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ESPAÑA INTERNATIONAL: GRASSO, UNIONE EUROPEA ASSENTE NEL MEDITERRANEO

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11.12 - mercoledì 25 gennaio 2017

(Fonte: Ufficio stampa Senato della Repubblica) – Autoridades, estimados amigos, por primera cosa quiero agradecer al Presidente del Nueva Economía Fórum, José Luis Rodríguez, para esa oportunidad de dialogo con ustedes y al querido Presidente del Senado de España, Pio García-Escudero Márquez, para su bienvenida ayer en Madrid y su palabras tan amables. Un saludo cordial a todos, particularmente a la estimada Presidenta del Congreso Ana María Pastor Julián quien me recibió ayer en el Palacio del Congreso de los Diputados. Si me permitan, sigo hablando en idioma italiano.

Sono molto onorato di conversare con voi all’interno di questo foro di dialogo, che ha favorito incontri e riflessioni importanti sui grandi temi del nostro tempo, con indipendenza, profondità e con rispetto del pluralismo. Per me è poi un grandissimo piacere potere tornare in Spagna, per la prima volta da Presidente del Senato, un Paese meraviglioso che amo profondamente dove io ritrovo molta della mia Sicilia (nei profumi, nei sapori, nei volti delle persone, nelle parole che sono rimaste nel mio dialetto) e che con mia moglie abbiamo visitato a lungo e più volte. Ieri ho viaggiato da Barcellona a qui in treno proprio per avere l’occasione di ammirare il Paese attraversandolo dalla costa orientale alla Capitale, nel cuore della Nazione. A Barcellona ho partecipato al Secondo Forum Regionale dell’Unione per il Mediterraneo, quale Presidente dell’Assemblea Parlamentare, un compito che condivido con la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini. E nella conversazione di questa mattina vorrei partire proprio dal Mediterraneo: il Mare che per noi è padre e madre, il luogo più fecondo della storia dell’umanità, il laboratorio incomparabile della contaminazione di civiltà, lingue, religioni, culture, pensiero. In questo momento storico nel Mediterraneo assistiamo a preoccupanti fenomeni di frammentazione. Crescono gli Stati falliti, Paesi dove le istituzioni e i meccanismi politici si sgretolano, incapaci di rappresentare gli interessi di società eterogenee, e lasciano spazio a poteri criminali e terroristici. Le alleanze politiche internazionali e sovranazionali perdono efficacia, forza e legittimità, a partire dalla nostra Europa (su cui tornerò), e sul multilateralismo prevalgono l’unilateralismo, il nazionalismo, l’egoismo. Si aprono profonde linee di faglia geopolitiche, religiose ed economiche che determinano conflitti, povertà, terrorismo e flussi umani. Non dobbiamo nasconderci la gravità del quadro ma io penso che sia assolutamente sbagliato drammatizzare il pericolo come ineluttabile e irrisolvibile e cadere nella tentazione di isolarsi, di alzare muri politici, fisici, ideali. Nessuno può sentirsi al sicuro, e nessuno può fare da solo.

L’Unione europea nel Mediterraneo è uno dei grandi assenti. Distratta da egoismi e dal fronte orientale ha perso l’opportunità di influire positivamente sul corso degli eventi prima delle primavere arabe, quando il cambiamento era in atto e le crisi di oggi cominciavano a dipanarsi. Non abbiamo investito abbastanza, politicamente, nella cooperazione euro-mediterranea. Oggi la crisi economica, i flussi di rifugiati e migranti, il terrorismo, la polverizzazione istituzionale di alcuni Paesi ci chiamano a gran voce a una responsabilità non più rinviabile, di cui l’Italia ormai da tempo sta facendosi interprete a Bruxelles.
Facendo una disamina molto rapida dei temi (che se vorrete potremo approfondire nel corso del dibattito più tardi), vorrei citare tre obiettivi che l’Unione dovrebbe perseguire in un necessario nuovo inizio del processo di integrazione. Il primo è la crescita economica e il lavoro, pensando ai cittadini europei che hanno sofferto la crisi profondamente e hanno spesso smesso di credere in un’Europa che dava di sé stessa solo l’immagine del rigore. Il secondo è affrontare il tema migratorio con un complesso di interventi: geopolitici, attraverso un lavoro di stabilizzazione dei conflitti e la cooperazione con i Paesi di origine e transito; legislativi, rivedendo le regole di Dublino; organizzativo, distribuendo il carico con solidarietà ed equità. Il terzo è conquistare il peso geopolitico che all’Unione spetta nel mondo: con una vera politica estera comune e una nuova politica di difesa comune. Il terrorismo, le instabilità, i conflitti impongono una presenza unitaria ed effettiva dell’Europa.

Passando a parlare del mio Paese, rivolgo anzitutto un pensiero affettuoso a tutti coloro che sono stati colpiti dal terremoto e dai fenomeni metereologici, con gravi conseguenze nella loro vita quotidiana, nei loro affetti, nei loro beni. Il sistema istituzionale e di emergenza, i volontari e tutti gli italiani stanno dando una prova di coesione, umanità e impegno che mi inorgoglisce. A chi oggi fa polemiche e strumentalizza cinicamente la situazione dico che questo è il momento di salvare le persone e di lavorare per offrire a ciascuno soccorso e assistenza e ricostruire e dopo arriva quello delle verifiche, delle indagini sulle responsabilità.

Il mio Paese, come sapete, ha subito pesantemente gli effetti della crisi economica e del lavoro e continua finora a registrare tassi di crescita molto più bassi di quelli incoraggianti dell’economia spagnola, anche se dispone però di un vitale tessuto produttivo, fondato sulle piccole e medie imprese, sulla creatività e l’innovazione, che io penso, se adeguatamente accompagnato da opportune riforme e adeguate politiche europee, permetterà al Paese di tornare a crescere. Una recente indagine statistica ha rilevato l’aggravarsi delle diseguaglianze, del disagio giovanile e del divario fra ricchi e poveri e fra Nord e Sud del Paese. Le diseguaglianze crescono in tutta l’Europa anche nei Paesi che non hanno vissuto la crisi, come la Germania, e segnalano il rischio storico cui tutti siamo esposti, di vedere la coesione sociale ridursi e aumentare le aree di marginalità, vulnerabili al radicalismo ideologico e all’illegalità.

Come sapete in Italia a dicembre si è tenuto un referendum popolare sulla riforma costituzionale che avrebbe profondamente modificato composizione e funzioni del Senato e i rapporti fra lo Stato e le Regioni. Il referendum è stato bocciato con un risultato molto netto. L’affluenza dei cittadini alle urne è stata molto elevata e questo testimonia la qualità e la vitalità della nostra democrazia anche se la lunga campagna elettorale si è svolta cedendo troppo a toni esagerati, allarmismi, slogan vuoti e fuorvianti. I dati emersi dal voto sembrano disegnare una cartina del Paese dove la divisione principale è quella fra i “sommersi” e i “salvati” dalla lunga crisi economica che ha colpito l’Occidente negli ultimi anni. Da questa esperienza penso possano trarsi due ragionamenti di carattere generale. Il primo è che se si lascia che il dibattito politico diventi arena per lo scontro di personalità, cedendo al qualunquismo e alle esagerazioni mediatiche, si alimenta il populismo. La politica deve invece tornare a essere il campo in cui si confrontano risposte ai problemi reali e visioni politiche e si riflettono le sollecitazioni, le speranze e le attese dei cittadini. La seconda osservazione è che, nei diversi Paesi, le fasce più deboli economicamente mandano messaggi chiari, richieste ferme alla politica e alle istituzioni. Penso soprattutto con preoccupazione ai giovani, che si estraniano dall’impegno sociale e politico perché vivono una vita a metà, fatta di prospettive incerte, lavoro assente o mal retribuito, impossibilità di programmare e realizzare l’aspirazione a formare una famiglia e condurre esistenze dignitose.

Oggi, anche per un difetto delle classi dirigenti di visione strategica e capacità di gestire e incanalare i grandi mutamenti economici e politici degli ultimi decenni, viviamo in un’epoca regressiva e immatura, preda di semplicismi e di approssimazioni, con ricadute democratiche molto pesanti. I movimenti populisti, che crescono e si radicano in Europa e tutto l’Occidente, individuano timori reali, sofferenze profonde, un senso di smarrimento sordo che coglie le comunità nazionali di fronte a sfide epocali: le trasformazioni del lavoro, i flussi umani dal sud del mondo verso il mondo più ricco, il terrorismo. Questi movimenti sfruttano le paure per cavalcarle con un sentimento di generica ripulsa verso le istituzioni, ma senza indicare alcuna prospettiva di soluzione. Una situazione che danneggia la funzione affidata nello Stato di diritto alle istituzioni democratiche: e cioè quella di rappresentare, proteggere e promuovere i diritti individuali, il bene collettivo. Tocca alla buona politica disegnare soluzioni convincenti coi fatti, col buon governo, più che con le parole.
A me pare che due fenomeni principali concorrano al decadimento della democrazia. Da una parte, la debolezza della politica: mi riferisco all’incapacità della classe dirigente di interpretare i bisogni, le inquietudini e le aspirazioni dei cittadini e programmare adeguatamente il futuro. Dall’altra parte, penso alla seria immaturità della nostra democrazia nel gestire adeguatamente le potenzialità di sviluppo umano offerte dagli strumenti di comunicazione e di informazione, che in questi anni sono stati contemporaneamente medicina e veleno.

La sfida che ora si apre al Parlamento italiano e a molti altri Parlamenti nazionali è relativa alla riscoperta della propria ragion d’essere, del proprio valore aggiunto rispetto a quella che molti definiscono come la democrazia deliberativa attraverso il web. Mi riferisco alle diverse forme di consultazione e partecipazione virtuale dei cittadini che, paradossalmente, potrebbero consentirci oggi di superare i limiti fisici che storicamente hanno imposto la transizione dalla democrazia assembleare a quella partecipativa. Già alcuni movimenti politici, sia in Italia che in Spagna, fanno un uso strutturale del web come strumento di coinvolgimento dei propri iscritti nelle scelte strategiche del partito. Potremmo però andare oltre, e immaginare addirittura che siano i cittadini direttamente, dal proprio computer, a votare le leggi e prendere le decisioni al posto dei Parlamenti.
Bene, io penso che questa prospettiva non possa arrivare mai a sostituire il ruolo dei Parlamenti. Le assemblee rappresentative sono l’unico strumento che garantisce la tutela delle minoranze e permette a un gruppo di opposizione di diventare maggioranza alle elezioni successive. I Parlamenti garantiscono un confronto pluralistico, secondo regole certe, prevenendo il rischio che le decisioni fondamentali, ed in particolare la tutela dei diritti, siano rimesse al dominio della maggioranza.

Non è casuale che proprio ieri la Supreme Court del Regno Unito abbia confermato che è indispensabile coinvolgere il Parlamento britannico sull’attivazione dell’art. 50 del Trattato sull’Unione europea perché solo in questo modo sarebbero tutelati i diritti fondamentali dei cittadini su cui incide Brexit. Il mio auspicio è che anche il Parlamento italiano sappia nei prossimi mesi riaffermare il proprio ruolo rispetto ad alcune scelte strategiche che impegneranno il nostro Paese nei prossimi mesi. Penso in particolare alla legge elettorale, che non può prescindere da una scelta mirata e consapevole del Parlamento idonea a garantire per le due Camere sistemi elettorali coerenti ed omogenei. Penso poi alle tante altre riforme prioritarie che riguardano in particolare, la concorrenza, il contrasto della povertà, la cittadinanza e la tutela dei minori stranieri non accompagnati, che l’Italia sta attendendo e che mi auguro il Parlamento possa concludere entro la fine della legislatura.

Concludo tornando ai rapporti fra Spagna e Italia. Gli interessanti incontri di questi giorni mi hanno confermato che abbiamo rilevanti spazi di crescita comuni in molti settori. Le nostre indiscutibili affinità devono indirizzarci a cogliere l’opportunità di un rilancio della cooperazione politica fra i nostri Paesi, che sono convinto dovrà conoscere nei prossimi anni una intensa rivitalizzazione, nei rapporti bilaterali e in Unione europea. Su diversi temi è richiesta una stretta alleanza italo-spagnola: il rafforzamento della Difesa europea, il completamento dell’Unione Bancaria, un migliore coordinamento delle politiche fiscali, una posizione congiunta in materia di migrazioni, un’energica politica estera europea nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente.

Ringrazio dunque ciascuno di voi per l’attenzione e il Nueva Economía Fórum per questa bella opportunità di incontro. Sono convinto che studiare, approfondire, dialogare equivalga a costruire anticorpi della democrazia, antidoti contro il vuoto di valori e di politica. Borges in una delle sue ultime testimonianze ha detto che la scoperta del dialogo, che avvenne in Magna Grecia cinquecento anni prima dell’era cristiana, è l’avvenimento più bello che la storia universale registri perché oppose a fedi, certezze, dogmi, anatemi, tabù e tirannie, che allora dominavano il mondo, il conversare: dubitare, persuadere, dissentire, mutare opinione. Questa, credo, è la convinzione che ci unisce tutti in questa sala e questo è l’impegno cui dedico la mia vita è la mia azione politica. Grazie (sarò felice di ascoltare i vostri commenti e le vostre domande).

 

 

 

In allegato il comunicato stampa:

 

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