News immediate,
non mediate!
Categoria news:
IL COMMENTO DEL GIORNO

GIANFRANCO POSTAL * ACCORDI STATO E PROVINCE AUTONOME (MILANO 2009 – ROMA 2014): « LA COMPARTECIPAZIONE FISSA AI GETTITI TRIBUTI ERARIALI È ELEMENTO CENTRALE DELL’AUTONOMIA FINANZIARIA »

Scritto da
12.02 - martedì 9 giugno 2020

Nuovi accordi con lo Stato, dopo quelli di Milano e Roma?

I media hanno trattato recentemente più volte degli accordi tra Stato e Province autonome/Regione, sottoscritti a Milano (2009) e a Roma (2014), ma in questa sede si vorrebbe partire da un altro punto di vista e cioè da alcune considerazioni che mirano non tanto a dare valutazioni sul passato, quanto piuttosto ad impostare una linea di pensiero per il futuro. La prima considerazione è data dall’osservare quale sia da sempre l’impostazione dello statuto speciale, laddove esso definisce l’autonomia di entrata e di spesa delle Province e della Regione. L’autonomia di spesa  delle Istituzioni locali è assicurata dall’aver previsto il trasferimento della potestà legislativa ed amministrativa in numerose materie, circa 60, dallo Stato e dagli enti nazionali alle due Province autonome e alla Regione. Sull’altro versante, per far fronte a questa mole di funzioni, lo Statuto ha definito l’autonomia finanziaria delle medesime istituzioni dell’Autonomia, cioè le fonti delle risorse necessarie. Esse sono individuate nei tributi propri, istituiti e disciplinati dalla legge provinciale o regionale, in altre entrate non di natura tributaria, collegate ad esempio ai trasferimenti finanziari da altri enti (Unione europea o stesso Stato), ovvero alla gestione del patrimonio, del demanio e dei servizi pubblici, nonché (ultimo, ma certamente non il meno importante) dalla compartecipazione ai gettiti dei tributi erariali (statali), riferibili al territorio della Regione o delle Province autonome, sulla base di una misura fissa, complessivamente dei 9/10.

Questo sistema di relazione tra autonomia e responsabilità di spesa e quella di entrata delineato dallo Statuto presenta indubbi vantaggi, ma al contempo manifesta anche diversi limiti, dei quali occorre tenere conto.  Il primo vantaggio è dato dal carattere negoziale e bilaterale dei rapporti Stato-Regione/Province autonome, derivante sia dalla previsione che le norme di attuazione statutaria, ivi comprese quelle riferite alla finanza e tributi regionali/provinciali, sono approvate dal Consiglio dei Ministri previo parere obbligatorio della Commissione paritetica dei 12.  Altro elemento rilevante del principio negoziale bilaterale è dato sempre dallo Statuto stesso, laddove prevede che la parte relativa alla finanza regionale e provinciale possa essere modificata, in alternativa alla legge costituzionale, con legge ordinaria del Parlamento, su concorde richiesta della Regione/Provincia autonoma e del Governo, quindi previa intesa. Il che è accaduto per ben sei volte dal 1989.

Il dato storico consolidato dice che la gran parte delle entrate dell’Autonomia deriva proprio dalla compartecipazione ai gettiti dei tributi statali: oggi, ad esempio, per il Trentino sono dell’ordine di 3,8 miliardi/anno 2019 su un totale di circa 5,3 miliardi (considerando solo quelle di competenza dell’anno).

Se ne deduce come gran parte delle entrate dell’Autonomia dipenda dalle politiche fiscali dello Stato e non dalle altre entrate proprie. Si può constatare, dunque,  come l’alto livello di dipendenza delle entrate totali derivanti dalla compartecipazione ai gettiti di tributi “statali” (circa il 70%), collegato invece all’alto livello di decisione da parte dello Stato (Parlamento e Governo) sulla regolazione dei tributi stessi, di fatto influenzino, limitandoli fortemente,  gli spazi di governo delle entrate della Regione e Province autonome; e quindi limitino la loro autonomia di entrata, a fronte di una ben più ampia ed effettiva autonomia di spesa.

Correttamente,  va osservato anche che la relativa stabilità delle politiche di entrata statali, peraltro in passato tendenzialmente sempre lievemente crescenti nel tempo, non avrebbero generato problematiche particolari, se non in fasi critiche per l’economia e la finanza pubblica, ovvero per riforme significative del sistema tributario. Ciò avviene nei momenti, o meglio nelle fasi, in cui l’intero sistema di finanza pubblica entra in crisi per effetto di andamenti fortemente negativi dell’economia nazionale, europea o internazionale, ma anche nel caso di un possibile importante cambiamento delle politiche fiscali dello Stato, come -ad esempio- con la ipotizzata flat tax o altri simili interventi.

E’ infatti in queste occasioni che lo Stato si è trovato ad incidere pesantemente, fino ad ora con manovre sempre tendenzialmente di accentramento decisionale e di forte coordinamento dell’intero sistema di finanza pubblica, sia aumentando la pressione fiscale, sia con riduzioni o limitazioni di spesa, imponendo tagli alle risorse destinate anche a prestazioni e servizi pubblici degli enti territoriali, ivi comprese le autonomie speciali. Le autonomie speciali, ma anche quelle ordinarie, hanno sempre reagito ricorrendo innumerevoli volte alla Corte costituzionale. Nel periodo più recente, in particolare dopo l’introduzione (2012) delle nuove regole sul pareggio/equilibrio dei bilanci e sui limiti dell’indebitamento, la giurisprudenza della Corte è sempre più orientata a dare priorità ai principi di unitarietà economica, oltre che giuridica, della Repubblica, ribadendo il coinvolgimento diretto delle Autonomie speciali nella facoltà della legge statale di imporre alle Regioni obiettivi e vincoli connessi ad obiettivi nazionali. Lo Stato può legittimamente variare la disciplina dei tributi erariali, incidere sulle aliquote e persino sopprimerli, in quanto essi rientrano nell’ambito della sua sfera di competenza esclusiva, al contempo affermando che lo statuto di autonomia non assicura alla Regione una garanzia quantitativa di entrate, cosicché il legislatore statale può sempre modificare, diminuire o persino sopprimere i tributi erariali, senza che ciò comporti una violazione dell’autonomia finanziaria regionale.  Tutto questo però ha un limite, in quanto – afferma la Corte – l’intervento statale non deve comportare una riduzione di entità tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali o da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale.

Le considerazioni fin qui esposte aiutano a comprendere le profonde ragioni e i presupposti sostanziali e giuridici degli interventi sulla disciplina statutaria della finanza regionale e provinciale, soprattutto con riferimento ai più recenti accordi di Milano e di Roma; senza peraltro dimenticare che già negli anni ’90, con la crisi della lira e della finanza pubblica, anche per mantenere inalterato il sistema delle entrate e quindi la programmabilità della spesa, si dovette intervenire con l’assunzione di molte importanti funzioni statali attraverso l’emanazione di norme di attuazione statutaria.

Le soluzioni  adottate con i due accordi citati presentano alcuni elementi più significativi.  Il primo è dato dall’aver innovato e adeguato la struttura delle entrate, ampliando notevolmente la platea dei tributi da compartecipare, comprendendoli di fatto tutti, nonché la potestà legislativa regionale e provinciale in materia di tributi regionali, provinciali, locali, ma anche – seppur limitatamente ad alcuni aspetti- di tributi erariali.

Altra innovazione strutturale recata dai due accordi è quella del riconoscimento alle Province autonome della funzione di coordinamento della finanza pubblica all’interno del rispettivo territorio, da esercitare sia a livello legislativo, che amministrativo, tributario e finanziario, attraverso il sistema territoriale regionale integrato di finanza pubblica. Con questo riconoscimento viene portato quindi ad unità ed unicità l’intero sistema dei rapporti finanziari bilaterali tra Stato e Regione/Provincia autonoma, sulla base del principio negoziale. Sistema che ricomprende, oltre alla stessa Regione e Provincia autonoma, tutti gli enti locali, le Camere di Commercio, le Università e tutti gli altri enti, pubblici e privati, ad ordinamento regionale/provinciale ovvero a finanza derivata regionale/provinciale. La rilevanza di tale innovazione è peraltro confermata anche dalla disposizione statutaria che prevede la non applicabilità delle norme statali di carattere puntuale, riferite alle altre autonomie territoriali, regionali e locali, che prevedono obblighi, oneri, vincoli, accantonamenti riserve all’erario o concorsi comunque denominati.

L’elemento degli accordi sul quale ci si è più soffermati in questo tempo riguarda,  invece, il contributo regionale e provinciale al bilancio statale (905 milioni fra Trentino, l’Alto Adige e Regione); per tutti tre gli Enti sono stabilite le somme, anno per anno e senza termine, ma con possibili oscillazioni (del 10 %) in casi particolari e temporanei. E’ anche prevista la possibilità, previo accordo Stato-Regione/Provincia autonoma, di individuare cifre superiori per eventuali eccezionali esigenze di finanza pubblica. Ora,  la situazione di emergenza sanitaria, che per la gravità degli effetti sta generando forse la più grave crisi del sistema economico e della finanza pubblica, sta mettendo in luce la criticità di quest’ultima parte degli accordi di Milano e Roma. Il contributo predeterminato per tutti gli anni a venire era fondato sull’ipotesi di un andamento dell’economia con oscillazioni limitate, pur con possibili crisi, mentre ora sono dovuti constatare andamenti e conseguenti oscillazioni ben più ampie ed anche tempi assolutamente più brevi; tali comunque da far ritenere necessaria la modifica di quella parte dell’articolo 79 dello Statuto. Del resto questo è probabilmente anche il punto di vista dello Stato, che a sua volta si trova ad affrontare le stesse vicissitudini e criticità con riferimento all’intero sistema di finanza pubblica.

A fronte delle descritta situazione critica rimane dunque la possibilità-opportunità di modificare nuovamente, almeno in parte, il suddetto articolo dello Statuto, sulla base di un nuovo accordo tra le parti (Stato-Regione/Province autonome), con legge ordinaria, come accaduto per ben sei volte dal 1989. In questa situazione, al di là degli aspetti quantitativi, l’obiettivo prioritario è quello di conservare, anzi perfezionare il principio dell’intesa Stato-Autonomia e il metodo negoziale bilaterale, in quanto elementi essenziali ed irrinunciabili, connotanti in ogni tempo l’autonomia speciale in generale, a maggior ragione quella del Trentino Alto Adige, nata a seguito di un accordo internazionale.

Altro obiettivo essenziale da perseguire, senza alcuna controindicazione, è che qualsiasi soluzione futura dovrebbe primariamente prevedere la piena valorizzazione del sistema regionale territoriale integrato di finanza pubblica, in capo alle due Province autonome, e in parte alla Regione, per assicurare ampia capacità decisionale sulle politiche pubbliche locali e quindi la programmabilità delle risorse e delle spese; al contempo assicurare anche il coordinamento con la finanza statale nel rispetto delle prerogative statutarie dell’autonomia. In questo contesto, pur con i limiti descritti, anche la compartecipazione in misura fissa ai gettiti dei tributi erariali riferibili al territorio, stabilita dallo stesso Statuto, rimane anch’essa elemento centrale dell’autonomia finanziaria.

 

*

Dottor Gianfranco Postal

già Magistrato della Corte dei Conti e già Dirigente Generale della Provincia autonoma di Trento

 

Categoria news:
IL COMMENTO DEL GIORNO
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DELLA FONTE TITOLARE DELLA NOTIZIA E/O COMUNICATO STAMPA

È consentito a terzi (ed a testate giornalistiche) l’utilizzo integrale o parziale del presente contenuto, ma con l’obbligo di Legge di citare la fonte: “Agenzia giornalistica Opinione”.
È comunque sempre vietata la riproduzione delle immagini.

I commenti sono chiusi.