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RESTART TRENTINO: CONZATTI, NO PAURA DEI VIOLENTI MA DEL SILENZIO DEGLI ONESTI

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10.56 - sabato 4 febbraio 2017

(Fonte: Restart Trentino) – Relazione Donatella Conzatti, Restart Trentino; “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”. Serve coraggio. Il coraggio di puntare ancora e sempre sulle persone. Non è un caso che il gesto più innovativo che abbiamo davanti è quello vincente da sempre: tessere relazioni. In un mondo veloce, convulso, ingiusto la cosa più coraggiosa è tornare a investire sulle persone, pensare che lo sviluppo passa dagli esseri umani E, non si può farne a meno. Dobbiamo uscire dall’imbuto esasperato del rapporto uomo – macchina o addirittura macchina – macchina che esclude l’uomo. Il coraggio è tornare a dire che abbiamo bisogno di talento e del talento di tutti, di compassione, passione, sofferenza, attenzione, amore, incertezza. Abbiamo bisogno di sentire la vita, la vita di ognuno, non la vita astratta di chiunque. Abbiamo bisogno di vivere, di desiderare. Dobbiamo saper danzare sul mondo, sulle nostre idee. Dobbiamo ricordarci che sappiamo volare. Questo è coraggio.

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Libertà dal bisogno

Quando parliamo di libertá non parliamo di liberismo ne’ di anarchia ma di una sorta di libertà dal bisogno. Parliamo di una libertà personale, quella libertà indispensabile per realizzare se stessi, che ci permette di vivere senza farsi inghiottire dal sistema, dai luoghi comuni. Che si traduce nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarsi per le proprie convinzioni per il solo fatto che si sentono fortemente. Ma quando parliamo di libertà e sviluppo assieme, parliamo di una libertà collettiva, che come tale deve essere capace di autolimitarsi e di generare – anche attraverso la corretta distribuzione delle risorse – la libertà di tutti.
La vera libertà oggi – in chiave di sviluppo – sarebbe poter scegliere un modello di sviluppo che vada oltre la globalizzazione. Che non é l’andare verso l’antiglobalizzazione. La libertà è affermare che oggi é possibile un nuovo modello di sviluppo quello multipolare: dove i poli sono Usa, Ue, Giappone, India, Cina e coalizioni tra Stati piccoli. La libertà mondiale passa attraverso la definizione di accordi tra Poli: rendendo libera la complessità, coordinandola, governandola. Favorendo la crescita di Poli con caratteristiche peculiari. Significa dilatare la libertà di tutti, cementandola nella democrazia. Non servono oligarchie “illuminate”, serve dialogo fra poli economici e politici, fra popoli e individui. Serve controllare i flussi di persone da un luogo all’altro, basandosi anche sulle esigenze di chi accoglie non solo di chi si sposta. Non esclusione, ma inclusione governata dalla domanda effettiva. Non possiamo permettere che il mondo scivoli nella povertà, perda le conquiste sociali ed economiche e arretri. Dobbiamo garantire gli standard minimi di vita, superando le omologazioni e evitando l’ampliamento delle disparità negli stili di vita. Dobbiamo favorire le economie locali, facendo emergere nuove economie basate sul benessere dei consumatori. Uno sviluppo nella libertà, reale, intelligente che porti maggiore libertà di autorealizzazione per i singoli.

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Prendersi cura del processo di cambiamento sociale

Non bastano le parole, serve azione: che è la chiave per poter prendersi cura del processo di cambiamento sociale. In molti denunciano una società individualista, malpancista, populista, sociopatica. Gli stessi che denunciano ricoprono spesso ruoli di potere. Ci dicono continuamente come essere, come pensare, come scegliere. Loro per altro non cambiano mai! Abbiamo però un antidoto: la metamorfosi, diventare cittadini, non essere sudditi. Ma per farlo servono strumenti, e primo fra tutti é la  consapevolezza.

Serve la capacità di distinguere, di non farsi manipolare, di verificare le promesse con i fatti. Serve far rispettare il diritto di essere informati da persone intellettualmente oneste. Serve la capacità di fare emergere le contraddizioni. Oltre alla consapevolezza, è necessaria la partecipazione. La rappresentanza democratica non è di per se stessa partecipata. Serve riempirla di fatica, lavoro. Di partecipazione appunto. Perchè ogni scelta va dibattuta, confrontata. Ogni scelta é davvero una conquista. Così come é una conquista è l’Autonomia. Vista con terrore da chi vuole un territorio autonomo senza che gli abitanti lo possano essere. Diciamolo una volta per tutte che l’essenza dell’autonomia è fatta di una somma di cittadini liberi, coraggiosi e fautori di innovazione. Una specialità non è tale se non è antesignana, se non sa anticipare tempi e costumi, se non sa cambiare.

E poi serve un vero Riformismo. Il riformismo vuol dire per prima cosa essere innovatori nel modo di stare assieme: equitativo e meritorio sul piano economico, intelligente e paritario sul piano del confronto tra le diversità di religione, di razza, di opinioni politiche, omogeneo sul piano delle opportunità reali tra sessi, educato nelle relazioni umane. Ma se non si declina così il riformismo – dobbiamo dirlo – è in realtà conservazione. Allora la cura per il cambiamento è passare all’azione quotidiana, costante, insistente, faticosa. È passare dal raccontato al praticato.

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