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PATT: KASWALDER, I MIEI COLLEGHI DI GRUPPO MI HANNO PUGNALATO ALLE SPALLE

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17.08 - martedì 24 gennaio 2017

(Fonte: Walter Kaswalder) – Sorprende la miopia con la quale il Segretario del Patt in data odierna rinuncia all’analisi politica, attribuendo ad una diatriba tutta interna o a singole vicende personali il processo epurativo in corso nel Patt. Ho cercato all’interno del Partito nel quale milito da più di quarant’anni di interpretare quei valori che hanno fatto grandi gli Autonomisti. Ognuno con le proprie sensibilità, ed anch’io con le mie, mi sono rapportato con attenzione ai temi della sicurezza, della tutela della periferia, della difesa della famiglia tradizionale, delle questioni occupazionali, di criteri tecnici che favorissero la tutela della nostra gente in tema di accesso ai servizi sociali, e di  tante e tante altre questioni avendo in testa gli interessi della gente nelle sue diverse articolazioni.

Non merita replica l’accusa di Panizza che vuole ricondurre la ragione  della rottura alla mancata mia elezione a vice presidente del Consiglio regionale nel maggio dell’anno scorso: basti solo ricordare che la mia posizione ufficiale liberava il partito in caso di difficoltà da ogni impegno, lasciando la gestione della questione in casa Pd ed Upt. Distrarre l’attenzione dal tema politico significa perpetuare una gestione personale del partito evitando  dibattiti che sono invece  il sale della democrazia. L’assordante silenzio degli Organi ufficiali del Partito, che  continuano a trincerarsi dietro a omertosi e collusi  silenzi, anziché chiarire posizioni in evidente debito di motivazioni, rientra in un preoccupante stato di normalizzazione interna che non appartiene al libero pensiero autonomista. E al controcanto fatto in questi giorni dalle decine e decine di militanti, presidenti di sezione, simpatizzanti, che con coraggio ed in forma diretta ed ufficiale hanno manifestato una non facile solidarietà nei miei confronti, va tutto il  mio ringraziamento. Ma accanto a questo, mi sia concesso un richiamo affinchè  si porti a questi militanti  il rispetto che meritano, e non quel sufficiente atteggiamento di spocchia letto sulle righe dei giornali in questi giorni da parte di qualche dirigente, che li ha definiti ”una minima parte dei nostri tesserati e delle nostre Sezioni.”

Ai miei colleghi di Gruppo, telecomandati giustizieri in una vicenda paradossale in cui una generazione intera di giovani consiglieri ha preferito pugnalarmi alle spalle anziché il confronto anche aspro, chiedo di valutare cosa è rimasto di un Congresso di partito che meno di un anno fa si celebrò all’insegna di un formale  pluralismo. Di questo Congresso rimangono solo i brandelli di un’ampia minoranza messa fuori dal Partito, tutta, con la colpa di dissentire: da Corona a Bottamedi, da Ottobre a Kaswalder, i primi firmatari di tutte le  tesi avverse  sono stati fatti fuori. Fuori col sorriso di saluti littori premiati da nuovi incarichi, o rinviati a giudizio salutati con gli onori di chi i voti, nel dubbio, sa dove e come comperarli. Il Segretario Panizza sappia che di questi metodi stiamo parlando, di un Partito che a ieri mi contestava confusamente problemi di rapporti ed oggi ancora più confusamente di sedie; di un Partito che cerca motivazioni ad avvallo di una sentenza già scritta e non una sentenza che attende motivazioni prima della sua scrittura. Di questo vorrei che ci si occupasse. Di criteri e metodi che oggi riguardano me e di cui domani tranquillamente chiunque potrebbe essere destinatario se inviso alla dirigenza. Kaswalder passerà come passerà Panizza, sono passati gli imperatori, e passeranno i presidenti, ma il nostro obbligo è quello di non lasciare sul campo la cenere dell’ipocrisia.

 

 

 

 

 

 

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