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PAOLO MANTOVAN * SCOMPARSA OMAR MONESTIER: « ADDIO ALLA SUA MERAVIGLIOSA VITALITÀ, SEMPRE PRONTO, SEMPRE DAVANTI A TUTTI, SEMPRE ATTENTO, SEMPRE FORTE E GENEROSO »

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09.59 - mercoledì 3 agosto 2022

Addio alla sua meravigliosa vitalità. È morto all’improvviso Omar Monestier, 57 anni, bellunese d’origine, direttore de “Il Piccolo” di Trieste e del “Messaggero Veneto” di Udine. Era stato caporedattore del “Mattino dell’Alto Adige” poco dopo la metà degli anni Novanta, prima di scendere a Trento, come caporedattore dell’Alto Adige edizione di Trento (poi divenuto “Trentino”).

La scomparsa di Monestier è una notizia che lascia sgomenti. Non solo per la morte prematura, ma perché Omar ti dava l’impressione di essere sempre pronto, sempre davanti a tutti, sempre attento, sempre forte e generoso, resistente e scattante insieme, in una parola: vitale.

È sempre stato un “adulto-ragazzo” Omar Monestier. Aveva uno spiccato spirito organizzativo coniugato con un profondo senso di responsabilità che lo rendevano un adulto fatto e finito già all’alba dei vent’anni. Ma nello stesso tempo Omar era così meravigliosamente curioso, così desideroso di sapere di più e ancora di più, così pronto a fare valigia e scoprire nuovi territori e nuove sfide, da farne un perenne ragazzo dagli occhi sgranati per la meraviglia di tutto ciò che gli accadeva attorno.

A Trento, con il suo lavoro instancabile, conquistò l’allora direttore dell’Alto Adige Fabio Barbieri che lo volle con sé, come vicedirettore, quando scese a dirigere “il Mattino di Padova”. Era il 2000 e Monestier, all’epoca non ancora trentaseienne, iniziò una intensa carriera da direttore che ne fece un giornalista pienamente “triveneto” o “nordestino”, come preferite, viste le sue soste professionali a Verona, Bolzano, Trento, Padova, Udine, Trieste.

Aveva un talento innato per la comprensione delle notizie (qualità non scontata nei giornalisti in generale), amava raccoglierne in grande quantità e confezionarle con qualità, si entusiasmava come un bambino ogni volta che accadeva qualcosa di importante, a qualsiasi ora, anche quando era oramai il momento di andare in stampa e si era costretti a rivoluzionare l’ordine delle notizie, delle pagine e a rifare la prima. Ma sapeva anche gestire l’entusiasmo: lo esibiva quasi, come a contagiare i redattori che stavano con lui, per togliere di dosso a sé e agli altri la benché minima traccia di fatica di fronte a un lavoro da rifare totalmente. E soprattutto sapeva dare ordini e precisione anche nel bel mezzo della situazione più difficile, anche di fronte a notizie catastrofiche.

Sì, questo significa che non era soltanto curioso ed entusiasta, ma anche avveduto e oculato, persino freddo in determinati momenti, qualità che un capo deve possedere in grande quantità. E lui proprio per questo era un capo senza se e senza ma. Che a un certo punto – prima di tanti altri, anche in questo caso con una capacità particolare di cogliere il nuovo – s’innamorò di internet e dei social. Riuscì a gettarvisi con l’ardore, la rapidità e la costanza che ne avevano sempre contraddistinto l’azione giornalistica: ne restò un po’ scottato, ma non si perse d’animo e riprese la sua strada, riuscendo, dopo la parentesi al “Tirreno” di Livorno, a ritrovare successi nella direzione del Messaggero Veneto e ora anche al Piccolo.

Il periodo bolzanino (dove ebbe fra i redattori anche Alessandro Urzì, nella sua ultima stagione da cronista, e che ieri l’ha ricordato come un maestro del buon giornalismo) per
il giovane Monestier fu senz’altro fra i più stimolanti per la sua formazione come capo di una redazione: dovette gestire i giorni assurdi del “mostro di Merano” Ferdinand Gamper,
l’avvio dell’epoca di Salghetti sindaco, l’infuriare delle polemiche sulla toponomastica, lo stato confusionale della politica per gli italiani dell’Alto Adige che avevano già archiviato la Dc, e piombò a Trento mentre si smorzava la stella del Patt di Tretter e Andreotti e si apriva l’era di Dellai, tangentopoli era già alla fase della cassazione e sul Cermis un caccia americano fece precipitare la funivia.

 

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Paolo Mantovan

Vicedirettore quotidiano Alto Adige

 

 

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