislazione dello Stato (art. 51, comma 1, lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e ss.mm.) – che integra principio generale dell’ordinamento giuridico, ovvero norma fondamentale di riforma economico-sociale, e come tale costituisce limite all’esercizio della potestà legislativa primaria del Legislatore regionale – in forza del quale la durata degli Organi comunali deve essere pari a 5 anni.
In merito, come già sopra rilevato, il Giudice delle Leggi ha chiaramente ritenuto che “Tra i principi che si ricavano dalla stessa Costituzione vi è certamente quello per cui la durata in carica degli organi elettivi locali, fissata dalla legge, non è liberamente disponibile da parte della Regione nei casi concreti. Vi è un diritto degli enti elettivi e dei loro rappresentanti eletti al compimento del mandato conferito nelle elezioni, come aspetto essenziale della stessa struttura rappresentativa degli enti, che coinvolge anche i rispettivi corpi elettorali” (Corte Cost., Sent., 13 febbraio 2003, n. 48). Così come è stato ripetutamente statuito che “la disciplina regionale d’accesso alle cariche elettive deve essere
strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa della esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale discendente dall’identità di interessi che Comuni e Province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia la Regione di appartenenza» (Corte cost., Sent., 23 aprile 2010, n. 143, nonché Sent., 17 luglio 2007,
- 288).
D’altra parte, sia consentito rilevare che la durata quinquennale del mandato degli Organi comunali, ed il relativo principio ad essa sotteso, non sono stati di certo introdotti casualmente dal Legislatore statale nell’ordinamento degli Enti Locali.
Difatti, come emerge chiaramente dai lavori preparatori della legge
30 aprile 1999, n. 120 – introduttiva, appunto, della durata pari a cinque anni del mandato degli Organi elettivi comunali, successivamente confermata dal citato art. 51, comma 1, D. lgs. n. 267/2000 (in luogo della previgente durata pari a quattro anni) – detta durata quinquennale, ed il principio che vi si riconnette, è stata ritenuta rispondente a ben precise esigenze istituzionali e congrua rispetto ad esse. Come era stato osservato in detta occasione, “vi è un’esigenza di uniformità rispetto alle altre sedi istituzionali, ma vi è soprattutto la necessità di assicurare un tempo congruo per il conseguimento dei risultati programmati”, tenuto conto, tra l’altro, che i quattro anni di durata degli Organi comunali, precedentemente previsti, “sono effettivamente troppo pochi perché i tempi tecnici che servono per realizzare un’opera sono spesso più lunghi dei quattro anni” (cfr. docc. nn. 7 e 8).
Non solo.
L’illegittimità della disposizione indubbiata (art. 1, comma 4 LR 1/2020) per contrasto con il predetto parametro appare ancor più evidente, se si pone mente che tale principio è stato pure declinato e riaffermato dalla disciplina statale, che aveva riguardato il turno elettorale generale svoltosi nel periodo pandemico.
Ed in vero, in detta occasione il principio della durata
quinquennale del mandato ha trovato piena conferma, appunto, nel combinato disposto di cui all’art. 1 del D.L. 20 aprile 2020, n. 26, conv. in L. 19 giugno 2020, n. 59, e l’art. 1, comma 2, legge 7 giugno 1991, n. 182; con essi, il Legislatore statale, da una parte, ha previsto lo slittamento delle elezioni amministrative (comunali e provinciali) previste per il turno annuale ordinario “in una domenica compresa tra il 15 settembre e il 15 dicembre 2020”; dall’altra, ha comunque mantenuto la previsione di cui al citato art. 1, comma 2, legge 182/1991, in base alla quale il successivo rinnovo degli Organi elettivi si sarebbe svolto in occasione del primo turno ordinario annuale successivo, appunto, alla scadenza del quinquennio, ossia nella finestra temporale aprile-giugno 2026 – come d’altra parte chiaramente confermato dalla recente circolare n. 83/2024 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per gli Affari interni e territoriali – Direzione Centrale per i servizi elettorali (doc. n. 9).
Da qui, il diametrale contrasto con il principio ordinamentale/norma fondamentale evincibile dalla legislazione statale, che, si badi, è applicato in tutto il territorio nazionale, ivi comprese le Regioni ad autonomia differenziata; ciò, come detto, con la conseguente quanto inevitabile violazione dell’art. 4 dello Statuto speciale di cui al
D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, per violazione dei predetti parametri, vincolanti la potestà legislativa primaria del Legislatore regionale in materia di “ordinamento degli enti locali”.
- Sotto ulteriore profilo, la violazione denunziata sussiste anche perché la deroga in peius – compressiva dei “diritti elettorali” e dello jus in officio
– è stata disposta mercé una legge-provvedimento, in difetto di una benché minima, plausibile ragione (d’altra parte né palesata, né implicita) idonea a giustificare la predetta decurtazione.
Di certo, difetta una ragione che si ancori all’esigenza di salvaguardare interessi di pari pregio, ossia connessi a valori di rango costituzionali, pari e confrontabili ai diritti elettorali coinvolti, che vengono pregiudicati, e che si annoverano, come detto, nella categoria
dei diritti fondamentali di cui all’art. 2 della Costituzione (Corte Cost., Sent., 23 aprile 2010, n. 143).
E l’assenza di una plausibile ragione a suffragio della disposizione di legge – forse solo gemmata dall’intenzione di mantenere ordinatamente le scadenze elettorali sugli anni terminanti con il “cinque” e con lo “zero”, che, di certo, non salvaguarda alcun interesse di rilievo costituzionale – assume portata esiziale, in particolar modo nel caso in esame, posto che la disposizione di legge de qua, come visto, ha i contenuti ed i caratteri di una legge-provvedimento, e comunque di una legge “singolare”.
Difatti, ancorché riferita alla gran parte dei Comuni della Regione, essa non modifica la regola generale della durata quinquennale degli Organi, che invece è confermata e ribadita, ma si limita a contemplarne una deroga, da applicarsi una sola volta.
Da qui, la sua doverosa sottoponibilità ad uno scrutinio di stretta legalità.
E, in tal caso, gli ulteriori profili di illegittimità che si aggiungono risultano plurimi.
In primo luogo, perché la disposizione, nel mentre non incide sulla regola generale ed anzi la conferma, non declina, nella specie, alcuna ipotesi che, in base alla disciplina legislativa generale regionale (del tutto conforme a quella nazionale), consente la decurtazione della durata del mandato (pubblica sicurezza, incapacità funzionale, etc.); né essa si fonda su ragioni confrontabili/assimilabili a quelle che sorreggono le ipotesi di legge generale, che prevedono, solo in casi tassativamente indicati, una riduzione della durata degli organi.
In ogni caso, la disposizione indubbiata non è ancorata né ancorabile ad alcun diritto o valore degno di tutela costituzionale.
Il che comporta, anche sotto questo ulteriore profilo, la radicale illegittimità della disposizione, poiché, come è stato autorevolmente affermato, “In ogni caso, non può essere una legge provvedimento, disancorata da presupposti prestabiliti in via legislativa, a
disporre della durata degli organi eletti” (Corte Cost., Sent., 13 febbraio 2003, n. 48); e perché, con riguardo al diritto di elettorato passivo – integrante un diritto che “è intangibile nel suo contenuto di valore”- la Corte ha affermato che lo stesso “può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza» cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988)” (Corte Cost., Sent., 23 aprile 2010, n. 143).
In secondo luogo, la disposizione – da sottoporsi, come detto, a stretto scrutinio di legittimità – laddove dispone la riduzione della durata del mandato elettorale, è pure intrinsecamente irragionevole e contraddittoria in modo macroscopico.
È intrinsecamente irragionevole, poiché la decurtazione è stata disposta nei confronti di Organi che sarebbero stati eletti durante la pandemia e che, pertanto, avrebbero presumibilmente operato in un primo periodo – come poi è avvenuto effettivamente – in condizioni di straordinaria e gravissima difficoltà.
Sicché, a fronte di tale prospettiva, essi avrebbero dovuto semmai disporre di un mandato più lungo – e non più breve – per poter assolvere ad un governo di consiliatura, che è calibrato su di una durata di 5 anni; durata che, come detto, era stata introdotta dal Legislatore statale ritenendola congrua se svolta in tempi di attività ordinaria, e non funestata da un evento pandemico. E ciò proprio al fine di consentire agli Organi eletti di poter fruire di un periodo ritenuto congruo per l’adeguato svolgimento del munus publicum, che fosse confrontabile ed equipollente con quello ordinario.
Inoltre, la previsione è altresì intrinsecamente contraddittoria, posto che essa dispone la decurtazione per i mandati che sono risultati gemmati dalle elezioni svoltesi nel periodo 1 settembre-15 dicembre 2020; ossia, in un turno elettorale che il medesimo Legislatore regionale aveva definito come “turno elettorale generale”.
Ossia, il turno elettorale che, in base al quadro normativo vigente, è destinato a produrre l’elezione di Organi muniti di un mandato di durata ordinaria, ossia quinquennale.
Ciò, in stridente contraddizione logica
Da qui, la violazione sotto i vari profili illustrati, dell’art. 3 Cost. per manifesta irragionevolezza.
Come si sa, il principio di ragionevolezza deve operare con particolare rigore nella materia elettorale (Corte cost., Sent., 23 luglio 2010, n. 283; cfr. anche Sent., 6 dicembre 2004, n. 376), e, nel caso, risulta con fin troppa evidenza violato.
- Le disposizioni indubbiate, violando i diritti elettorali dei cittadini ricorrenti, si pongono altresì in radicale contrasto con l’art. 3, del Protocollo Addizionale 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (“Diritto a libere elezioni”), ai sensi del quale “Le Alte Parti Contraenti si impegnano ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”.
Da qui, la violazione dell’art. 117, comma 1 Cost., nonché dell’art.
4 dello Statuto speciale di Autonomia, per violazione del predetto parametro interposto.
- Infine, si rileva che le disposizioni indubbiate, nella misura in cui vulnerano i diritti politici degli elettori e degli eletti nel predetto turno elettorale del 2020, si pongono in diametrale contrasto anche con la Carta europea dell’Autonomia Locale, sancita in seno al Consiglio d’Europa con la convenzione firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, e ratificata e resa esecutiva nel nostro Paese con la legge 30 dicembre 1989, n. 439.
Come è noto, la predetta Carta enuncia “il diritto dei cittadini a partecipare alla gestione degli affari pubblici fa parte dei principi democratici comuni a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa” e che “è a livello locale che il predetto diritto può essere esercitato il più
direttamente possibile”; ed ha stabilito, all’art. 3, che il diritto degli enti locali di regolamentare ed amministrare una parte importante di affari pubblici, in cui si sostanzia l’autonomia locale, “è esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale”.
Risulta pertanto evidente che la disposizione indubbiata, decurtando senza ragione la durata del mandato elettorale, viola irrimediabilmente anche le citate previsioni, poiché lede il diritto dei cittadini alla partecipazione, a livello locale, alla gestione degli affari pubblici, lo jus ad officium dei candidati, e non da ultimo lo jus in officio dei componenti eletti a suffragio universale e diretto.
Da qui, la conseguente violazione, anche sotto altro profilo, dell’art. 117 Cost., nonché dell’art. 4 dello Statuto speciale, per violazione del limite degli obblighi internazionali.
- Tutti i vizi di legittimità costituzionale sopra illustrati valgono nei confronti del combinato normativo tra l’art. 1, comma 4, della legge reg. Trentino-Alto Adige 23 giugno 2020, 1 e l’art 217, 1 comma, della legge reg. Trentino-Alto Adige 3 maggio 2018, n. 2, che il Legislatore ha inteso introdurre per essere applicato solo nell’occasione del rinnovo degli organi eletti nella tornata elettorale del settembre 2020.
Non solo; i predetti vizi affettano, a fortiori, l’art. 217, comma 1, della legge reg. n. 2 del 2018, anche se solitariamente considerato. Ciò perché, anche in mancanza della previsione di cui all’art. 1, comma 4, della legge reg. n. 1 del 2020, la sua applicazione avrebbe determinato, in riferimento agli organi eletti nel settembre 2020 e scadenti nel periodo corrispondente del 2025, comunque la decurtazione della durata quinquennale incorrendo nei vizi denunciati (“Le elezioni del sindaco e dei consigli comunali di tutti i comuni della regione si svolgono in una domenica compresa tra il 1 maggio e il 15 giugno dell’anno di scadenza del mandato”).
A tali violazioni pertanto si aggiungerebbe pure un ulteriore profilo di contraddittorietà ed irragionevolezza, posto che la disciplina
citata – avente ad oggetto esclusivamente il turno elettorale – si presenta, in modo macroscopico, in contrasto con la disciplina generale prescrivente la durata quinquennale, in quanto del tutto inadeguata e inadatta a garantire tale principio in ipotesi come quella in esame; essa, infatti, finisce per disporre la rinnovazione degli organi comunali, eletti in un turno elettorale generale, che non hanno per nulla consumato il mandato quinquennale.
Così violando, a rafforzata ragione, anche tutti i parametri sopra illustrati.
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Sulla questione di legittimità costituzionale
- I plurimi vizi di legittimità costituzionale sopradescritti, che si fondano su considerazioni pertinenti e suffragate da orientamenti espressi dal Giudice delle leggi, vanno ben oltre la soglia della plausibilità del dubbio, che integra il presupposto della “non manifesta infondatezza”.
- In secondo luogo, l’univocità del contenuto normativo delle disposizioni, in forza anche del carattere estremamente specifico, ne esclude in radice una interpretazione conforme a Costituzione.
- La q.l.c. è certamente influente nell’odierno giudizio, posto che la disposizione indubbiata e la sua applicazione confliggono con il riconoscimento e l’esercizio dei diritti elettorali che formano oggetto della domanda di accertamento, così come conformati dai principi superiori vigenti in materia (Corte cost., sentenza n. 1/2014). Sicché, il presente giudizio non potrà essere definito a prescindere dalla risoluzione delle l.c. qui illustrate. Da qui l’incidentalità della questione e la sua indubbia “rilevanza”.
- Da ultimo, sia consentito segnalare, a fronte dei tempi del procedimento elettorale, l’essenzialità di una tempestiva devoluzione alla Corte costituzionale. Il differimento determinerebbe la sostanziale frustrazione dell’odierno ricorso a tutela dei diritti ed interessi dei Ricorrenti, e nel contempo non precluderebbe le condizioni di incertezza
in cui si svolgerebbero le elezioni. Anzi. Gli esiti delle medesime potrebbero dare pretesto per provocare plurimi contenziosi nei quali sollevare analoghe questioni di legittimità costituzionale, dischiudendo così una prospettiva di intuibili e gravi proporzioni con effetti sul piano istituzionale.
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Alla luce di quanto sopra, riservata al prosieguo della causa ogni e più puntuale difesa, i ricorrenti sig.ri XXXX XXXX e XXXX XXXX , ut supra rappresentati, difesi e domiciliati,
ricorrono
all’Ill.mo Tribunale di Trento, affinché, ritenuta la propria competenza, letto il ricorso che precede, voglia provvedere ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 281 undecies, comma 2, c.p.c. alla fissazione con decreto dell’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione dei convenuti, che deve avvenire non oltre i dieci giorni prima dell’udienza, nonché provvedendo ad onerare i Ricorrenti della notifica ai convenuti del ricorso unitamente al decreto di fissazione dell’udienza in prefiggendo termine, tenuto conto che tra il giorno della notificazione del ricorso e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di giorni quaranta, trovandosi il luogo della notificazione in Italia.
I ricorrenti, in ogni caso, sin d’ora avvisano i convenuti che ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 163, comma 3, n. 7 c.p.c., sono
invitati
a costituirsi in giudizio entro e non oltre il termine di giorni dieci prima dell’udienza fissanda, ai sensi e nelle forme stabilite dagli artt. 167 e 281 undecies, commi 3 e 4 c.p.c., con invito a comparire, nell’udienza medesima, dinnanzi al Giudice designato, con l’avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 38, 167 e 281 undecies, comma quattro, c.p.c., in quanto ritenuti compatibili, e con l’ulteriore avviso che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al Tribunale, fatta
eccezione per i casi previsti dall’art. 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e con infine l’ulteriore espresso avvertimento che, in mancanza di rituale costituzione, si procederà in loro legittima, declaranda contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti
Conclusioni
Voglia l’Ill.mo Tribunale di Trento, contrariis reiectis, in accoglimento delle domande formulate con il presente ricorso:
- nel merito: si chiede che Codesto Ill.mo Tribunale, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 comma 4 della L.R. T.A.A. 23 giugno 2020, n. 1, unitamente all’art 217, I comma, della legge Trentino-Alto Adige 3 maggio 2018
- 2, nei sensi e nei limiti che sono stati illustrati, e previa eventuale disapplicazione, per quanto occorrer possa, del decreto del Presidente della Regione Trentino Alto Adige Trentino-Alto Adige Südtirol del 19 dicembre 2024, n. 21 e della Circolare 23 dicembre 2024, n. 4/EL/2024 della Dirigente della Ripartizione II – Enti locali, previdenza e competenza ordinamentali – Ufficio Enti locali, elettorale e competenze ordinamentali della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, avente ad oggetto “Turno elettorale generale 2025. Articolo 217-bis del CEL (“Disposizioni particolari per il turno generale”). Portata e ambito applicativo. Cronoprogramma del turno elettorale generale”, voglia:
- accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti, cittadini italiani ed elettori iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della Regione Trentino-Alto Adige i cui comizi elettorali sono stati convocati per il
4 maggio 2025, di esercitare il loro diritto di voto libero, uguale, personale e diretto così come costituzionalmente garantito dal combinato disposto di cui agli articoli 1, 2, 3, 48, 114, 117 della Costituzione italiana vigente e dall’art. 3 del Protocollo n. 1 della CEDU, nonché dall’art. 3 della Carta europea dell’Autonomia Locale, e dai principi generali e dalle norme fondamentali della
legislazione statale, così come recepiti dall’art. 46 della L.R. 3 maggio 2018 n. 3, e quindi solo alla cadenza del primo turno generale utile (dal 1° maggio al 15 giugno 2026), quando il mandato quinquennale degli organi elettivi delle Autonomie sia venuto a scadenza;
- accertare e dichiarare, di conseguenza, che l’applicazione delle norme qui oggetto di censura, di cui all’art. 1 comma 4 della R.
T.A.A. 23 giugno 2020, n. 1, ed all’art 217, I comma, della legge reg. Trentino-Alto Adige 3 maggio 2018 n. 2 produrrebbe gravi lesioni a tale loro diritto di voto e diritto elettorale attivo;
- in ogni caso: spese e competenze, oltre ad accessori di legge, integralmente rifusi;
- in via istruttoria: si producono i documenti richiamati nella narrativa che precede:
- documento di identità XXXX XXXX ;
- documento di identità XXXX XXXX ;
- tessera elettorale XXXX XXXX ;
- tessera elettorale XXXX XXXX;
- P.Reg. TAA n. 21/2024 di convocazione comizi elettorali;
- circolare dirigenziale TAA 23.12.2024, n. 4/EL/2024;
- resoconto stenografico seduta 519 del 14/4/1999;
- resoconto stenografico seduta 522 del 21/4/1999;
- circolare 83/2024 del Ministero dell’Interno.
Ai sensi dell’art. 9, L. n. 488 del 23/12/1999 e del D.P.R. n. 115 del 30/05/2002, si dichiara che la domanda è di valore indeterminabile e che, pertanto, il contributo unificato versato per il giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale è pari ad Euro 518,00.
XXXX (XX), 4 febbraio 2025
avv. XXXX XXXX